La vertigine dell’archivio

Alla scoperta de Il Palazzo Enciclopedico, la mostra curata da Massimiliano Gioni per la 150esima edizione della Biennale di Venezia

Le metafore dell’enciclopedia e dell’archivio si applicano facilmente a Venezia. Città di mare in cui hanno lasciato le proprie tracce le civiltà più diverse, Venezia è oggi una location turistica le cui calli e canali sono calcati da chiunque, al mondo, possa permettersi un biglietto per l’Europa. Il progetto impossibile dell’artista Douglas Huebler, che nel 1971 si propose di documentare l’esistenza di ogni essere umano, sembra diventare possibile passeggiando, sotto il solleone, tra San Marco e i Giardini, spintonati dalla più varia umanità mentre questa appare intenta a rifare, con i suoi telefonini, l’opera omnia di Canaletto.Qualsiasi cosa si possa immaginare sembra presentarsi, a Venezia, nell’intero spettro delle sue possibilità. E la Biennale, con le ambizioni totalizzanti della mostra e la sua articolazione in padiglioni nazionali, non fa eccezione.

La Biennale in cifre

88

le partecipazioni nazionali

10

i Paesi presenti per la prima volta (Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Repubblica della Costa d’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldive, Paraguay, Tuvalu e il Vaticano

47

gli eventi collaterali

150

gli artisti rappresentati in Palazzo Enciclopedico

756

le pagine del catalogo edito da Marsilio

440.000

i visitatori della Biennale del 2011

Benedetta da questa naturale sintonia con la città e l’istituzione che la propongono, Il Palazzo Enciclopedico – la mostra curata da Massimiliano Gioni per la 150esima edizione della Biennale Arte (aperta fino al 24 novembre 2013) – è apparsa a molti come una delle più memorabili degli ultimi decenni: una mostra da vedere, e in grado di attrarre, una volta tanto, anche i “non addetti” per la sua capacità di offrire un percorso insieme enciclopedico e fortemente personale tra opere d’arte e “artefatti” d’interesse antropologico, e tra i lavori, le collezioni e gli archivi di artisti di ieri e di oggi, e di numerosi artisti “amatori” o comunque estranei al mondo dell’arte, accanto ai più scontati “artisti professionisti”: il tutto all’insegna della vertigine dell’archivio e della celebrazione dei picchi (e degli abissi) dell’immaginazione. Questi aspetti della mostra – in particolare, la sua apertura al passato e a ciò che accade al di fuori del mondo dell’arte – sono stati anche oggetto di critica: da un lato, la funzione tradizionale della biennale – una ricognizione su quanto di significativo l’arte ha prodotto negli ultimi due anni – non si concilia molto con una mostra in cui il 30% circa degli artisti sono deceduti; dall’altro, il mondo dell’arte – che, non dimentichiamolo, trova nella Biennale un’occasione importantissima di mercato – ha vissuto in maniera problematica questa apertura ai dilettanti di ieri e di oggi – a partire dal Carl Gustav Jung del Libro rosso, un eccezionale volume illustrato che raccoglie le visioni auto-indotte del grande psicologo.

D’altra parte Il Palazzo Enciclopedico, per quanto pieno di passato, riesce a parlare come poche altre mostre di un presente saturo di informazione e di immagini, di cui siamo quotidianamente bombardati dai media e di cui ci bombardiamo a vicenda, attraverso i nostri account sui social network. Pur vantando una presenza discreta delle nuove tecnologie, la mostra ne è in un certo qual modo satura, come rivelano i riferimenti continui a Internet, allo spettatore come “conduttore di immagini”, alla costruzione di “mondi alternativi”, e alla “combinazione di informazione, spettacolo e sapere” che il curatore dissemina nelle sue dichiarazioni. Inoltre Massimiliano Gioni, che per quanto giovane (classe 1973) e italiano, del mondo dell’arte è uno dei più illustri rappresentanti (oltre ad essere direttore artistico della Fondazione Trussardi di Milano e direttore associato del New Museum di New York, ha all’attivo diverse biennali internazionali e numerose mostre), ovviamente non lo tradisce, ma si limita a ricordargli, e a ricordarci, che l’arte non vive in un vuoto pneumatico, e si può manifestare ovunque.

E comunque, i pupilli del mondo dell’arte non mancano, assieme a qualche giovane promessa: c’è l’inglese Tino Sehgal, con una performance che gli è valsa il Leone d’oro; c’è Steve McQueen, con un classico video del 2002 che utilizza le immagini del Golden Record, il disco lanciato nello spazio nel 1977 per comunicare con eventuali forme di vita extraterrestre; c’è il vietnamita Danh Vo, che importa dal Vietnam una chiesa di epoca coloniale; c’è l’americano Wade Guyton, che usa una stampante inkjet per fare pittura; ci sono il polacco Pawel Althamer e l’italiano Roberto Cuoghi; e c’è Cindy Sherman, con una mostra nella mostra che raccoglie la sua collezione di album fotografici e opere di altri artisti che lavorano sui temi della falsificazione, del mascheramento, del surrogato. Una menzione speciale meritano i video e le video installazioni, non numerosi ma di eccellente qualità: quello della francese Camille Henrot, che le è valso il Leone d’Argento; quello dell’italiano Yuri Ancarani, un viaggio inquietante nella chirurgia robotica; quello dell’inglese Ed Atkins, che riflette sulla collezione personale di André Breton, uno dei numi tutelari della mostra; e l’articolata videoinstallazione di Ryan Trecartin, con il suo mondo isterico e convulso.

IMMERSI NEL VERDE

Disseminati tra Giardini, Arsenale e il resto della città, i padiglioni nazionali costituiscono una parte importante di ogni Biennale di Venezia. Imperdibili, in questa edizione, il padiglione Italia (se non altro, per valutare la “prova” nazionale); l’Austria, lm disneyano di Mathias Poledna; la Francia, col progetto di Anri Sala; la Gran Bretagna, con Jeremy Deller; gli Stati Uniti, con i micromondi di Sarah Sze; e la Grecia, con il lavoro sulla crisi di Stefanos Tsivopoulos. Durante la visita all’Arsenale, non dimenticare il padiglione della Santa Sede, alla sua prima prova in Biennale

ALTRO IN LAGUNA

Durante la Biennale, Venezia pullula di eventi. Imperdibili: quella dell’italiano Rudolf Stingel, in mostra a Palazzo Grassi (chiude il 31 dicembre 2013); e When attitudes become form, remake della storica mostra del 1969, proposta dalla Fondazione Prada a Ca’ Corner della Regina (a cura di Germano Celant, chiude il 3 novembre).

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