Innaffiando l’oriente

Abbinare una buona bottiglia al kimchi, all’hummus o al sashimi? Sembra impossibile, ma anche nei ristoranti etnici si possono trovare delle combinazioni vincenti. Ecco quali

Anche al ristorante agli Italiani piace andare un po’ fuori dagli schemi e frequentare locali giapponesi, coreani, thailandesi, mediorientali e africani. Il grosso problema è cercare vini che accompagnino piatti così lontani dai nostri gusti con carte dei vini che non brillano certo per originalità.

Corea

È davvero difficile accompagnare piatti molto compositi come il bibimbap (misto di riso, verdure, uova, manzo o pollo, soia e semi di sesamo) o lo kimchi (cavolo cinese fermentato e spezie). Le cose si complicano poi ulteriormente con piatti come il kimchi bokkeumbap che prevede l’uso di pesce salato, funghi e anche vari tipi di carne insieme. La scelta più ovvia sono i vini bianchi aromatici e dotati di buona acidità, capaci di pulire il palato, magari con lieve residuo zuccherino. Perfetto in tal senso un Gewurztraminer altoatesino come quello di Kobler Magreid o il Sauvignon del Castello di Spessa in Friuli. Si tratta di vini spesso anche molto alcolici ma anche molto morbidi e carezzevoli, perfetti per spengere la piccantezza di certe preparazioni. Andando sui rossi, provate un Novello (tra ottobre e gennaio) oppure un Boujelais Nuveau e vini similari come certe Schiava, sempre dall’Alto Adige, per esempio la Kolbenhofer di Hofstaatter.Dovessero servirvi un bulgogi, piatto a base di filetto grigliato marinato in soia, zucchero, sesamo, funghi shikitake e aglio, non esitate a usare anche vini più corposi come alcuni Syrah del centro Italia (come il Mater Matuta di Casale del Giglio) o anche un Primitivo di Manduria Patriarca di Soloperto.

Giappone

Anche in questo caso i problemi principali sono le marinature, pensiamo al sushi propriamente detto, ovvero riso cotto e trattato con zucchero, aceto di riso e sale, guarnito con pesce o crostacei e per di più da gustare con salsa di soya (salatissima) e wasabi, anestetizzante del palato e talmente intenso da spegnere quasi ogni bevanda gli si avvicini. Meno arduo e più gratificante l’abbinamento con il sashimi, pesce crudo in carpaccio o a dadini o con la classica tempura di pesci, crostacei e verdure fritti con sola farina. Sushi e sashimi si possono accompagnare con un Riesling (li fanno anche in Giappone ma non sono esportati) tedesco o anche piemontese con il grande Langhe Bianco di Vajra , mentre con alcuni piatti in cui la sapidità della salsa di soia recita un ruolo dominante, si può provare un Sauvignon di alto rango come il Ronco delle Mele di Venica & Venica. Certo, se il vostro ristorante giapponese avesse un vino Koshu (varietà di uva tipica del Sol levante che dà vini delicati e leggermente zuccherini) sarebbe ancora meglio. La cucina giapponese prevede anche lo shabu shabu, carni di vitello e maiale lessate al tavolo in un brodo leggero, dove potrete provare qualche rosso di media struttura come il Bardolino di Monte Saline o un Barbera del Monferrato come la piacevolissima Umberta di Iulii.

Israele

La cucina Kosher ha sapori molto variegati dal dolce allo speziato (e balsamico, si pensi all’uso del coriandolo), e anche fortemente aspri. Prendiamo l’hummus, impasto di ceci conditi con sesamo arrostito, olio d’oliva, succo di limone, sale e aglio. Dobbiamo per forza rifarci alla gamma di vini bianchi aromatici e speziati. Se l’hummus è usato come accompagnamento a carni (pollo arrosto, spesso) possiamo utilizzare vini molto mediterranei come il Marsiliana Maremma Igt di Principe Corsini 2006 che da cabernet, merlot, syrah, alicante e petit verdot riesce a tirar fuori un quadro completissimo di macchia mediterranea in fiore. Ambivalente anche il falafel, polpettina di ceci o fave insaporite con spezie e prezzemolo, da abbinare se presentato da solo con vini bianchi marchigiani di buon corpo come un Verdicchio dei Castelli di Jesi Vigna delle Oche della Fattoria San Lorenzo. Se usato invece come contenitore per carni di agnello si può spaziare fino ai rossi dell’Etna, come gli incredibili vini etnei di Tenuta delle Terre nere. Attenzione all’uso della satar (o zatar), un misto di spezie con timo, origano, maggiorana e sesamo con varianti che comprendono anche cumino e finocchio: se usato, aumenta notevolmente la complessità aromatica della preparazione e occorre pensare a bianchi più corposi e profumati (come qualche grande Chardonnay passato in legno come il Bussiador di Aldo Conterno) e rossi più profondi (per esempio un Aglianico del Vulture Camerlengo da vecchie vigne).

Libano

La cucina libanese ha notevoli influenze francesi che si sommano alla tipica commistione di elementi turchi e arabi, con frequenti ricordi di cumino, coriandolo e zenzero. Frequente e piacevole l’imbattersi in una distesa di stuzzichini fatti con delle specie di tapas: tutti molto variegati per forme, sapori e consistenza e tutti generalmente da provare con un Prosecco di livello (come Bisol e il suo Cartizze leggermente abboccato o Bele Casel e il suo nuovissimo prosecco sulle bucce Asolo). I sentori intensi e balsamici di un Sagrantino di Montefalco con un certo invecchiamento (pensiamo a un Tabarrini o a un classico come Antonelli) sono ipotizzabili su preparazioni complesse a base di carni di manzo o agnello come per esempio il kibbeh (con aggiunta di menta). Tra i crostacei gratinati e pesci arrosto, serviti spesso con spezie come il siyyadiyeh occorre un vino bianco morbido come qualche grande bianco siciliano come il celebratissimo Nozze d’Oro di Tasca d’Almerita. A bianchi morbidi e con un certo invecchiamento si ricorre anche per il shish taouk, pollo (ma anche altri carni bianche) alla griglia marinata in olio di oliva, prezzemolo e lumac, la spezia rossa tipica libanese dal forte sapore citrino. Un grande Soave dalle mille sfaccettature come quello di Pieropan Calvarino sarà invece perfetto per la tabouleh, un’insalata a base di burghul (specie di cous cous), cetrioli, cipolle, mente, limone, pepe e peperoni.

Cina

Difficile affrontare il discorso sulla cucina cinese vista la sua vastità, con le sue quattro scuole più importanti, quelle Shandong, Sichuan, Jiangsu e Guangdong, e i vari stili culinari. Con i ravioli di carne o verdure al vapore, i wanton fritti e gli involtini primavera occorre evitare bianchi potenzialmente erbacei (come il Tocai Friulano) e prediligere vini floreali e fruttati come il Vermentino di Sardegna (provate l’Opale di Mesa). Difficile trovare un vino che vada d’accordo con uno dei piatti simbolo, ovvero l’anatra alla pechinese laccata al miele e servita con una salsa di porri e un brodo con aceto; risolvibile solo con un vino “orange” fermentato e affinato in anfore ancestrali come i bianchi di Gravner dal Collio (Breg se amate più il minerale o la Ribolla per toni più fruttati). Maggiori soddisfazioni con piatti ancora più strutturati, come il montone farcito di pollo o diverse preparazioni di manzo con porri o cipolle, declinate su sapori agrodolci che ci permettono finalmente di usare qualche rosso di carattere come gli “emergenti” Falerno del Massico e Roccamonfina dalla Campania con Aglianico e Piedirosso a creare sensazioni balsamiche, speziate e fruttate di bosco (cercate ad esempio i vini di Luigi Mojo o quelli di Tenute Adolfo Spada, come il Gladius).

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