I R.E.M. si fermano

Dopo una carriera di successi Micheal Stipe e soci dicono basta. “E’ il momento giusto per fermarsi”

«A chiunque sia mai stato toccato dalla nostra musica, il nostro più profondo ringraziamento per averci ascoltato». Così hanno voluto annunciare, in modo inatteso e doloroso, il loro definitivo addio alle scene. I R.E.M. tra le rock band più popolari del Pianeta dopo una carriera felice che ha ampiamente oltrepassato i 30 anni si fermano. Lo fanno – da quello che si evince dal loro messaggio – in modo pacifico e sereno, scegliendo quello che viene indicato come “il momento giusto”.

Non la penseranno così milioni fan che Micheal Stipe e soci hanno in ogni angolo del Globo, un esercito transgenerazionale di fedeli appassionati che hanno seguito la formazione di Athens anche nei suoi non pochi cambiamenti stilistici. La loro discografia riserva molte gemme, prove tangibili di un talento del tutto personale nel fondere la tradizione con arrangiamenti fantasiosi.

Curiosamente il loro debutto sulle scene avviene proprio all’inizio di un decennio, quello degli anni ‘80 spesso ingiustamente ritenuto privo di contenuti. Si segnalano da subito per un suono che fonde psichedelia, garage rock folk, punk e pop. Il loro primo singolo, Radio Free Europe, è una meraviglia contenuta in 3 minuti, una perfetta pillola di garage-pop. E il successo che nasce con il passaparola tra gli ambienti delle università e delle radio indipendenti li proietta subito all’attenzione generale. E’ nata una grande rock band, con un cantante provvisto di un carisma non comune e degli ottimi musicisti.

Ecco dunque via via album come Murmur, Reckoning, Fables of the Reconstruction, Life’s Rich Pageant, Document (che conteneva il loro primo grande successo commerciale, The One I Love) e Green. Approdati a una major sfornano negli anni ‘90 una serie di dischi eccellenti che fanno letteralmente saltare il banco: Out Of Time con Shiny Happy People e la famosissima Losing My Religion, Automatic for The People, probabilmente il loro migliore disco in assoluto, il ruvido Monster e poi New Adventures in Hi-Fi e Up.

Da qui in poi la band che nel frattempo (nel 1997) aveva perso per strada lo storico batterista Bill Berry (colpito durante un tour da un aneurisma celebrale) sembra un po’ perdere la spinta creativa degli anni precedenti. Escono una serie di fortunatissima dischi (da Reveal a Collapse into Now), ma è difficile trovare traccia delle antiche intuizioni. Si sente odore di minestra riscaldata. E non è un caso che nei loro concerti i brani più apprezzati sono i vari Finest Workgons, Drive, Everybody Hurts, Orange Crush, What’s the Frequency Kenneth, Man on the Moon…

Invece di trascinare ancora una storia che ha riservato parentesi di eccellenza hanno quindi preferito fermarsi. E forse hanno proprio ragione: è davvero il momento giusto. Magari anche altri colleghi ora avranno modo di riflettere.

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