Non è mai facile raccontare il pianeta Harley-Davidson quando lo si osserva dall’orbita italiana. Per avere un’idea di cosa stiamo dicendo, e soprattutto di quant’è antico e radicato il nostro debole per “la” leggenda a stelle e strisce, basterebbe pensare al film Un americano a Roma. Nel 1954 Alberto Sordi – alias Nando Mericoni – faceva finta di sparare a tutto quel che vedeva immaginando di essere un cow boy, e per inseguire la propria ossessione montava in sella a una Harley-Davidson Liberator (un nome affibbiato da noi europei alla WLA 750, la moto dei soldati liberatori). Ammettiamolo: nonostante siano passati tanti anni e di Mericoni in Italia – per lo meno non di così naïve – non ce ne siano più, la due ruote di Milwaukee esercita ancora un fascino talmente forte che il mito continua a essere per certi versi considerato irraggiungibile. Anche se spesso è più abbordabile di quanto si pensi. Sarà dunque per questa nostra venerazione dello stile di vita legato all’universo Harley-Davidson o per lanciare un segnale al mercato italiano, che quest’anno il 110° anniversario della nascita dello storico brand del Wisconsin sarà celebrato a Roma. Una festa itinerante, all’aperto, nella migliore tradizione Harley, da vivere soprattutto nelle strade e in sella, dal 13 al 16 giugno (vedi box in fondo all’articolo).
COME NASCE UN MITO. In realtà è stato nel 1902 che due ingegneri poco più che ventenni si sono chiusi in un garage di tre metri per cinque e hanno cominciato ad assemblare motociclette, ma la fondazione ufficiale della società risale al 28 agosto 1903. William Harley e Arthur Davidson, a cui poi si aggiungeranno William e Walter, i fratelli di Davidson, realizzarono e vendettero nei primi due anni di attività solo tre delle loro “biciclette motorizzate”, ma la cosa non li scoraggiò troppo. Migliorarono il prototipo, riprogettarono il telaio e aumentarono la potenza del motore dando vita a un modello che nel 1907, anche grazie all’apertura di un nuovo stabilimento produttivo (in Juneau Avenue, ed è ancora lì che si trova la sede di Harley-Davidson), fu assemblato e venduto in circa 150 esemplari. È sempre nel 1907 che la società diventa fornitore della polizia, legando indissolubilmente il proprio nome alle forze dell’ordine e soprattutto inaugurando un business che avrebbe fatto la fortuna della società anche nei momenti più difficili dell’economia statunitense: quello della motocicletta a uso non civile, che in occasione dei due conflitti mondiali (si stima che solo durante la Grande guerra, l’esercito usò circa 20 mila moto, molte delle quali made in Milwaukee) lanciò Harley-Davidson nell’empireo della grande industria americana e soprattutto nell’immaginario di centinaia di migliaia di appassionati in tutto il mondo. C’è da dire che al brand l’intraprendenza e la voglia di espandersi all’estero non è mai mancata: nel 1912 Harley-Davidson registrò le prime vendite oltre confine, esportando motociclette in Giappone, mentre la rete dei concessionari contava già più di 200 punti vendita. Nel 1913, a soli dieci anni dalla fondazione, la casa del Wisconsin produceva circa 13 mila unità all’anno, imponendosi come la più importante tra le circa 150 marche di motocicli che nel frattempo erano sorte negli States, proprio sulla scia del successo di Harley-Davidson. Un successo trainato anche dalle vittorie nelle gare, sempre più frequenti in tutto il Paese.
TAPPA PER TAPPA, LA STORIA DI HARLEY-DAVIDSON
A TUTTO GAS, ANCHE IN SALITA. Esatto, perché se oggi l’immagine sportiva di Harley-Davidson è appannata da decenni di moto custom, prevalentemente da viaggio o da passeggio, nella prima porzione del ‘900 le creature di Milwaukee erano tra le più veloci e performanti del mondo. Anzi, nel 1921, e precisamente il 28 aprile, fu una Harley Davidson a infrangere per la prima volta nella storia del motociclismo la barriera delle 100 miglia all’ora (circa 160 km all’ora). La parabola dei ruggenti anni ‘20 comincia il suo declino verso la metà del decennio, quando il brand è costretto a ritirarsi da molte competizioni. Ma il momento è duro per tutti: la crisi del ‘29, insieme al successo del mezzo che ha cambiato per sempre il modo di spostarsi – l’automobile, che in quel periodo voleva dire essenzialmente Ford T, venduta a un prezzo non dissimile da quello di una Harley – spazza via la stragrande maggioranza delle fabbriche di motocicli. Harley Davidson, insieme a pochi altri marchi, tra cui il principale concorrente Indian, lottano per la sopravvivenza. Ed è lo scoppio della Seconda guerra mondiale che restituisce un po’ di ossigeno all’azienda di Milwaukee. Alla fine del conflitto saranno circa 88 mila le Harley-Davidson fornite all’esercito. E le operazioni in Europa rappresenteranno il primo terreno di scontro con uno dei futuri concorrenti del brand: Bmw, che equipaggiava la Wehrmacht. Paradossalmente, però, dopo la guerra saranno gli inglesi a dare più filo da torcere ad Harley-Davidson sul fronte commerciale. Gli anni ‘50 sono quelli dello sbarco in terra americana degli invasori di Sua Maestà, da BSA a Triumph, passando per Norton e Royal Enfield, fino a Matchless e Velocette. Eppure è proprio in quel periodo che nasce a Milwaukee uno dei modelli che diventerà icona e ambasciatore del marchio nel mondo: la Sportster. È infatti dal 27 gennaio 1957 (con i dovuti aggiornamenti meccanici, ovviamente) che questa moto, la più longeva delle Harley in circolazione, imperversa sulle strade di tutto il pianeta. Dopo le inglesi, ci hanno pensato le giapponesi, Honda in primis, a mettere i bastoni tra la ruote, intromettendosi nelle commesse per la polizia stradale. La crisi sembra irreversibile, e nel 1969 la società viene venduta ad American Machine and Foundry, colosso del settore metallurgico, che dà vita ad Amf-Harley-Davidson.
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RITORNO DI FIAMMA. Bisogna aspettare il 1981 per assistere alla rinascita del marchio. Amf rivende la società a Vaughn Beals e a Willie G. Davidson, uno degli eredi dei fondatori, e il nuovo corso è – anche grazie alla lezione imparata dai giapponesi – all’insegna di un approccio completamente diverso alla produzione, alla gestione del magazzino e alla commercializzazione. Ma è all’insegna anche di una nuova moto che, come la Sportster 30 anni prima, segna un punto di discontinuità nella gamma. Parliamo della Softail, che riportò il costruttore in auge negli Stati Uniti. Il passo successivo è stato probabilmente il classico più lungo della gamma, con l’acquisizione della Buell per tentare l’ingresso nel mercato delle moto sportive, e poi di Mv Agusta, da usare come testa di ponte per l’espansione in Europa. Ma entrambe le operazioni non hanno dato i frutti sperati, e Harley-Davidson ha fatto retromarcia per focalizzarsi sulla propria identità in un momento estremamente complesso, in cui forse proprio la riscoperta dei valori fondanti di un brand e della sua storia possono rappresentare il fattore critico di successo per percorrere altri 110 anni di strada.
IL MEGA-RADUNO ITALIANO |
È a Roma che gli appassionati di Harley-Davidson provenienti da tutto il mondo si ritroveranno per festeggiare il 110° anniversario della casa di Milwaukee. L’appuntamento è dal 13 al 16 giugno, e rappresenta una pietra miliare nella storia del marchio motociclistico, il più grande raduno europeo mai organizzato. La Capitale ospiterà durante le quattro giornate dell’evento biker, turisti e curiosi in diverse aree della città: al Porto di Ostia, dove verrà allestito un vero e proprio Harley Village, al Foro Italico presso lo Stadio Olimpico e nella Città del Vaticano. La manifestazione sarà totalmente gratuita e accessibile a tutti, per un’esperienza indimenticabile all’insegna del mito americano. Il momento clou? La grande parata di sabato 15, quando migliaia di motociclette partiranno da Ostia per raggiungere Roma lungo la via Cristoforo Colombo. Domenica 16 1.400 harleysti riceveranno la benedizione in piazza San Pietro, e secondo le indiscrezioni la casa di Milwaukee omaggerà papa Francesco con una moto celebrativa. Pare si tratti di una Trike, un modello a tre ruote. |