Che cos’è il tastevin

Alla scoperta del prezioso strumento dei sommelier e al suo utilizzo

Per conoscere l’utilizzo del tastevin, quella sorta di medaglione al collo dei sommelier, basta andare all’epoca in cui nacquero i sommelier, i primi coppieri che dovevano assaggiarlo prima che finisse nei bicchieri dei re e dei nobili, per lo più coppe smaltate o di metallo scuro, dov’era molto difficile analizzare il vino: il tastevin rispondeva appunto all’esigenza di capire se il vino fosse effettivamente di un colore vivo, fresco e senza particelle in sospensione. Siamo abituati a vini puliti e trasparenti ma è una condizione standard da solo una cinquantina di anni: prima era comune trovare particelle di varia natura in sospensione dovute alla lavorazione del vino e ad altri fattori. Ecco che il tastevin, d’argento, riusciva grazie alle sue bolle grandi concave a evidenziare la presenza di torbidità sospette. Soprattutto le bolle concave più grandi servivano appunto ad analizzare colore, trasparenza e limpidezza dei vini rossi, mentre le 11 tacche oblique servivano a fare lo stesso ma per i vini bianchi, dove le particelle sono più piccole e l’occhio può essere ingannato dal riflesso dell’argento. La bolla grande centrale aveva invece un ruolo di stabilire il livello entro il quale doveva essere riempito il tastevin. Le altre bolle convesse avevano il ruolo di arieggiare il vino che veniva sempre fatto abilmente ruotare all’interno del tastevin stesso, operazione non semplice come ruotare lo stesso vino in un bicchiere con il bordo molto più alto. Completavano lo strumento una maniglia dove infilare l’indice che insieme al pollice sosteneva il tastevin mentre il sommelier avvicinava (molto) il naso per l’analisi olfattiva.

OCCHIO ALLA LINGUASi è soliti suddividere la lingua in varie parti in base alla capacità dei suoi recettori, capaci di apprezzare il dolce sulla punta, l’amaro sulla parte posteriore, l’acido nelle zone centrali e il salato sui lati, ricordando che invece i profumi, anche se percepiti durante l’assaggio sono sempre e comunque percepiti dal naso e non dal palato in sé. Seppur studi più recenti abbiano dimostrato che le sensazioni coinvolte nell’assaggio sono di più di queste quattro (sarebbero almeno sei) e le papille gustative sono in realtà tutte capaci di sentire i gusti fondamentali. Potete sperimentarlo anche voi stessi con dello zucchero che si percepisce molto bene anche in altre zone del nostro palato che non siano la punta della lingua. Piuttosto, quando si assaggia un vino oggi si preferisce far valutare a chi assaggia il feeling complessivo che si produce in bocca dando molta importanza al volume del vino, alla sua capacità di rinfrescare (quindi produrre salivazione, tipico di vini freschi come bianchi e rossi giovani e vini con bollicine) e, al contrario, far evaporare la saliva mediante l’azione dell’alcol o con i tannini, le molecole responsabili del colore rosso e della sensazione di rugosità sulle gengive che proviamo quando assaggiamo senza abbinamento con il cibo alcuni vini, spesso giovani rossi o vitigni particolarmente ricchi di queste sostanze come nebbiolo, aglianico e sagrantino. Altro aspetto della lingua e del palato che viene sempre più considerato è la sensazione di “umami”, il famoso quinto gusto legato ad alimenti particolari come pomodori, alghe, soia, funghi e formaggi stagionati, una sorta di tridimensionalità del sapore che rende alcuni alimenti più appaganti rispetto ad altri.

© Riproduzione riservata