Braccio di ferro: una disciplina che guarda alle Olimpiadi

Dal film con Stallone alla pandemia, il braccio di ferro ha conosciuto un’inattesa popolarità durante il Covid-19. È un modo per socializzare e fare sport, anche tra le strade di New York. «Basta poco per allenarsi, ma per eccellere servono doti speciali», racconta il responsabile federale, Claudio Rizza*

Dai bar per camionisti agli eleganti viali di Brooklyn: tra tutte le attività sportive penalizzate dalla pandemia, il braccio di ferro ha conosciuto un’inattesa popolarità durante i lunghi mesi di lotta al Covid-19. A raccontarlo è stato il New York Post che è andato a Brighton Beach, nella parte più intrigante della Grande Mela, per conoscere Mikhail Anoshka, laureato e animatore di una palestra a cielo aperto per arm wrestler.

L’ispirazione è nata poche ore prima del lockdown delle palestre a New York, mentre osservava un uomo allenare i polsi con i bilancieri. «Sapevo che era appassionato di braccio di ferro perché aveva la presa grassa», racconta Anoshka. «Gli ho chiesto a caso di fare braccio di ferro e non riuscivo nemmeno a muovere la sua mano». Il braccio di ferro era un’antica passione di famiglia per questo 27enne bielorusso, che ha subito deciso di costruire un tavolo per esercitarsi: due mesi di lavoro, 300 dollari di materiali e l’esperienza di tre generazioni – il padre e il nonno sono corsi in soccorso – gli hanno permesso di mettere in piedi un punto di riferimento per gli appassionati con allenamenti e mini-tornei settimanali, con tanto di famiglie al seguito. «C’era un ragazzo che veniva dal Queens con sua moglie e suo figlio e faceva braccio di ferro per un’ora mentre sua moglie sedeva davanti a casa mia», prosegue Anoshka, che assicura il rispetto delle normative sanitarie: «Di solito tiro fuori il sapone e ci laviamo le mani dal tubo da giardino».

Quasi in contemporanea un’app, Armbet, ha permesso ad Anoshka di conoscere appassionati nel Queens, a Long Island e persino nel New Jersey. Dietro all’applicazione c’è Devon Larratt, numero 1 della specialità in Nord America. Una sorta di Sylvester Stallone del nuovo millennio, ricordando la pellicola Over The Top che tanta spinta diede alla specialità. Grazie al supporto della produzione cinematografica, infatti, venne organizzato il “torneo più grande di sempre” della durata di oltre un anno con le finali a Las Vegas che furono utilizzate per le riprese del film. A vincerlo fu John Brzenk, che si aggiudicò per davvero il camion bianco Volvo da 250 mila euro tanto sognato dal protagonista del film durante i viaggi con il figlio. E Brzenk da consulente per il film insegnò all’attore l’apertura delle dita per andare sopra l’avversario così spettacolare, ma ormai poco utilizzata. «Il nostro sport è super accessibile: tutto ciò di cui hai bisogno è la volontà», assicura Larratt per spiegare il successo di questa specialità.

«Finché hai un braccio e una mano, sei a posto per il braccio di ferro». «Ma per eccellere serve soprattutto la genetica», è l’analisi di Claudio Rizza, responsabile della Sezione Braccio di ferro Italia (Sbfi). Anche il nostro Paese sta assistendo a un boom di interesse per questa pratica, che c’entra davvero poco con la forza bruta, ma richiede soprattutto tecnica: «C’è la presa alta che è l’ideale per chi ha il braccio lungo; mentre chi ha un arto più corto preferisce il gancio. C’è chi usa di più la forza del bicipite e dell’avambraccio sulla chiusura, c’è anche una tecnica di apertura della presa che si chiama top roll, oppure la presa a sgancio o a ponte. Insomma, ognuno con il proprio allenatore e preparatore identifica la posizione migliore e la allena per sfruttare al meglio la propria corporatura, forza e velocità». E non servono attrezzature particolari, conferma Rizza, solo tanta forza di volontà e doti naturali: «Il braccio di ferro non si improvvisa, senza una predisposizione genetica adatta in termini di forza e apparato scheletrico non si può fare il salto di qualità. Quello si ottiene lavorando tanto. Non contano i macchinari, gli esercizi migliori sono quelli classici: trazioni alla sbarra, flessioni, carrucola con i carichi, bilanciere. Sono quelli più semplici, ma anche i più efficaci. Ecco perché il braccio di ferro, se da un lato richiede un talento naturale per eccellere, dall’altra parte è uno sport aperto a tutti coloro che vogliono sperimentarlo anche solo per divertirsi: non servono attrezzature, basta un tavolo e tanto impegno».

L’entusiasmo d’Oltreoceano è confermato anche dai numeri italiani: «Stiamo attraversando un buon momento, ovviamente rapportato ai numeri abituali del nostro movimento. Quando abbiamo cominciato negli anni Sessanta, avevamo 30-40 partecipanti nei nostri tornei. Adesso abbiamo più di cento iscritti a ogni evento. Vi assicuro che non sono pochi, perché il braccio di ferro è una specialità molto selettiva: o hai la stoffa o non fai strada», spiega il responsabile federale. Il sogno è quello di ottenere il riconoscimento ufficiale e l’ammissione alle Olimpiadi. Molti Paesi dell’Est sono già pronti, mentre negli Stati Uniti è ancora uno sport di nicchia. Anche se grazie allo streaming i tornei raggiungono sempre più appassionati. «Stiamo bussando alle porte del Comitato olimpico internazionale: forse non riusciremo a entrare nel programma dei Giochi con tutte le categorie – abbiamo anche i disabili –, ma gli atleti d’élite potrebbero accedervi anche grazie a una crescente visibilità mediatica», conclude Rizza. «Parliamo non di professionisti, perché ben pochi vivono di braccio di ferro, ma di sportivi veri che meritano il palcoscenico dei Giochi».

*Articolo pubblicato su Business People, novembre 2021

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