Perché ad analizzare il “caso Ferragni” dovrebbero essere le aziende

chiara ferragniDominique Charriau/WireImage

Di etica, sostenibilità e trasparenza in questo inizio d’anno si è discusso molto. La situazione venutasi a creare (parlo del caso Ferragni) ha interessato e coinvolto tutto il grande pubblico. Onestamente oltre a noi, fruitori di prodotti e servizi, chi sarebbe il caso si soffermasse ad analizzare coerentemente l’accaduto dovrebbero essere le aziende, e non solo quelle coinvolte in questo preciso contesto.

Purtroppo, l’utilizzo di testimonial e influencer spesso oscura o non è in linea con il valore del brand rappresentato. Sarebbe, però, opportuno che chi con procura opera a difesa quotidiana dei valori aziendali si attivi molto meglio e preventivamente per un’attenta valutazione delle attività. Insomma, essere ora coesi e determinati contro ogni forma di truffa è assolutamente ineccepibile, ma non dimentichiamo che sino ad alcune settimane fa per accompagnare le crescite aziendali ci si affidava con grande sicurezza a chi oggi viene “lapidato”.

Sappiamo che le aziende mandanti hanno un ruolo determinante e sono, come logico, vertice della piramide. Il passato non si può correggere, e poco conta discuterne se non vengono individuate per il futuro nuove strategie di comunicazione e promozione. Si dibatte poi sui guadagni faraonici di questi “moderni promotori”, ma anche in questo caso sorge spontanea la domanda: chi paga le loro parcelle? Le aziende come logico. Nella catena di costruzione del prezzo finale questi costi hanno un impatto rilevante e, in conclusione, chi salda è sempre il consumatore.

Non credo serva investire tempo ulteriore nella ricerca di colpevoli o presunti tali. Tutti ci auguriamo che da contesti come questi si possa uscire garantendo più trasparenza e volontà generale. Non dimentichiamo che esistono già stili di comunicazione efficienti e di valore promossi da manager capaci, coinvolti e creativi. Diventiamo “alleati” di chi in ogni espressione o messaggio trasmette trasparenza e affidabilità. Se non è sostenibilità questa!

© Riproduzione riservata