Sulla pelle dei manager

Sulla pelle dei manager© Getty Images

Danno da pensare le recenti dichiarazioni al Corriere della sera del dermatologo dei dermatologi italiani, Antonino Di Pietro. Che a domanda se anche gli uomini ricorrano sempre più alle celeberrime “punturine”, risponde: «Si avvicinano per essere competitivi: manager che all’improvviso, guardandosi allo specchio, si sentono insicuri… Oggi il mondo del lavoro non privilegia più l’esperienza, ma la grinta. Un mio paziente ha temuto per la carriera quando prima di un consiglio di amministrazione gli hanno chiesto se fosse malato. Lui era in perfetta salute, ma il suo aspetto non restituiva quella immagine». Quindi, vien da pensare (essendo diventato poi suo cliente), che per rassicurare gli azionisti quel manager sia andato alla fine a farsi “punturinare”.

Al netto delle problematiche psicologiche del singolo individuo, vien da chiedersi che azienda sia quella in cui un manager si senta spinto a ricorrere a infiltrazioni di botulino e acido ialuronico per rassicurare sulla tenuta delle proprie performance gestionali. C’è chi dice che ormai una bella pelle, un bell’aspetto, un fisico atletico e scattante, equivalgano a un bell’abito o a un bel paio di scarpe, così come a una bella auto: status symbol si diceva un tempo, ovvero rassicuranti segnali che tutto sia ok. Segnali che l’interessato manda all’esterno, così come all’interno.

Se un dirigente si sente insicuro sul lavoro perché ha una ruga i conti non quadrano

Solo che, se si tratta dei segnali sbagliati, si rischia il corto circuito: all’intero come all’esterno. Non è questione di fare recriminazioni di sorta, nessun giudizio – tutt’altro –, non c’è nulla di male se anche i manager ricorrono a interventi estetici per stare meglio con l’immagine che hanno e che danno di sé. Ma se un manager si vede, non dico costretto, quanto invogliato a “farsi bello” per rassicurare i propri datori di lavoro, capiterà la volta che un manager scattante e fresco di bucato, nonché debitamente botulinato, nasconderà dietro questa facciata qualche magagna, e gli azionisti potrebbero così essere indotti a non accorgersene. È un paradosso, ma poi non così tanto…

Quando, come osserva Di Pietro, il mondo del lavoro non privilegia più l’esperienza, ma la grinta, quando si punta più alla forma anziché alla sostanza, quando un manager si sente insicuro e non competitivo perché guardandosi allo specchio scopre una ruga o le occhiaie, quando un dirigente in perfetta salute teme di apparire malato, e quindi potenzialmente di poter essere estromesso dal suo incarico, allora – bisogna dirlo – ci sono conti che non quadrano. Non si tratta di contrapporre e idealizzare di converso l’estetica del cummenda dal girovita abbondante o del dirigente sgualcito, ma una via di mezzo va trovata, perché come diceva uno dei cavalli di battaglia di Corrado Guzzanti: «La riposta è giusta, è la domanda che è sbagliata».

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