Negli ultimi sei mesi il 13% degli italiani ha cambiato lavoro, mentre il 23% prevede di farlo nei prossimi sei. A muoverli non è solo l’ambizione, ma una combinazione di fattori concreti: primo fra tutti, uno stipendio ritenuto insufficiente.
Secondo i dati del Randstad Employer Brand Research 2025, la principale motivazione per lasciare il proprio posto è la retribuzione troppo bassa (39%), seguita dal desiderio di migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro (35%) e dalla volontà di crescita professionale (25%).
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In base allo studio Randstad, meno della metà dei dipendenti si sente adeguatamente retribuita, a dimostrazione di un divario significativo tra aspettative e realtà. Interessanti le differenze generazionali: la Gen Z, che cambia lavoro tre volte più spesso dei Baby Boomers, è meno interessata alla sicurezza del posto e più orientata alla formazione, allo sviluppo e a contesti lavorativi inclusivi. Per questa generazione, il tema della diversità e inclusione ha un peso doppio rispetto alle altre fasce d’età.
La voglia di cambiare cresce anche tra chi si sente poco coinvolto: il 39% dei lavoratori “disimpegnati” ha intenzione di andarsene, contro il 20% di chi si dichiara motivato. I fattori che aumentano l’engagement sono l’equilibrio vita-lavoro, il riconoscimento e un carico di lavoro sostenibile. Le aziende, dunque, si trovano a dover rispondere non solo a richieste salariali, ma anche a esigenze valoriali e motivazionali, con strategie di employer branding sempre più personalizzate.
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