Legge Brunetta, ma è davvero incostituzionale?

Da Livorno si solleva la questione di legittimità costituzionale sulla legge che prevede una decurtazione dello stipendio in caso di malattia per i dipendenti pubblici. In attesa del verdetto della Consulta, il commento dell’avvocato giuslavorista Francesco Rotondi

La legge Brunetta finisce sotto la lente della Corte costituzionale. A sollevare la questione il giudice del lavoro di Livorno, Jacqueline Monica Magi, che ha giudicato incostituzionale l’articolo 71 della legge 133 del 2008 che prevede per i dipendenti pubblici una decurtazione dello stipendio per i primi dieci giorni di malattia.

LA VICENDA. Per il tribunale toscano, che ha accolto un ricorso di 50 lavoratori della scuola della provincia di Livorno (docenti e personale Ata), l’articolo 71 in questione mina i principi degli articoli 3, 32, 36 e 38 della Costituzione. In particolare il magistrato ha fatto riferimento al principio di uguaglianza (art. 3), parlando di disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati; ma ha anche sottolineato come l’articolo della legge Brunetta non tuteli il “diritto alla salute” (art. 32) del dipendente. Inoltre, secondo il magistrato livornese, la decurtazione di un già basso stipendio del lavoratore pubblico non garantisce al lavoratore una vita dignitosa (previsto dall’art. 36 della Carta), e violerebbe anche l’articolo 38 della Costituzione che tutela l’assistenza sociale per un dipendente inabile al lavoro.

IL COMMENTO. «A mio avviso l’incostituzionalità del provvedimento non è così evidente», afferma l’avvocato giuslavorista Francesco Rotondi dello studio legale Lablaw – Failla Rotondi & Partners che sottolinea come l’articolo 71 previsto dalla legge Brunetta abbia lo scopo di incidere su un possibile uso distorto della malattia. Rotondi, che da oltre vent’anni si occupa di problematiche sociali e lavorative, non condivide l’espressione utilizzata dal giudice del lavoro di Livorno “Ammalarsi diventa un lusso che il lavoratore non potrà più permettersi”. «Con l’articolo 71 si va a riequilibrare la perdita prodotta da un atteggiamento un po’ troppo “facilone” da parte del dipendente», spiega Rotondi riferendosi a quelle persone che, per un mal di testa (anche finto), chiedono un giorno di malattia; un atteggiamento «che va a creare un danno economico alla società». Ma di che taglio di stipendio si sta parlando? La Funzione pubblica precisa che l’articolo 71 prevede la decurtazione del trattamento accessorio, cioè di quello legato all’effettiva prestazione o alla produttività dei dipendenti pubblici. «Una disposizione – continua l’avvocato Rotondi – che, premesso il diritto costituzionale alla salute, è prevista (con modalità diverse), anche all’interno di alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro, come il CCNL Commercio».

In definitiva il problema dell’assenteismo c’è, e va affrontato. E se nel privato si possono raggiungere accordi tra le parti, nel pubblico l’unico modo per intervenire è una legge. In quest’ottica, sottolinea Francesco Rotondi chiamando in causa (in questo caso) la magistratura, serve essere un po’ meno generalisti: «Siamo in un Paese in cui ogni volta che si fa qualcosa di buono (come una legge che colpisce i fannulloni, ndr) c’è qualcuno che si oppone» richiamando vincoli normativi. «Poi non ci si lamenti», aggiunge Rotondi. E sulla parità di trattamento tra lavoratore del settore pubblico e privato? Siamo realisti, «la parità di trattamento tra pubblico e privato non c’è, è un dato di fatto».

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