Il 15% delle donne italiane smette di lavorare in seguito alla nascita di un figlio, spesso non per scelta ma per decisione del datore di lavoro. Tra il 2008 e il 2009, infatti, circa 800 mila donne sono state licenziate o costrette a dimettersi a causa di una gravidanza. Si tratta dell’8,7% delle madri che lavorano o che hanno lavorato in passato e la percentuale sale al 13,1% per le donne giovani nate dopo il 1973. A segnalare la difficile conciliazione tra figlio e carriera è l’Istat che, in base a un’indagine condotta tra il 2008 e il 2009, nel suo rapporto annuale 2010 ha realizzato un capitolo sulla vita lavorativa della donne. Il capitolo figli, non è l’unico dato negativo per il gentil sesso: nel 2010, infatti, peggiora la qualità del lavoro e rimane la disparità salariale rispetto ai colleghi uomini (-20%). La retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è in media di 1.077 euro contro i 1.377 euro dei colleghi uomini, in termini relativi circa il 20% in meno. Il divario si dimezza considerando i soli impieghi a tempo pieno (rispettivamente, 1.257 e 1.411 euro).Un altro indicatore del “peggioramento della qualità del lavoro femminile – spiega l’Istat – riguarda la crescita delle donne ‘sovraistruite’, ovvero quelle con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta”. Fra le laureate, il fenomeno della sovraistruzione interessa il 40% delle occupate (31% tra gli uomini) e abbraccia tutto il ciclo della vita lavorativa.
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