I termini chiave della riforma del Lavoro

Da ‘apprendistato’ a ‘Partite Iva’, passando per ‘Articolo 18’ e ‘collaborazione a progetto’: alcune definizioni utili per comprendere meglio il provvedimento del ministro Elsa Fornero

Apprendistato. Per i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni assunti con questo contratto, il governo ha aumentato le agevolazioni azzerando quasi completamente i contributi a carico dell’azienda. Le imprese sono però obbligate a fornire al dipendente delle attività di formazione professionale certificata.

Articolo 18: i licenziamenti discriminatori. Avvengono quando il dipendente è lasciato a casa per una grave discriminazione da parte del datore di lavoro (legata a ragioni di tipo razziale, sessuale o politico-sindacale). La riforma non cambia nulla su questo fronte e ha mantenuto l’obbligo di reintegro nell’organico del lavoratore licenziato ingiustamente (ai sensi dell’articolo 18).

Articolo 18: i licenziamenti disciplinari. Sono legati ai comportamenti tenuti dal dipendente sul luogo di lavoro (per esempio per il sospetto di furti o per assenteismo). Quando i licenziamenti di questo tipo avvengono senza una valida ragione, la riforma ha abolito l’obbligo di reintegro (ai sensi del vecchio articolo 18). La decisione spetterà al giudice, che potrà stabilire se l’azienda deve riassumere il dipendente o è obbligata soltanto a erogargli un indennizzo in denaro.

Articolo 18: licenziamenti per motivi economici. Avvengono quando la permanenza al lavoro del dipendente crea un danno di tipo economico all’azienda. Se i licenziamenti di questo tipo vengono dichiarati illegittimi dal giudice, la riforma ha abolito l’obbligo di reintegro (ai sensi del vecchio articolo 18), consentendo all’azienda di erogare soltanto un indennizzo in denaro (a meno che il motivo economico del licenziamento non sia dichiarato dal giudice manifestamente infondato)

Aspi. È una sigla che indica l’Assicurazione sociale per l’impiego, un nuovo ammortizzatore sociale creato con la riforma del lavoro, che porterà alla nascita di un sussidio universale alla disoccupazione, che arriva sino al 70% del salario e dura al massimo 12 mesi (18 mesi per gli ultra 55enni). Sostituirà progressivamente la cassa integrazione in deroga e, in parte, quella straordinaria. Rimarrà invece la cassa integrazione ordinaria.

Associazione in partecipazione. È un contratto con cui diversi soggetti si associano per iniziare un’attività d’impresa, apportando capitale o lavoro. Spesso l’associazione in partecipazione nasconde in realtà dei rapporti di lavoro subordinato. Il governo ne ha limitato l’applicazione per evitare gli abusi.

Collaborazione a progetto. È un contratto di assunzione flessibile per il quale la riforma del lavoro ha introdotto maggiori vincoli. Aumenteranno i contributi previdenziali (che saliranno gradualmente dal 27 al 33% entro il 2018). Il contratto non potrà essere sciolto (se non per una valida ragione) prima della scadenza prestabilita o della conclusione del progetto per il quale il collaboratore è stato assunto.

Dimissioni in bianco. Si tratta di una pratica con cui alcune imprese costringono i dipendenti a firmare una lettera di licenziamento, già al momento dell’assunzione, che viene poi usata dalle aziende per lasciare a casa i lavoratori quando non servono più. Il governo si è impegnato a combattere questo fenomeno che colpisce soprattutto le donne in gravidanza.

Lavoro intermittente (o a chiamata). È un contratto utilizzato per il lavoro occasionale (per esempio nell’organizzazione di eventi o nei week-end). La riforma vuole contrastarne l’abuso imponendo alle aziende l’obbligo di una comunicazione amministrativa, ogni volta che il dipendente viene chiamato a svolgere la sua prestazione.

Partite Iva. Sono quelle con cui molte persone oggi, in Italia, sono costrette a lavorare (con una forma di collaborazione autonoma), anche se svolgono di fatto le stesse mansioni di un qualsiasi dipendente. La riforma Fornero ha limitato questa pratica assimilando (dal punto di vista giuridico) le false partite Iva al lavoro subordinato, purché vi siano certe condizioni: quando, cioè, il collaboratore guadagna meno di 18 mila euro all’anno e, per due anni consecutivi, ricava da una sola azienda l’80% del proprio reddito e quando opera stabilmente presso la sede dell’impresa (con propria postazione) per almeno sei mesi consecutivi.

ARTICOLO PRINCIPALE – Riforma Fornero alla sbarra

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