Dove vanno i nuovi gentleman

Dimenticate l’immagine polverosa dei circoli per soli aristocratici: da Londra a New York, passando per Milano e Roma, il capitalismo di relazione conquista ambienti moderni, informali e aperti anche alle donne. Qui la sostanza conta, forse, più dell’apparenza

Niente cravatta, tablet accesi e discorsi informali: ecco i club per i nuovi gentleman del Terzo millennio, dove si fanno gli incontri che contano davvero. Esclusivi ma informali, riservati ma trendy: qui è più importante essere che apparire, e le idee nuove valgono più della giacca firmata. Una rivoluzione silenziosa partita da Londra, dove accanto agli indirizzi tradizionali come il White’s, il primo circolo in assoluto fondato nel 1693 da un italiano, Francesco Bianco, il Carlton, forse il più elitario, o il Reform dove Jules Verne ambientò la scommessa de Il giro del mondo in 80 giorni, si è affacciata una nuova generazione di club privati, più moderni, disegnati da famose archistar e arredati con stravaganza.

Non che sia facile entrare – le liste d’attesa sono interminabili e in molti casi bisogna essere presentati – però, una volta ammessi, ci si sente parte di un mondo elitario, dinamico, al passo coi tempi. Dove tradizione e tecnologia, nobiltà e intraprendenza, capitali e idee vanno a braccetto. Di certo non alla portata di tutti (l’iscrizione può arrivare a costare anche 20 mila euro l’anno), garantiscono il contatto con quell’un per mille di persone che contano davvero: vip e capitani di industria, artisti e politici, aristocratici e luminari. Ciò che forse non vi aspettate è vederli chiacchierare al tavolo davanti a un drink, col laptop acceso e vestiti casual. Le nuove élite sono più flessibili e informali, riscrivono le regole e ne inventano di nuove: addio all’immagine di nobili signori chiusi in una stanza con boiserie alle pareti, a sorseggiare tè in assoluto silenzio su pesanti poltrone di pelle. La trasformazione epocale è cominciata qualche anno fa ed è partita dall’East End di Londra per poi diffondendosi in tutta la City e anche in campagna – il Babington House, per esempio, è nel Somerset – poi nel resto del mondo.

Fra i nuovi club privati, gli indirizzi sulla bocca di tutti sono il Devonshire Club – 20 mila sterline l’anno di retta – con sale private, ristorante, una pista da ballo e camere per la notte. Oppure il Marks, il Loulou, l’Arts Club, l’Home House o l’Annabel’s, il club delle top model e delle principesse. I nuovi signori vanno all’Hospital Club o al Shoreditch House, dove si pranza a bordo piscina nella terrazza sul tetto e non è insolito incontrare Kate Moss o Naomi Campbell (ma la lista d’attesa per essere ammessi è praticamente infinita). Poi ancora l’Eight Club, forse il primo a ribellarsi all’establishment dei più antichi e tradizionali, e quello per soli under 35: l’Interclub, con 600 iscritti della meglio gioventù britannica. I più alternativi? Il Blacks Club a Soho, ex quartiere a luci rosse oggi fra i più movimentati e anticonformisti della città, oppure The Groucho, dal nome di uno dei comici fratelli Marx, preferito da scrittori, pittori e intellettuali. Anche perché la quota di iscrizione è più accessibile – 500 sterline l’anno – la metà per gli under 30. Ma da dove è cominciato tutto? Andiamo con ordine.

OLD STYLEI primi club nascono a Londra alla fine del ‘600 – ma qualcuno sostiene che abbiano preso spunto dalle “stanze di conversazione” sorte in Toscana qualche decennio prima – e sono riservati esclusivamente ai nobili. Il primo in assoluto è il White’s, in St. James Street, aperto fin dal 1693. È un luogo dove ritrovarsi con i propri pari per un drink, una partita a carte o una scommessa: si ricorda ancora quella di 3 mila sterline su quale goccia di pioggia sarebbe caduta prima a terra dalle finestre aperte. Nell’800 i club si moltiplicano, aprono anche alla ricca borghesia e alle élite culturali: è il periodo d’oro e a Londra si contano ben 400 indirizzi – oggi ne rimangono una ventina soltanto – tra i quali spicca su tutti il Carlton, talmente esclusivo, vecchio stampo e rigorosamente per soli uomini, al punto che si dovette fare un’eccezione, l’unica, per fare entrare Margaret Thatcher. Poi nessun’altra fino al 2008, quando il club ha riscritto il suo regolamento e aperto le porte anche alle donne.A proposito di donne, sono ancora escluse dal White’s, dal Travellers e dal Garrick, mentre il Reform, più di sinistra perché fondato da un membro influente del partito liberale dei Whig, le accetta dal 1981. Un altro indirizzo tradizionale è l’Athenaeum, famoso per l’aneddoto dei 40 ladroni: nel 1838, infatti, rischiava di chiudere per bancarotta quando i soci decisero di aprire le porte a 200 nuovi membri, 40 dei quali – i “ladroni”, appunto – riuscirono a scavalcare le lunghissima lista d’attesa: tra loro c’erano Charles Dickens e Charles Darwin. Col passare del tempo, i circoli si differenziarono in base agli interessi dei soci: il Travellers, per esempio, era riservato a chi avesse viaggiato più lontano di 500 miglia da Londra, quindi fuori dal Regno Unito. Mentre il Garrick è nato come buen retiro per attori e star. Ma una cosa li unisce tutti, e cioè le regole. Rigide, senza compromessi, vecchio stampo, inflessibili: nessun socio, non importa quanto paghi ogni anno per il privilegio, fossero anche 20 mila sterline, potrà mai entrare se si presenta vestito casual. È il portiere che lo lascia fuori. Ma le cose altrove stanno cambiando.

LE SOHO-HOUSESDopo un periodo di declino, i club per gentiluomini sono tornati in auge grazie a una nuova formula. L’inventore è tale Nick Jones che nel 1995 ha aperto la sua prima Soho-House, uno spazio giovane e trendy, senza nessuna pretesa, tantomeno quella di sfidare l’establishment degli storici club. E invece così è stato: la formula funziona subito e i circoli si moltiplicano: oggi se ne contano 14 in tutto il mondo, da Berlino a New York a Miami. Come si spiega il successo? Semplice: oltre ai soci – con una lunga lista d’attesa e una quota che non supera le 2 mila sterline l’anno – anche gli esterni possono accedere agli alberghi annessi ai vari club. Un’alternativa agli hotel cinque stelle, con qualcosa in più: solo qui si respira l’atmosfera esclusiva e un poco bohémienne dei club privati. Gli indirizzi da non perdere? La Shoreditch House di Londra con la sua piscina riscaldata in terrazza, il barbiere, un bar per feste super-private e 26 camere per gli ospiti. Oppure la Soho House di Berlino, inaugurata nel 2010, con 60 camere e un cinema interno per i soli ospiti. Altre location dispongono di spiagge private, come la Soho Beach House di Miami, oppure di spa extra lusso, come nella Soho House di New York dove pare sia nata l’idea di Spotify, su un tavolino a bordo piscina.

MADE IN ITALYDa noi, i club ufficiali – diversi dai “salotti”, romani e non, dove spesso si decidono le sorti del Paese – sono solo quelli riconosciuti dall’Unione Circoli Italiani, in tutto diciotto. Anche qui si incontrano i “new gentleman”, ma l’etichetta ha ancora il suo valore. Il più antico è il Circolo degli Uniti di Siena, con la sede che si affaccia fin dal lontano 1657 su piazza del Campo, posizione strategica per seguire il Palio. Il più esclusivo? Il Circolo della Caccia di Roma, così snob da aver respinto l’adesione dell’imprenditore e collezionista Paul Getty, perché al circolo si entra solo con quattro quarti di nobiltà, ed è necessario sottoporsi al rito delle biglie bianche e nere, con le quali i membri accettano o rifiutano le candidature.Tre sono invece gli indirizzi a Milano. Il primo, fondato nel 1783, è la Società del Giardino che conta a oggi 500 iscritti, solo uomini, per la maggior parte imprenditori e liberi professionisti. Qui, nel sontuoso Salone d’Oro, si tiene ogni anno il consueto Ballo delle Rose, il secondo giovedì di giugno, uno tra gli eventi più esclusivi e attesi. Sempre a Milano c’è il Clubino, con 105 anni di storia e più di 500 soci, anch’esso per soli gentleman: è il circolo dei grandi dell’economia italiana, come Barilla o Tronchetti Provera. Ma non di Alessandro Benetton, rifiutato – fu uno spiacevole malinteso, dicono – nel 2007. Si tratta di un club vecchio stile: le donne sono ammesse solo come ospiti, mentre è vietato in ogni caso l’ingresso alle sale con cellulari, borse e valigette. Sito internet? Non se ne parla nemmeno. Infine il Circolo dell’Unione, ritrovo storico della nobiltà meneghina, fondato nel 1841 e frequentato, solo per citare alcuni nomi famosi, dai Borromeo, i Visconti di Modrone, i Falck e i Pirelli. Come si entra? Chiedere – o pagare – non serve: solo gli attuali soci, circa 600, possono eleggere i futuri. Il più discreto? La Società del Wist-Accademia Filarmonica di Torino, nata dall’unione del Circolo Wist con l’accademia musicale della città, una vera istituzione per l’alta società, dagli Agnelli ai Pininfarina, dai Ferrero ai Galateri di Genola.

NEL MONDODall’America a Hong Kong, gli “inner circle” più esclusivi, quelli che contano davvero, sono una decina soltanto. A New York il più prestigioso è il Metropolitan, fondato da John Pierpont Morgan nel 1861: ne sono stati soci Ronald Reagan, Richard Nixon e Gerald Ford. Tra i più ambiti anche The Knick, ovvero il Knickerbocker Club, e lo Union, il primo circolo per gentleman nato nella Grande Mela, nel 1836. Il più frequentato resta comunque lo Yale Club, con oltre 11 mila soci nel mondo, mentre tra i più recenti e di tendenza, la gente che conta predilige il Norwood, ritrovo di designer e creativi. Oppure il costosissimo Core, dove si entra solo dopo aver versato la quota di iscrizione di 50 mila dollari e 15 mila annuali. Troppo? Per qualcuno sono briciole. E poi volete mettere il privilegio di fare una colazione di lavoro accanto a Bill Clinton?

Tornando in Europa, a Parigi le élite si incontrano al Jockey Club o al Cercle de l’Union Interalliée, a Madrid al Real Gran Penao al Casino de Madrid mentre a Mosca il salotto buono si chiama Monolith. Sono invece gli ultimi nati, ma si stanno facendo un nome velocemente, i China Club di Sir David Tang: è qui che si incontrano i diplomatici e gli uomini d’affari quando passano per Hong Kong, Pechino o Singapore. La retta? Fino a 5 mila euro al mese, oltre all’iscrizione naturalmente.Tradizionali o moderni, old style o alla moda non importa: nel mondo globalizzato degli affari anche il capitalismo è fatto di relazioni e i salotti buoni sono quelli dove ci si incontra di persona.

I CLUB BICENTENARI
Per entrare servono almeno due secoli di attività imprenditoriale alle spalle, altrimenti si resta alla porta. La francese Les Hénokiens è la più esclusiva tra le associazioni internazionali, e anche gli Agnelli dovrebbero fare quasi un secolo di anticamera perché le regole di ingresso sono chiare: duecento anni, non uno di meno. Ma non solo: gli imprenditori devono dimostrare che il controllo è sempre rimasto nelle mani della famiglia e che l’azienda è sempre stata sana. Fondato da Gérard Glotin nel 1981, oggi il club conta solo 44 dinastie industriali: 1 francesi, cinque giapponesi, quattro tedesche, tre svizzere, due belghe, due olandesi, una austriaca e una britannica. L’Italia? è la nazione più rappresentata, con 14 aziende: ci sono i veneziani Barovier, che soffiano vetro da 719 anni, Guido Piacenza (280 anni di attività), la Cartiera mantovana con i suoi quattro secoli di storia, la dinastia calabrese della Liquirizia Amarelli (vedi articolo a pag. 92) e poi ancora Augustea (1629), Beretta (1526), Bortolo Nardini (1779), Colbachini (1745), Confetti Pelino (1783), Giobatta e Garbelotto (1775), Guerrieri Rizzardi (1678), il lanificio G.B. Conte (1757), Monzino (1750) e Vitale Barberis Canonico (1663).

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