La Generazione Z, la fascia di giovani nati tra il 1996 e il 2012, è stata presa in esame dall’Osservatorio Hr Innovation Practice dell’Università di Milano. Si tratta del 13,5% della popolazione italiana e il 10% della forza lavoro attiva. Secondo le previsioni, entro cinque anno, chi gli appartiene a questa categoria supererà la metà della popolazione lavorativa mondiale, toccando quota 58,5%.
Stando ai risultati della ricerca, la platea di giovani nativi digitali che oggi si affaccia sul mercato del lavoro è la più formata di sempre: il 47% dei neoassunti possiede infatti un titolo di studio universitario. Per la prima volta poi una parte della didattica, scolastica e universitaria, si è svolta da remoto, anche grazie allo sviluppo tecnologico e alle misure adottate durante la pandemia da Covid.
Precarietà e occupazione in calo
La ricerca evidenzia una precarietà generale, dovuta a una serie di crisi che si sono susseguite negli ultimi 17 anni. Dalle recessioni economico-finanziarie del 2008 e del 2012 al Coronavirus, fino a crisi climatica e ai conflitti che hanno esacerbato l’equilibrio geopolitico mondiale. Sul piano lavorativo, i giovani sono molto più attenti “agli impatti ambientali e sociali delle azioni”. Inoltre, la Gen Z ha una sfiducia nei confronti delle istituzioni, dallo Stato alle organizzazioni private. Il mercato viene giudicato “molto complicato”, perché si richiede un’alta specializzazione, non sempre fornita dal titolo di studio.
L’occupazione giovanile è in calo. Nel periodo 2004-2022 la quota di lavoratori nella fascia 15-34 anni è diminuita di oltre l’8%, mentre è salita di quasi il 20% quella dei 50-64enni. A complicare il quadro è un altro dato. Solo il 2% delle risorse del Pnrr vengono investite sul piano occupazionale. Si tratta di una quota minima a fronte di un 16% del Pil investito alla previdenza e al sistema pensionistico, tra le percentuali più alte dell’Unione europea.
Le preoccupazioni dei giovani
I giovani hanno paura di “non trovare lavoro”, di trovarlo in un ambito diverso rispetto alla propria formazione o di ottenere un “contratto non dignitoso”. A confermare un contesto complesso sono i dati sull’inflazione cumulativa, cresciuta del 109% nel periodo 1990-2023. Per non parlare dell’aumento dei canoni d’affitto e dei prezzi per l’acquisto di una casa, saliti rispettivamente del 16% e del 13% nel periodo 2010-2023. Tuttavia gli stipendi reali annui hanno registrato una flessione del 3% in 30 anni.
La generazione Z, consapevole di costituire i giovani più formati, valuta la possibilità di cercare condizioni occupazionali più eque all’estero. L’80% si detto pronto a cercare un impiego fuori dai confini nazionali, un fenomeno che già tra il 2011 e il 2023 ha riguardato più di mezzo milione di giovani italiani tra i 18 e i 34 anni. Circa il 40%, infine, ha cambiato lavoro perché insoddisfatto della retribuzione.
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