Entro il 2030 il lavoro subirà molte trasformazioni, fra queste quella che vedrà la Gen Z rappresentare un terzo di dipendenti nelle aziende di tutto il mondo. In un contesto geopolitico, sociale e professionale complesso, le persone guardano a un ambiente stimolante, che dia priorità al benessere, alla soddisfazione lavorativa e alla fiducia. È stato sottolineato durante la seconda edizione dell’Annual Conference di ManpowerGroup Italia.
Un altro dato importante riguarda la propensione a lasciare il proprio lavoro nel giro di sei mesi. Di questa idea è il 49% del personale che appartiene alla Generazione Z, contro un 47% a livello mondiale. La percentuale italiana di coloro che pensano che saranno costrette a farlo è pari al 35%, contro il 34% a livello globale. Il 20% degli italiani però è preoccupato di non ruscere a trovare un altro posto in linea con le proprie esigenze e ambizioni.
I dettagli dello studio
“L’attenzione all’ascolto, all’engagement dei propri talenti da parte delle organizzazioni è fondamentale – ha dichiarato Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia – Nella We Economy che si sta sviluppando le aziende del futuro dovranno essere ecodigitali, umane, personalizzate, adattabili e plurali. Queste le parole chiave emerse dai dibattiti e dagli interventi dell’evento”.
Secondo il report di ManpowerGroup il lavoro della Gen Z è in crisi. Dal 2020 a oggi, l’engagement dei giovani talenti rispetto alle aziende in cui lavorano è calato dal 40% al 35%. Questo accade perché ci si ente abbandonati dai vertici. Inoltre la Gen Z si sente più debole dal punto di vista dell’equilibrio mentale rispetto ad altre generazioni. Si parla del 57% in Italia, contro il 52% a livello globale. Sono lavoratori che sentono un atto livello di stress legato al proprio contesto professionale.
“Siamo nell’età dell’incertezza e del caos, iniziata l’11 settembre 2001 e proseguita con crisi economiche, pandemie, declino delle vecchie potenze e ascesa di nuove – ha spiegato Paolo Magri, presidente del Comitato Scientifico dell’ISPI – È cambiato il paradigma, dal sogno di una globalizzazione che avrebbe fermato le guerre e unito il mondo a una realtà di divisioni e tensioni, sia tra Paesi sia al loro interno”.
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