Ormai non si pensa alla gestione del lavoro come in passato. La formazione assume un ruolo determinante in un numero di aziende sempre maggiore e lo dimostrano le Corporate Academy che, in 14 anni (dal 2010 al 2024) sono passate da 25 a 232. Si tratta di risorse per far rimanere in Italia professionisti preparati, per aggiornarli e per affrontare al meglio l’avanzare delle nuove tecnologie.
Il 94,4% di queste realtà è ormai consolidato ed è altamente competitivo nella formazione manageriale ed esecutiva. Non ci si concentra più soltanto sui corsi obbligatori, ma hanno una maggiore considerazione anche temi centrali come il forecasting, la gestione del cambiamento e la costruzione di una cultura aziendale.
La formazione in Italia
La formazione in Italia sta prendendo sempre più piede, metà delle Corporate Academy dispone di un’infrastruttura fisica dedicata e l’80%, l’anno scorso, ha visto aumentare i finanziamenti rispetto al 2023. Tuttavia, ci sono degli aspetti ancora da migliorare. Soltanto una minoranza dispone di laboratori di ricerca propri e solo nel 20% dei casi c’è una partecipazione attiva al reclutamento del personale.
Le attività formative restano rivolte soprattutto al personale interno – c’è un’attenzione particolare agli operai, ai middle manager e ai neoassunti – ma si sta assistendo a un’apertura all’esterno, con iniziative rivolte a studenti, fornitori e stakeholder. Il Rapporto Assoknowledge 2025 mette in evidenza un dato importante: le Academy sono strumenti chiave per attrarre competenze e trovare un’identità aziendale più marcata. Sono di questa opinione, fra gli altri, Enel, Manpower, Lamborghini, Gridspertise, Six Seconds.
Le criticità delle Academy
In un’epoca in cui le transizioni verso il digitale e green rappresentano una sfida che non deve cogliere impreparati, la formazione è una risorsa sulla quale investire il più possibile. Basti pensare alla difficolta di trovare le competenze necessarie, un fenomeno che è stato identificato con il termine mismatch. È un problema che interessa l’81% delle pmi e due aziende su tre: oltre la media Ue, che si ferma al 74%.
Soltanto nel 2023 il mismatch ha causato una perdita di valore aggiunto pari a 43,9 miliardi di euro, una cifra che corrisponde al 2,5% del Pil. È una criticità da risolvere, se si pensa che nei prossimi cinque anni si stima un fabbisogno di competenze green e digitali destinato a toccare 4,6 milioni di lavoratori.
Inoltre, è aumentata sensibilmente la domanda di competenze digitali. Tra il 2023 e il 2024, nel nostro Paese sono stati pubblicati 184 mila annunci per cercare sviluppatori web, ingegneri software, specialisti IT, data scientist e profili specializzati nella cybersecurity.
Un capitolo a parte è quello che riguarda l’AI. Le richieste di profili specializzati in intelligenza artificiale sono aumentate del 73%. E, anche qui, l’offerta formativa non risponde come dovrebbe. Solo l’1,5% dei laureati italiani proviene da corsi Ict, contro una media Ue del 4,5%, e gli Its Academy – seppur in crescita – non coprono ancora la domanda.
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