Disillusi sul lavoro, solo il 17% è pienamente soddisfatto del proprio impiego

Disillusi sul lavoro, soltanto il 17% è pienamente soddisfatto del proprio impiego© Shutterstock

I disillusi sul lavoro sono molto diffusi, a conferma che in Italia c’è un malessere generalizzato. Non a caso, soltanto il 17% degli intervistati si è detto pienamente ingaggiato e appena il 10% sta bene al lavoro, tenendo conto tre parametri: fisico, relazionale e mentale. 

Una diretta conseguenza dell’insoddisfazione è il cambio di lavoro, avvenuto nell’11% dei casi nell’ultimo anno, il 30% non lo ha ancora fatto ma ha intenzione di farlo entro il prossimo anno e mezzo. La titubanza sta nel fatto che si debba fare i conti con l’inflazione, una probabile recessione e una generale instabilità economica.

Sono in crescita i quiet quitter, coloro che non cambiano lavoro, ma fanno il minimo perché non sono emotivamente coinvolti. Sono il 14% del totale, che corrisponde a uno su sette degli intervistati. Passa dal 58% al 52% la quota di chi sta effettivamente facendo dei colloqui. Soltanto il 20% di chi ha deciso di cambiare datore di lavoro e contesto si è pentito, tuttavia non è stato sufficiente per superare l’insoddisfazione. Nella scelta di un nuovo lavoro, dopo il benessere, ci sono le tutele contrattuali, la retribuzione e i benefit. Ecco perché vengono valutati positivamente i buoni pasto e l’assistenza sanitaria.

“In questo contesto, la sfida principale per le Direzioni HR nel 2025 è lavorare sul senso e il significato del lavoro, cercando di ovviare al senso di precarietà crescente – ha dichiarato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice – In un’epoca di grande trasformazione, tra ricambio generazionale e rivoluzione tecnologica, l’HR deve tracciare la rotta del cambiamento delle organizzazioni, che oggi passa da AI, nuove strategie e nuove competenze”.

Il ruolo dell’AI sul lavoro in Italia

In questo scenario, in cui i disillusi sul lavoro sono la maggior parte, ha una forte influenza l’AI. Non a caso il 45% delle aziende ha già investito nell’intelligenza artificiale e il 60% la sfrutta a supporto della produttività individuale.

“Le aziende italiane stanno investendo in AI, ma le Direzioni HR faticano ancora a governare questa trasformazione – ha spiegato Martina Mauri, direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice – a cominciare da una scarsa comprensione di come i lavoratori la stiano già utilizzando nelle loro attività, con il rischio di assistere alla diffusione di nuovi strumenti e comportamenti senza una chiara strategia e senza capacità di guidarne gli impatti”.

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