Così le aziende italiane affrontano il mismatch tra domanda e offerta di lavoro

Lo scollamento tra proposta educativa e capacità richieste dal mondo del lavoro è un fenomeno assodato e riconosciuto. Alle imprese non resta che adoperarsi direttamente per formare i nuovi assunti. Ecco come

Così le aziende italiane affrontano il mismatch tra domanda e offerta di lavoro© Getty Images

Le aziende italiane faticano sempre di più a trovare candidati da assumere che abbiano le competenze ricercate, quelle che corrispondono alle necessità di un mondo del lavoro in rapida e continua evoluzione dovuta essenzialmente alla forte spinta di innovazione tecnologica degli ultimi anni.

L’impatto importante della trasformazione digitale ha rivoluzionato lo spettro dei profili professionali tradizionalmente più ricercati, e spiazzato le aziende abituate a un’organizzazione del lavoro basata su standard consolidati, a un sistema di recruiting pressoché sempre uguale a sé stesso e alla difficoltà di dover far fronte contemporaneamente anche a un adeguamento delle competenze del personale già assunto. Secondo una recente indagine dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, sarebbero addirittura l’88% delle organizzazioni italiane (sia private che pubbliche) a essere in difficoltà con le assunzioni. E in più della metà dei casi le difficoltà sarebbero cresciute nell’ultimo anno.

Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro in Italia

Il mismatch fra domanda e offerta di lavoro è dovuto soprattutto alla carenza di competente tecniche (57%) e di soft skill (36%), ma anche all’incapacità o all’impossibilità di offrire a chi si candida, quanto desiderato in termini di retribuzione e possibilità di carriera ma, soprattutto nel caso dei più giovani, anche di flessibilità e stile di vita. Le ripercussioni di queste difficoltà sono pesanti.

«Il 42% delle aziende che abbiamo coinvolto nella nostra indagine», racconta Mariano Corso, docente e responsabile scientifico dell’Osservatorio HR, «palesano l’intenzione di aumentare il proprio organico per accompagnare la crescita del business, ma sono quasi rassegnate al fatto che la difficoltà ad assumere porterà a un’inevitabile limitazione della crescita e quindi del fatturato. È un problema reale, un problema di business che si riflette direttamente su chi si occupa di risorse umane. Non solo faticano a trovare candidati adatti, ma sempre più spesso si vedono rifiutare le proposte anche da quelli che avrebbero competenze in linea con le esigenze aziendali».

Pertanto, i processi di recruiting e di selezione stanno diventando sempre più costosi e inefficienti. Le cause sono note: si va da problemi di natura demografica a quelli di bassa scolarizzazione, dalla fuga dei cervelli a un disallineamento con il mondo del lavoro che è innanzitutto di carattere educativo e accademico (la percentuale dei laureati in discipline Stem in Italia è la più bassa in Europa), per finire con l’incapacità di prevedere esigenze – e conseguentemente programmare soluzioni – che affligge il nostro Paese.

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La risposta delle aziende: Employee Value Proposition e flessibilità

Ma quali sono le soluzioni? «Prima di tutto», afferma Corso, «bisogna evitare di farsi sfuggire quelle risorse che pur possedendo le skill che corrispondono alle esigenze aziendali, rifiutano comunque l’offerta di lavoro. Qui è necessario un cambio di paradigma: così come l’azienda offre un prodotto appetibile ai propri clienti, deve offrirne uno altrettanto appetibile ai propri potenziali collaboratori. Oltre a una retribuzione adeguata, che serve, ma non è sufficiente, l’azienda deve offrire quella che si chiama Employee Value Proposition. Bisogna cioè offrire benessere, worklife balance, flessibilità. Rendere attrattiva la propria attività spingendo sul purpose, su quello che può essere l’impatto che il candidato giovane, laureato, ad alta professionalità può avere lavorando per un’azienda che produce benessere, equilibrio sociale, salute. Sono valori molto importanti, soprattutto per i più giovani. E possono essere decisivi per le aziende per attrarre i migliori talenti».

E per chi le skill non ce le ha? Sembrerà forse paradossale, visto che questo disallineamento fra domanda e offerta si è venuto a creare sotto la spinta dell’automazione e della transizione digitale. Ma è proprio l’innovazione tecnologica che può dare un forte contributo per ridurre questo gap. «Il nostro Osservatorio sull’AI», chiosa Corso, «ha cercato di stimare quello che è il potenziale di crescita di produzione legato alle nuove tecnologie nei prossimi dieci anni, e avremo un apporto equivalente a 3,8 milioni di posti di lavoro. Non pochi, anche se nello stesso periodo almeno 5,6 milioni di persone usciranno dal tubo demografico del lavoro. Sul ruolo dell’intelligenza artificiale si fa una confusione pazzesca, la discussione si è fossilizzata sull’inevitabilità della perdita di posti di lavoro. Così c’è il rischio di prendere un abbaglio clamoroso.

Reskilling e formazione interna: la soluzione più efficace per colmare il gap di competenze

L’AI generativa è invece uno strumento utilissimo che le aziende possono usare per il reskilling che è la strada più efficace nel breve periodo per superare il disallineamento fra domanda e offerta di lavoro dal punto di vista delle competenze. Non trovando le risorse adatte all’esterno, le organizzazioni possono rivolgere lo sguardo al proprio interno ed effettuare importanti operazioni di formazione alle risorse già impiegate, in modo da coprire le nuove esigenze di lavoro. Rispetto alla prima ondata delle tecnologie digitali, questa dell’intelligenza artificiale è particolarmente accessibile e democratica. Mentre prima c’era un divide importante e non potevi interagire con un sistema tecnologico a meno che non avessi capacità di programmazione, o non avessi conoscenze di linguaggi specifici, tutti questi nuovi strumenti basati su AI permettono un’interazione basata sul linguaggio naturale. Significa che anche il non laureato o il laureato in una disciplina non Stem può essere formato, da giovane o da adulto, per interagire con essi».
Discorso valido sia per le risorse interne sia per quelle da assumere. In questo senso, durante la selezione la valutazione delle soft skill potrebbe risultare più strategica a lungo termine rispetto a quella delle hard skill. Che si possono comunque acquisire con la formazione interna.

Fare reskilling di risorse già in azienda è di certo una strada più veloce e meno costosa rispetto a quella di assumere nuovo personale. Di più: aziende particolarmente strutturate che periodicamente hanno bisogno di nuovi assunti, possono creare al proprio interno una vera e propria scuola di formazione, un’Academy, in modo da attrarre giovani talenti, impegnarli direttamente nella pratica lavorativa e colmare subito l’eventuale disallineamento di competenze secondo le effettive necessità dell’organizzazione. L’unico rischio è che una volta formata la risorsa possa decidere di andarsene, con evidente aggravio per l’azienda. Lì avranno il loro peso i già citati Employee Value Proposition e il purpose dell’azienda.

I casi Luxottica e Lamborghini

«Noi stiamo lavorando con due aziende», racconta Corso. «In Luxottica molte persone stanno andando in pensione. C’è bisogno di nuove risorse in fabbrica e non è scontato trovarle. Stanno riorganizzando il lavoro, puntando al segmento lusso e investendo fortemente sulle nuove tecnologie. Ma non solo. L’azienda sta anche pensando a una strategia di proposizione verso i suoi dipendenti e candidati. E sta facendo un’operazione importante sulla proposizione della settimana corta: a parità di retribuzione netta per il lavoratore, si lavora solo quattro giorni a settimana per una parte importante dell’anno (20-25 settimane circa). A fronte di questo si chiede di partecipare all’innovazione per poter aumentare la produttività. Così l’azienda si differenzia sul mercato del lavoro e diventa attrattiva. Si offre a dipendenti e candidati un lavoro che permette di avere più tempo per le proprie passioni, di vivere in modo più equilibrato e al contempo di fare la differenza.

Stessa cosa sta facendo Lamborghini. Alla fine, queste aziende stanno scommettendo su una strategia verso le persone, non solo sui colletti bianchi ma su tutte le risorse umane della catena». Dunque, aprire a flessibilità con smart working, wellbeing facility all’interno dell’azienda. Un’altra alternativa all’assunzione di nuovi talenti è quella di esternalizzare il lavoro. Molte aziende stanno ricorrendo a questa soluzione, ideale soprattutto in caso di progetti temporanei, o che richiedono competenze totalmente assenti in azienda. In questo modo il costo da fisso diventa variabile, il gap di competenze è superato e le risorse interne possono continuare a occuparsi delle normali mansioni. Unico difetto è che quelle competenze in azienda continueranno a non esserci.


Skillup: corsi gratuiti per imparare a lavorare

Quello dello Skill Shortage è uno degli effetti più deleteri causati da problemi strutturali del nostro Paese: scarsa natalità, bassa scolarizzazione, protezione di interessi particolari, retribuzioni basse, immigrazione non qualificata, alta incidenza del fenomeno dei Neet. Proprio riguardo quest’ultimo problema, però, qualcosa si sta muovendo negli ultimi mesi. Per ora si parla di soli 550 giovani disoccupati, inoccupati o Neet. Si chiama Skillup, la tua strada nel mondo del lavoro, ed è un progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e promosso da Generation Italy e Fondazione Adecco.

L’obiettivo è permettere a giovani fra i 18 e i 34 anni, senza alcuna conoscenza tecnica o esperienza professionale, ma intenzionati a lavorare in ambito digitale, di superare il proprio mismatch di competenze e candidarsi alle offerte che il mercato del lavoro propone. Per accedere ai corsi non sono richieste competenze particolari, né titoli di studio o esperienze pregresse di lavoro. L’unico requisito, oltre a quello dell’età, è quello di non avere un lavoro o non essere iscritti a un corso di studi (appunto Neet, acronimo inglese per Not in Education, Employment or Training). Si tratta di corsi online completamente gratuiti, articolati in 22 classi della durata massima di 14 settimane in formula full-time. Alla fine, viene garantito almeno un colloquio di lavoro con le aziende partner di Generation Italy (sono più di 800). Le prime classi sono partite nel luglio scorso, altre a settembre, mentre i primi colloqui sono previsti a ottobre.


Articolo tratto da Il talento? Prima si sviluppa poi si gestisce, terza edizione dello speciale Obiettivo Formazione, pubblicato sul numero di Business People di ottobre 2024. Scarica il numero o abbonati qui

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