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Tenetevi buono il retail

Ormai il consumatore si fida più delle insegne che dei brand, dicono i numeri uno della Gdo italiana. E le aziende devono scendere a compromessi con le grandi catene anche dove non vorrebbero, cioè sul prezzo. Ecco come è cambiato il rapporto di forza tra marchio e negozio. Parlano Bernasconi di Mediamarket, Corrado di The Space Cinema, Dall’Ara di Salmoiraghi&Viganò e Sardo di Feltrinelli

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Guai a chiamarli decisori del mercato. Preferiscono definirsi facilitatori, al massimo arbitri. Eppure le grandi insegne della distribuzione moderna sono sempre di più il vero ago della bilancia per il successo di un prodotto, e in alcuni casi per la sopravvivenza stessa di un giovane brand. Perché? Perché sanno cosa vogliono i consumatori, e cosa ancora più importante, spesso conoscono in anticipo le mosse dei concorrenti. Dunque meglio tenersele buone. È vero: Internet, i siti di e-commerce specializzati e i social network hanno conquistato molto del tempo e dell’attenzione di chi cerca informazioni prima di fare acquisti. D’altra parte il battage pubblicitario, in Tv come nelle affissioni, non accenna a diminuire. Ma nonostante questo i consumatori fanno sempre più affidamento al personale dei punti vendita per farsi aiutare durante il fatidico momento della decisione d’acquisto. E non è tutto, pare addirittura che il classico paradigma, secondo il quale sono la Tv, Internet e il passaparola a influenzare un atto di consumo che comunque avviene rigorosamente nel punto vendita, sia stato ribaltato. «Recarsi in un negozio oramai implica che circa il 50% delle decisioni già prefigurate possano cambiare», dice Pierluigi Bernasconi, amministratore delegato di Mediamarket, la società a cui fanno capo le due insegne dell’elettronica di consumo Mediaworld e Saturn. «Oggi chi ha un’idea sul brand da scegliere viene inevitabilmente condizionato dai pareri degli addetti alle vendite, ed è disponibile a cambiare la propria scelta anche se poi l’acquisto avviene altrove, magari on line». Una situazione che secondo Bernasconi dipende dal grande assortimento di brand diversi nei negozi (che fa decadere il sospetto che ci sia un qualsiasi interesse nel venditore a spingere una referenza piuttosto che un’altra) e dal fatto che tra le marche primarie i clienti non vedono più grandi differenze a livello qualitativo. «Mentre prima c’erano grosse discriminanti da brand a brand», spiega il numero uno di Mediamarket, «oggi molti produttori hanno fatto enormi progressi, e i consumatori sono disposti ad ascoltare storie diverse quando devono comprare».Quella della supremazia dell’insegna sul brand è una verità talmente incontrovertibile che non vale più solo nell’ambito del largo consumo. Basta sentire il punto di vista di Giuseppe Corrado, che dopo una carriera che l’ha portato ai vertici di Barilla, Pagine Utili e Medusa Multicinema, oggi è l’amministratore delegato della catena dei multisala The Space Cinema. Corrado è convinto che il mercato cinematografico abbia tratto grande giovamento dall’aggregazione delle sale, e spiega così le tappe che costituiscono il nuovo rapporto di forza tra marchio e punto vendita. «I prodotti non hanno più esclusività di distribuzione, si possono trovare ovunque: la differenza ora la fa il punto vendita attraverso l’esposizione, ma anche con la tranquillità e la garanzia che sa trasmettere al consumatore. Un cliente di un brand è, prima di tutto, un cliente della Gdo. Sceglie un prodotto, è vero, ma per comprarlo si affida al punto vendita». E l’approccio al cinema è lo stesso del largo consumo: per questo in un grande circuito una casa di distribuzione cerca per prima cosa la possibilità di ottenere un posizionamento rilevante per i propri film. «Perché il corretto posizionamento crea innanzitutto presupposti di maggior credibilità della propria offerta», dice Corrado. «La seconda fase riguarda l’aspetto quantitativo: per creare una quota di visibilità è necessario che il marchio, con i suoi prodotti, presidi gli scaffali, o le sale nel nostro caso. Nel momento in cui si è riusciti a diventare una presenza di rilievo presso una catena, sorge la necessità di fare promozione e creare rapporti duraturi con clienti». Dunque posizionamento, quantità e promozione non sono alternative per i marchi, bensì fasi concatenate necessarie per farsi largo tra le maglie del retail. Che però, sembra di capire, ha sempre l’ultima parola.Tra i marchi c’è comunque chi tenta di non scendere a compromessi sul prezzo, o se lo fa cerca di limitare le attività di promozione a iniziative spot e non troppo appariscenti. Ne sa qualcosa Franca Dall’Ara, direttore generale di Salmoiraghi&Viganò, catena di occhialeria che conta 320 in Italia. «Cosa ci chiedono i brand? Ovviamente di avere sempre dei corner espositivi dedicati, che evidenzino il prodotto nelle esposizioni a muro, che a volte rischiano di somigliare alle gondole del supermercato. La vetrina è lo spazio più ambito: quella del nostro flagship shore di piazza San Babila a Milano è ricercatissima anche da griffe che hanno un negozio monomarca a poca distanza». I brand dell’occhialeria dunque vogliono prima di tutto essere visti, per differenziarsi, mentre l’impatto quantitativo non è indispensabile. Quasi una parolaccia la parola promozione. E comunque alla fine Dall’Ara l’ha spuntata. «Il brand non è disponibile a giocare sul prezzo», ammette, «e per spingerlo a farlo bisogna essere molto convincenti. Noi abbiamo tentato un primo esperimento proprio recentemente, ed è stato un lavoro lunghissimo: si tratta della campagna promozionale Fashion and tech, a cui hanno aderito 11 brand. Certo, di questi solo una piccola parte ha accettato di apparire nello spot che abbiamo mandato in onda in Tv. Gli altri hanno acconsentito ad associare il proprio marchio alla campagna solo all’interno del negozio».C’è poco da fare: per avere visibilità bisogna scendere a patti col retail, il che il più delle volte significa investire in comunicazione all’interno del negozio o partecipare alle iniziative below the line. Ovvero fare pubblicità con le insegne. Un altro esempio arriva dal mondo delle librerie: «La nostra politica è tendenzialmente indipendente, non privilegiamo nessuno, puntiamo su qualità e ampiezza dell’offerta», dice Stefano Sardo, direttore generale delle Librerie Feltrinelli. Ma ammette che «attraverso promozioni e accordi particolari possiamo decidere di evidenziare alcune case editrici meglio di altre. Certamente la nostra quota di mercato continua a crescere, ma non siamo monopolisti, e il rapporto negoziale con gli editori col passare del tempo non è stato stravolto. Si basa sui fatturati che realizziamo, certo, e per questo abbiamo condizioni vantaggiose rispetto a negozi indipendenti o piccole catene. Quello con le case editrici è un continuo confronto, loro cercano partnership per avere maggiore visibilità, e noi siamo ben felici di dargliela».Anche al cinema vale la regola per cui più investi, più sei visto. «Lo spazio che concediamo a un film dipende da quanto il distributore investe nell’esercizio», dice senza mezzi termini Giuseppe Corrado. «Anche ai distributori conviene seguire la lezione di Ferrero, che nel largo consumo era il più lungimirante e il più bravo a investire con profitto sul punto vendita: se nell’intervallo di una proiezione passano tre trailer dello stesso film, aumentano le possibilità che quel titolo entri nella testa degli spettatori, è ovvio. Ma anche i cartelloni, le locandine e i filmati del foyer sono molto più efficaci della pubblicità in Tv e su affissioni. Anziché colpire una popolazione di 60 milioni di individui che al cinema vanno due volte all’anno, con le attività in sala si parla direttamente agli appassionati». E il discorso fila se come dice Corrado anche le piccole case di distribuzione, con l’aiuto del retail, possono giocare alla pari con le grandi: «Film come Parnassus e Giustizia privata, entrambi di Moviemax, sono diventati best seller. Con il 40% di presenze sul nostro circuito, hanno raggiunto 5 milioni di spettatori, con 7 milioni di incasso, e sono riusciti a superare film di grandi major, che invece hanno preferito fare comunicazione a pioggia», garantisce Corrado.IL NUOVORAPPORTO TRA GDOE BRAND

VISIBILITÀ I marchi cercano prima di tutto credibilità rispetto agli altri prodotti. Un buon posizionamento è il primo passo per emergere

QUANTITÀ Ottenuta la giusta visibilità un brand deve conquistarsi rilevanza attraverso la presenza sugli scaffali

PROMOZIONE Per creare una relazione duratura con il cliente è necessario agire sulla leva del prezzo