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Sulle orme di Alibaba

L’esperienza di Jack Ma, fondatore del portale di ecommerce cinese, ha confermato che l’Ipo più grande del mondo può nascere anche in casa, non per forza nella Silicon Valley

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Dagli smartphone al pollo fritto. Sono molte le multinazionali dei mercati emergenti che potrebbero presto eguagliare il successo del gigante di e-commerce cinese Alibaba, che, partito dal modesto appartamento del suo fondatore, è ora conosciuto per la più grande Ipo di sempre da 25 miliardi di dollari. Sulla base del rapporto Emerging Consumer Survey 2014, Credit Suisse ne ha selezionati cinque. Si va dalla cinese Huawei, che in soli dieci anni è riuscita a vincere la scommessa nel mercato degli smartphone, raggiungendo una quota di mercato mondiale pari al 6,7% (dietro solo ad Apple e Samsung, fonte Idc – Q2 2014), alla saudita Al Baik, società di ristorazione specializzata nei fritti, che si sta allargando in altri Paesi. C’è poi Tata, gigante indiano non solo dell’automotive, che, secondo la banca svizzera, sta crescendo esponenzialmente nei servizi It; Brf, azienda di cibi pronti brasiliana, che sta sfondando soprattutto per il suo pollo halal (preparato su precetti islamici); e la turca Arçelik che negli ultimi dieci anni ha conquistato quote sempre più importanti nel mercato europeo degli elettrodomestici, grazie al marchio Beko.

Ecco un’analisi più approfondita dei cinque possibili candidati al successo secondo Credit Suisse:

Inarrestabile HuaweiHuawei, che occupa il 135° posto nella classifica del brand value stilata dalla società di consulenza Brand Finance, è diventata il maggior fornitore mondiale di apparecchiature per telecomunicazioni. Il marchio con sede a Shenzhen ha attuato due delle strategie raccomandate dai professori Nirmalya Kumar e Jan-Benedict E.M. Steenkamp nel loro libro del 2013 dal titolo “Brand Breakout”. Una è concentrarsi inizialmente sul comparto business to business (B2B), per passare in seguito al comparto business to consumer (B2C). Solo dopo vent’anni di esperienza nella vendita di switch, router e cablaggi Huawei si è lanciata nella produzione dei principali prodotti supportati da queste reti: i telefoni cellulari. A dieci anni di distanza, la scommessa sembra vinta. Secondo la società di ricerche di mercato International Data Corporation (IDC), a metà 2014 la quota del mercato globale degli smartphone detenuta da Huawei era pari al 7 per cento, immediatamente dopo il 13 per cento di Apple e il 25per cento Samsung. Nel proprio mercato interno cinese, Huawei sta incalzando la leadership di ZTE, riferisce l’analista del Credit Suisse Jerry Su; le due società detengono rispettivamente il 29 per cento e il 30 per cento del mercato. L’altra strategia suggerita da Kumar e Steenkamp è quella di “diventare un beniamino nazionale”. Il fondatore e azionista di maggioranza Ren Zhengfei, ex funzionario governativo, è noto per i suoi stretti legami con alti funzionari, e per il sostegno da loro ricevuto.

BravaTataGià tra le prime dieci società indiane per fatturato, Tata è un vero e proprio conglomerato, attivo nella produzione di energia, nella fabbricazione di beni di consumo e in quasi tutti gli altri comparti, incluso quello chimico e dell’acciaio. Il marchio, tuttavia, è famoso soprattutto nel settore delle automobili e dell’informatica. Nel 2008 Tata ha seguito uno dei suggerimenti di Kumar e Steenkamp, acquisendo un marchio occidentale, nella fattispecie il brand inglese di automobili di lusso Jaguar Land Rover. Se questo tentativo di affermarsi all’estero ha avuto successo, con le vendite che hanno segnato nuovi record, un esperimento all’estremo opposto del mercato si è invece rivelato fallimentare. La Tata Nano, un modello lanciato nel 2008 al prezzo di 2’000 dollari statunitensi, doveva essere la capostipite di una nuova generazione di autovetture economiche. Troppo, a quanto pare. In un’intervista rilasciata all’emittente New Delhi Television a fine 2013, l’ex presidente di Tata Ratan Tata ha ammesso che la mini-autovettura è stata commercializzata in modo inefficace, tanto che i consumatori hanno interpretato “economica” come sinonimo “di bassa qualità”. Secondo lui, tuttavia, sarebbe ancora possibile rilanciare la Nano con un nuovo marchio in Indonesia o in Europa. Più costante il successo ottenuto dal conglomerato nell’altro settore in cui opera su scala globale, ossia i servizi IT. Tata Consultancy ha raddoppiato il fatturato negli ultimi quattro anni e ora conta oltre 300’000 dipendenti in tutto il mondo.

Fritto alla sauditaAl Baik, che in arabo significa “la scelta”, è un nome davvero azzeccato. I clienti sono devoti tanto quanto i fan di Apple, ma il prodotto è decisamente low-tech: pollo, gamberi, bastoncini di pesce e patatine fritti a pressione. In più di 40 anni la catena ha aperto 50 ristoranti in tutta l’Arabia Saudita (il concorrente KFC ne ha 57). Sono tre i fattori che spiccano nel branding insolitamente forte di Al Baik, spiega Fahd Iqbal, uno degli analisti del Credit Suisse in Medio Oriente. Tutti i piatti del (limitato) menù sono deliziosi, ma non unti. I prezzi sono incredibilmente bassi: meno di 4 dollari statunitensi per un pasto completo con quattro pezzi di pollo, salsa, patatine e pane. E il servizio è davvero veloce. Malgrado l’attività sia in pieno boom, i clienti vengono serviti quasi sempre in tempi rapidi. Il segreto, un tempo conosciuto solo in Arabia Saudita, ha iniziato a diffondersi. Siti come Trip Advisor e Virtual Tourist sono pieni di recensioni entusiastiche e il successo ha incentivato la proliferazione di copie non autorizzate in paesi circostanti come l’Egitto, il Kenya e il Pakistan.

Pollo fritto SadiaQuella che all’inizio era una piccola catena di mattatoi brasiliani nell’arco di 60 anni è diventata l’ottava società alimentare a livello mondiale, ora chiamata BRF. Il nuovo nome risale al 2012, quando Sadia (il 7° marchio di maggior valore del Brasile) ha acquisito la concorrente Perdigão (11° marchio di maggior valore). Sul mercato nazionale BRF detiene una quota di mercato di oltre il 50 per cento nel segmento dei prodotti a base di carne, della pasta e di altri cibi pronti come le pizze surgelate. Il marchio, tuttavia, ha acquisito portata globale soprattutto nel segmento del pollo halal (halal significa preparato secondo i precetti islamici). Come sottolineato dagli analisti del Credit Suisse Alexandre Amson e Tobias Stingelin, Sadia fornisce la metà del pollo dell’Arabia Saudita e il 40 per cento di quello dei vicini Emirati. Queste percentuali sono destinate ad aumentare ulteriormente con l’entrata in funzione, prevista per la fine del 2014, del primo stabilimento produttivo fuori dal Brasile, in grado di lavorare ogni anno 80’000 tonnellate di carne.

Beko alla conquista dell’OccidenteIl reddito delle famiglie in Turchia è cresciuto vertiginosamente negli ultimi due decenni: quasi quadruplicato in termini reali, ora ha raggiunto i 19’000 dollari statunitensi pro capite. Durante questo “momento magico” di crescita del reddito, per citare lo studio “Emerging Consumer Survey 2014” del Credit Suisse, le persone che prima riuscivano appena a sopravvivere diventano parte del ceto medio. Comprano un frigorifero, un aspirapolvere, un fornello moderno e tutti gli altri comfort contemporanei. In tre quarti delle 20 milioni di famiglie della Turchia alcuni o tutti gli “elettrodomestici bianchi” sono prodotti da Arçelik, un produttore locale. La società non si limita a copiare la concorrenza, ma destina l’1-2 per cento dei propri utili all’innovazione e vanta una lunga serie di brevetti, spiega Onur Muminoglu, analista del Credit Suisse a Istanbul. Partendo da questa solida posizione sul mercato nazionale, nell’arco degli ultimi dieci anni la società si è affermata nell’Europa occidentale con il marchio Beko, conquistando il primo posto nella vendita di elettrodomestici nel Regno Unito, secondo quanto riferito dalla società, e il secondo posto in Germania, Italia e Francia.

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