Delisting: quante uscite a Piazza Affari! La Borsa non è più un traguardo?

Delisting: quante uscite a Piazza Affari! La Borsa non è più un traguardo?

Essere quotati in Borsa non sembra essere più considerato un traguardo definitivo. Se in passato Piazza Affari rappresentava un punto d’arrivo, oggi molte aziende italiane vedono la quotazione come una fase temporanea, utile ma non vincolante, da sostituire con strumenti più adatti a nuove esigenze. Il fenomeno del delisting, nato nei mercati nordamericani già dagli anni 2000 e cresciuto costantemente negli ultimi due decenni, si è consolidato anche in Italia. Nel 2023, si contano 27 uscite dalla Borsa a fronte di sole 21 Ipo. Come osservato in un approfondimento pubblicato da Il Sole 24 Ore del 15 dicembre, la Borsa non è più un fine, ma uno strumento per crescere.

Perché il delisting non è un fallimento

Secondo gli esperti, il delisting non segnala un fallimento, ma una maturità del sistema economico. Oggi, come evidenziato sul quotidiano economico, il mercato è capace di attrarre capitali più contenuti attraverso l’Euronext Growth Milan (Egm) e di offrire valide alternative alla Borsa, come il private equity e strumenti di debito extra-bancari. Negli ultimi quattro anni, circa 100 società hanno abbandonato Piazza Affari, e il numero è destinato a crescere, tra offerte pubbliche di acquisto (Opa) già concluse o annunciate e operazioni di riorganizzazione.

Le motivazioni dietro l’esodo dalla Borsa

Molte piccole e medie imprese (Pmi) vedono nella Borsa una difficoltà intrinseca: la mancanza di pazienza degli investitori. Questo fattore, unito alla scarsità di liquidità sui mercati italiani, spesso impedisce una corretta valutazione dei progetti aziendali. Tra i manager ascoltati dal Sole 24 Ore c’è Bruno Conterno, amministratore delegato di Nice Footwear, che descrive il percorso della sua azienda, esemplificativo per molte realtà: «Essere quotati è stato un passaggio formativo e necessario. Abbiamo raccolto i capitali per crescere, ma poi abbiamo trovato difficoltà a essere valutati correttamente. Con il fondo Palladio, che ha supportato il nostro delisting, abbiamo acquisito velocità e competenze complementari. Da allora, il nostro fatturato è passato da 25 a 100 milioni di euro».

Nice Footwear, attiva nella manifattura calzaturiera per marchi di lusso, ha dimostrato che il delisting può accelerare un progetto industriale già apprezzato al debutto in Borsa. Simile la parabola di Labomar, che ha vissuto una «Ipo bellissima», secondo l’amministratore delegato Walter Bertin. «Abbiamo mantenuto tutte le promesse, ma il mercato non ha compreso il nostro reale valore. Con il delisting e il supporto del fondo Charterhouse, abbiamo trovato competenze e dinamismo per affrontare la crisi di mercato».

Per Labomar, la Borsa resta un obiettivo futuro, ma solo dopo aver raggiunto una dimensione maggiore. Infine, Alkemy, ancora in fase di uscita, punta a un consolidamento industriale con Retex, sostenuto dal Fondo Strategico Italiano. «L’Ipo ci ha dato risorse e trasparenza, ma oggi servono risposte più rapide e mirate», afferma l’amministratore delegato Duccio Vitali.

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