Per i top manager italiani stipendi d’oro: 3,3 milioni l’anno

A guidare la classifica Marco Tronchetti Provera di Pirelli con 22 milioni di euro, chiude Michele Buzzi di Buzzi Unicem con 310 mila. Secondo una ricerca Europea siamo al quinto posto nel Continente. Ad alzare la media sono soprattutto le liquidazioni “molto, molto elevate”

Con una media di 3 milioni e 300 mila euro l’anno i top manager delle grandi società quotate italiane si piazzano al quinto posto dei più pagati in Europa; a guidare la classifica Marco Tronchetti Provera di Pirelli, che percepisce 22 milioni di euro l’anno, il meno pagato è invece Michele Buzzi, di Buzzi Unicem con 310 mila euro. A stilare il ranking dei Top manager più pagati del Vecchio Continente è stata la società di ricerche Expert corporate governance services (Ecgs), che ha raccolto i dati su paghe fisse, gratifiche e bonus erogati ai massimi dirigenti delle 400 maggiori società quotate in Europa. Più nello specifico sulle grandi imprese della penisola l’analisi è stata condotta dalla Frontis Governance, partner di Ecgs. “Abbiamo analizzato le retribuzioni degli amministratori delegati di società del Ftse-Mib: sono 38 manager totali”, spiega a TmNews Sergio Carbonara, fondatore e analista di Frontis Governace. Media da 3,3 milioni di euro a parte, l’aspetto più particolare, e fuori norma, dei trattamenti di cui godono i supermanager italiani non è l’ammontare totale della retribuzione. “Se si guarda all’Italia l’aspetto più di rilievo in questo studio è l’erogazione di indennità di fine rapporto: sono molto, molto elevate”. Secondo Carbonara infatti “è abbastanza significativo che nel 2011 siano state pagate varie risoluzioni non giustificabili, che appaiono al di fuori di quelli che sono gli standard europei. Si pensi ai 16 milioni di euro dati a Cesare Geronzi per soli 11 mesi attività a Generali. Oppure dei 9,5 milioni di euro percepiti da Pier Francesco Guarguaglini come liquidazione da Finmeccanica”.

SOTTO GLI OCCHI DEGLI INVESTITORI ESTERI. Le grandi società italiane sembrano così disattendere totalmente ben “due raccomandazioni, che risalgono a 2009 e 2010, da parte di Unione europea e Financial Stability Board che chiedevano di rivedere le politiche di fine rapporto”. Su questo fronte, sottolinea Carbonara all’agenzia di stampa, “non c’è molto ascolto” nella penisola. Il problema è che chi vede le analisi come quelle effettuate dalla Frontis Governace sono investitori istituzionali internazionali, dice Carbonara, come i fondi pensione esteri. Ed è anche in base a questi fattori che gli investitori esteri potrebbero decidere se investire o meno nella penisola.

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