Cinque Stati europei sono fra i più apprezzati dalle multinazionali che cercano di pagare meno tasse: la classifica dei paradisi fiscali comprende delle mete già note per le tasse sui depositi bancari che fanno l’occhiolino a chi ha capitali ingenti ma anche delle new entries che fanno riflettere sull’urgenza e sull’importanza di nuove normative.
Questo è quello che emerge dal Corporate Tax Haven Index, indice redatto dall’organizzazione non governativa Tax Justice Network sulla base del livello di «complicità delle giurisdizioni nell’aiutare le multinazionali a sottopagare l’imposta sul reddito delle società». Per determinare i reali livelli di agevolazioni, gli esperti di Tax Justice Network valutano attentamente i sistemi fiscali e finanziari di ogni giurisdizione.
Scandagliandoli ed evidenziando le leggi e gli strumenti che i decisori politici possono modificare per ridurre le tassazioni ridotte delle società, gli analisti sono in grado di restituire un quadro chiaro dei maggiori«facilitatori mondiali dell’abuso fiscale delle società a livello globale» e di monitorarne gli effetti sull’economia. Ma andiamo per ordine, partendo dalla top ten.
Secondo il Corporate Tax Haven Index , in testa alla classifica mondiale ci sono le Isole vergini britanniche seguite dalle Isole Cayman e dalle Bermuda. Al quarto posto si posiziona la Svizzera, seguita da Singapore, Hong Kong , Olanda, Jersey, Irlanda e Lussemburgo. Come abbiamo detto all’inizio, dunque, metà della top ten, con cinque mete, è europea. E, secondo l’indice rispetto al 2021 la situazione del continente è peggiorata, per altro grazie all’ingresso dell’Irlanda tra i primi dieci paradisi fiscali globali.
L’ascesa dell’Irlanda, per altro, è dovuta in larga parte alla mancanza di cambiamenti nelle sue leggi anti-abuso fiscale, che l’hanno portata a rimanere indietro rispetto agli altri paesi della graduatoria. Passando alle altre considerazioni che colpiscono, è degno di nota il fatto che proprio attraverso i Paesi della top ten sembra transitare il 44,6% degli investimenti esteri diretti effettuati dalle multinazionali negli Stati monitorati.
Gli esperti hanno stimato dunque che quasi la metà di questi investimenti siano “fantasma”, perché non entrano concretamente nell’economia degli Stati di destinazione ma vi transitano senza lasciare impronta. Chiaramente si tratta di una tattica per spostare i finanziamenti e pagare meno tasse e, sempre secondo gli analisti di Tax Justice Networks, due terzi degli abusi fiscali che vengono realizzati ogni anno nel mondo sono commessi da multinazionali, mentre il rimanente terzo delle violazioni è causato da individui che nascondono le loro finanze offshore.
E l’Italia? Il nostro Paese è 29esimo in classifica e dunque è quasi virtuoso, per via dei miglioramenti alle norme sulle royalties e sulle commissioni per i servizi intercompany, tutte modifiche che hanno reso più difficile sfruttare sistemi per versare meno tasse. Quali sono le conclusioni? Semplice: servono urgentemente dei regolamenti, o, sempre secondo Tax Justice Network, nel prossimo decennio a livello globale gli Stati perderanno 4,8 trilioni di dollari a causa dei paradisi fiscali.
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