Non è tutto oro quel che è e-commerce

La Rete rappresenta una grande risorsa per le pmi che vogliono sbarcare sui mercati esteri, però troppo spesso se ne sottovalutano rischi e difficoltà. I costi nascosti dell’export on line

I dati parlano chiaro, l’e-commerce è in continua crescita. Nonostante – o forse anche per – la crisi economica. Che ha generato, un po’ in tutto il mondo, una spasmodica ricerca di prodotti a prezzi più vantaggiosi. È innegabile che, il più delle volte, le migliore offerte si trovino in Rete, complice una riduzione dei costi a carico dei commercianti. Proprio per questo molte pmi italiane hanno visto in tale strumento una chance per ampliare il proprio parco clienti dandosi all’export senza affrontare spese proibitive altrimenti imprescindibili. E una chance lo è davvero, a patto che si progetti lo sbarco on line senza sottovalutare alcune barriere che rischiano di far emergere costi imprevisti. Come suol dirsi, Paese che vai usanza che trovi: regole e abitudini locali possono essere molto diverse dalle nostre, soprattutto al di fuori dell’Unione Europea, un fatto di cui tenere conto se non si vogliono minare le proprie possibilità di successo nel mondo dell’export via Web.

OTTO OSTACOLI DA SUPERARE

1. Mancanza di informazioni2. Barriere doganali3. Leggi sulle vendite e il consumo e sulle informazioni ai consumatori4. Pagamenti e tasse5. Diritti di proprietà intellettuale6. Trasferimento dati oltreconfine7. Controlli statali8. Altre barriere

GLI OTTO PRINCIPALI OSTACOLI

Che nuove barriere, specifiche o comunque più problematiche per l’e-commerce rispetto alle vendite tradizionali, si affiancano agli innegabili vantaggi, lo ha ben compreso il Consiglio nazionale per il commercio svedese, autore di un report specifico sulle difficoltà affrontate dalle aziende locali impegnate nelle vendite on line in Paesi extra Ue. Barriere che, a ben vedere, non differiscono poi molto da quelle già individuate due anni fa per le transazioni interne all’Unione e che si adattano anche al panorama italiano. Innanzitutto la mancanza d’informazione. Gli imprenditori attivi nell’export on line fanno spesso fatica a trovare adeguate informazioni sulle leggi più importanti, regolamentazioni, procedure e metodi adatti ai mercati stranieri. In secondo luogo bisogna tenere conto delle barriere doganali – procedure complicate ed eccessivamente gravose, dazi sui resi e corruzione alle frontiere sono fonte di costi e problemi amministrativi – nonché delle leggi sulle vendite e il consumo così come sulle informazioni dovute ai consumatori. In particolare, discrepanze nel diritto a cancellare o restituire gli acquisti, e requisiti specifici sulle informazioni da fornire agli acquirenti, sono più problematici per chi è attivo nell’e-commerce, che spesso vende in un gran numero di mercati contemporaneamente. Anche l’imposizione di specifici metodi di pagamento e differenze nella regolamentazione della tassazione generano per l’export on line costi e problemi amministrativi. C’è poi la questione della proprietà intellettuale: l’e-commerce ha molte difficoltà nel salvaguardare questi diritti quando si trova a che fare con materiale coperto da copyright. Un altro ostacolo per le vendite on line all’estero è rappresentato dalle legislazioni che limitano la possibilità delle imprese di immagazzinare e trasferire informazioni, soprattutto dati personali, al di là dei confini nazionali. Non vanno poi dimenticati i controlli statali sui requisiti richiesti per la per la fondazione di imprese locali al fine di registrare domini di alto livello, la censura su Internet e prerogative imposte per sfruttare determinati metodi di crittazione. Infine, non meno importante, il report individua quelle che chiama semplicemente “altre barriere”, ossia costi di roaming, truffe, problemi nell’ottenere copertura assicurativa, certificazione dei prodotti, assenza di standard, regole sulla provenienza, regolamentazione sull’avvio di contenuti audio-video e sussidi statali.

MA I RISPARMI POSSONO RAGGIUNGERE IL 60%

«È sempre più evidente», spiega Lamberto Siega, appena nominato Head of Sellers di eBay in Italia «come il commercio stia evolvendo verso la multicanalità dell’on line, che permette alle aziende di abbattere i costi e ai clienti di accedere a un vasto assortimento di prodotti convenienti e di qualità. Sono sempre di più le imprese che adeguano i propri modelli di business integrando i due canali di vendita: basti pensare che, in base ai dati contenuti dall’ultima ricerca “Il futuro del commercio” commissionata da eBay al Politecnico di Milano, NetComm, Human Highway,emerge come i “Merchant mobile” siano passati dai 54 dell’aprile 2011 ai 110 del 2013, con una crescita del +52% di quanti hanno utilizzato anche una App nella loro offerta». Del resto, secondo un’altra ricerca commissionata sempre da eBay lo scorso anno, vendere on line può costare fino al 60% in meno. Non solo. Tra i venditori statunitensi del sito, circa l’80% registra transazioni in cinque o più Paesi stranieri, molti di più di quelli in cui in genere esportano le aziende che operano solo off line (uno solo nel 64% dei casi).

«PREPARATEVI BENE»

I consigli di Roberto Liscia, presidente di Netcomm (Consorzio del commercio elettronico italiano)

NON DIMENTICATE L’INFO-COMMERCE

Prima di arrivare a questioni così “elaborate”, anzi, prima ancora di arrivare all’e-commerce, bisognerebbe però pensare all’info-commerce consiglia Edoardo Giorgetti, amministratore delegato di Banzai Commerce, noto soprattutto per i siti ePrice e SaldiPrivati: «Le vendite on line sono ancora una minoranza, mentre in Italia così come all’estero ben il 70-80% dei consumatori sfrutta la Rete per informarsi prima di concludere un acquisto attraverso i canali tradizionali. Ecco allora che, per prima cosa, è fondamentale portare on line più informazioni possibili sui propri prodotti: foto, schede tecniche, descrizioni minuziose, consigli di utilizzo, senza dimenticare di indicare dove quel prodotto può essere acquistato». Sembra una banalità, ma non lo è se si pensa che lo stesso Giorgetti sottolinea le difficoltà spesso riscontrate nell’ottenere questo materiale dai produttori che fanno riferimento ai loro siti. Per quanto riguarda poi la speranza di sfruttare l’e-commerce in chiave export, il manager mette in guardia: «Non aspettatevi risultati da capogiro, perché gli acquisti dall’estero non sono molto frequenti nemmeno nei Paesi più evoluti da questo punto di vista. Persino in Uk gli utenti che comprano su siti stranieri non raggiungono il 20%. Naturalmente ci sono delle eccezioni, ma in linea di massima regna una certa diffidenza, per cui si preferiscono realtà locali a costo di spendere un po’ di più. Meglio allora cercare e affidarsi a buoni rivenditori locali».

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