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La Cina del Meditarreneo

Con un’economia in crescita del 7,5% nel 2011 e una popolazione giovane e affamata di consumi, la Turchia è uno dei mercati più dinamici d’Europa. Peccato che nell’Unione non sia ancora stata ammessa: ci guadagnerebbero soprattutto le aziende italiane. Che comunque non stanno con le mani in mano…

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Proprio qualche settimana fa Cristiana Pagni, imprenditrice di La Spezia titolare della Sitep, una società con giro d’affari di 12 milioni di euro all’anno, che produce apparecchi elettronici e sistemi acustici per la nautica, è tornata dall’ennesimo viaggio a Istanbul. Sulle sponde del Bosforo Pagni va spesso per incontrare i partner della sua azienda: i turchi di Suasis, una media impresa specializzata nella realizzazione di sensori ad alta tecnologia, per il rilevamento dei dati e per la navigazione sott’acqua, con cui Sitep ha creato da poco una joint-venture. Nel suo ultimo trasferimento a Istanbul, tuttavia, l’imprenditrice spezzina si trovava in buona compagnia. Con lei, infatti, c’erano decine di imprenditori italiani, che hanno aderito a una missione esplorativa dell’Associazione di Amicizia e Cooperazione Italia-Turchia, di cui la stessa Pagni è vice-presidente, e che è nata per iniziativa dell’Isiamed (l’Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo). Gli imprenditori che hanno deciso di far rotta verso Istanbul assieme alla titolare di Sitep hanno uno scopo ben preciso: conoscere meglio la Turchia e sondare tutte le opportunità di business presenti in questo paese che oggi rappresenta un po’ la “Cina del Mediterraneo”. Merito di un’economia molto vitale, cresciuta nel 2011 a un ritmo del 7,5%. «La Turchia è il quarto mercato emergente esistente al mondo, alle spalle dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina, ndr)», dice Pagni, che oggi non ha dubbi: «Le aziende del made in Italy che vogliono investire nella Penisola anatolica trovano di fronte a sé un mare di occasioni». La pensa così anche Alessandro Biggi, che coordina le attività di ricerca dell’Isiamed e che ha curato, assieme a Luigi Mercuri, un approfondito report, dal titolo già di per sé abbastanza eloquente: L’economia turca, un’opportunità per l’Italia e per l’Europa. Il sistema Turchia offre un costo del lavoro ben più basso che in Italia e un apparato burocratico abbastanza snello, lontano da qualsiasi stereotipo che associa alla cultura turca una scarsa trasparenza ed efficienza della pubblica amministrazione. «Per costituire una società in Turchia occorrono appena sei giorni», dice Biggi, «un lasso di tempo che, nel nostro Paese, sembra ormai quasi inimmaginabile». I punti di forza dell’economia di Ankara, però, sono soprattutto nei dati socio demografici, con una popolazione ancora molto giovane e produttiva (l’età media è di 29,2 anni contro i 42,8 dell’Italia). Senza dimenticare che più di un quarto degli abitanti della Turchia ha addirittura meno di 14 anni. Si tratta di un esercito di circa 18 milioni di persone che, nel prossimo ventennio, diventeranno dei consumatori evoluti, abituati a usare Internet, la telefonia cellulare, i servizi finanziari e magari anche a viaggiare verso i principali Paesi europei, Italia compresa. Non a caso, la vendita di certi beni e servizi nella penisola anatolica sta vivendo, e in parte ha già vissuto, un vero e proprio boom: tra il 2002 e il 2010, per esempio, il numero di utenti del Web è salito da 4 a 35 milioni, quello degli abbonati alla telefonia mobile è cresciuto da 23 a 62 milioni, mentre la vendita di biglietti aerei e di credit card è pressoché triplicata in meno di un decennio. Un mercato così effervescente, dunque, rappresenta un facile terreno di conquista per le aziende straniere che in Turchia, oltre a trovare salari a buon mercato, possono contare soprattutto su un’altissima produttività della forza-lavoro. L’orario medio di attività per ogni dipendente, infatti, è di ben 53,2 ore a settimana, mentre le assenze per malattia nelle aziende sono pari mediamente a 4,9 giorni all’anno, contro i 6-14 giorni che si registrano nel nostro paese, a seconda dei diversi settori. Pagni ricorda poi altri due elementi che regalano appeal al sistema produttivo turco. Il primo è la pressione fiscale abbastanza contenuta, con un prelievo sui redditi d’impresa di appena il 20%: «Le aziende turche pagano circa un terzo delle tasse che dobbiamo pagare qui in Italia», dice ancora la titolare del gruppo Sitep. Anche sui redditi delle persone fisiche, il peso delle imposte è decisamente equo, con aliquote che agiscono in maniera progressiva e variano tra il 15 e il 35%. L’altro punto di forza dell’economia di Ankara è rappresentato da un sistema d’istruzione dinamico: i laureati sono ancora pochi, circa 500 mila persone su quasi 75 milioni di abitanti, ma gran parte della popolazione è in età scolare e l’offerta formativa in tutto il Paese è abbastanza sviluppata, con la presenza di 156 università. «Sul mercato del lavoro si trova già gente qualificata: ingegneri o tecnici che poco hanno da invidiare ai loro colleghi europei», dice ancora Pagni. In Turchia, dunque, le aziende occidentali non vanno soltanto per delocalizzare le proprie attività. Anzi, l’obiettivo principale è quello di trovare un nuovo e promettente mercato di sbocco e un know-how industriale sviluppato, che offre opportunità di crescita e di innovazione. Il numero di imprese del made in Italy che hanno fatto questa scelta strategica, insediando delle attività in Anatolia, è salito negli ultimi 20 anni a ritmi impetuosi: nel 1988, le società del nostro Paese presenti in Turchia erano soltanto 17, per crescere poi fino a 580 nel 2007 e arrivare a 800 nel 2011, rendendo l’Italia il settimo investitore estero di questa regione. I pionieri del mercato, sin dagli anni ‘80 e ‘90, sono stati i grandi gruppi come Fiat, Pirelli, Italcementi o Finmeccanica, che hanno delocalizzato al di là del Bosforo alcune importanti produzioni. Poi, sono arrivate anche le maggiori banche italiane come Unicredit e Intesa SanPaolo che hanno iniziato un po’ più tardi il loro processo di internazionalizzazione. Ora, però, sono soprattutto le piccole e medie imprese del made in Italy a fare rotta verso Istanbul o Ankara, alla ricerca di un terreno fertile per insediare nuove attività, magari instaurando delle partnership con qualche società di pari dimensioni. «Anche in Turchia», dice infatti Biggi, «esiste un ricco tessuto di Pmi, spesso a conduzione familiare, che ha molte similitudini con quello italiano». I settori trainanti per l’industria nazionale, secondo i ricercatori dell’Isiamed, sono molti: dalla produzione di macchinari e di componenti automobilistici fino al tessile, passando per il comparto chimico e farmaceutico. «Negli ultimi anni», scrivono inoltre Biggi e Mercuri nel loro report sulla Turchia, «si è registrato un forte aumento di interesse anche per i settori della difesa, delle energie rinnovabili, dei trasporti e delle telecomunicazioni». Senza dimenticare il comparto delle infrastrutture, dove il governo di Ankara ha messo in cantiere un piano di investimenti da 25 miliardi di euro tra il 2008 e il 2012, in parte ridimensionato con l’arrivo della crisi economica, ma rimasto comunque di dimensioni molto consistenti. Secondo Biggi, nella business community italiana si respira senz’altro un clima favorevole all’ingresso di Ankara nell’Unione Europea (Ue), non fosse altro che per la posizione geografica strategica della Turchia. Il processo di integrazione nell’Ue incontra però ancora molti ostacoli, soprattutto per l’ostruzionismo di diversi ambienti politici di Bruxelles. «A questo punto», dice Pagni, «c’è da chiedersi se sono i turchi a volere ancora l’ingresso in Europa, viste le difficoltà dell’economia del Vecchio continente». Eppure, secondo l’imprenditrice spezzina, il consolidamento dei rapporti con l’Anatolia rappresenterebbe per noi una grande occasione per ricucire i rapporti tra le diverse sponde del Mediterraneo, rimaste troppo a lungo separate. È una lungimiranza, quella di Pagni, tipica di chi è nato vicino al mare ed è abituato a guardarlo.

LA TURCHIA IN BREVE PRINCIPALI INDICATORI DEMOGRAFICI AGLI INIZI DEL 2010

Fonte: Governo turco

Popolazione

73.722.988 abitanti

Lingua ufficiale

Turco

Religione

Musulmana

Struttura demografica

0-14 anni: 25,5% 15-64 anni: 67,2% over 65 anni: 7,2%

Età media

29,2

Tasso annuo di crescita della popolazione

1,6%

L’ECONOMIA

Crescita media annua Pil reale negli ultimi 8 anni

4,8%

Crescita del Pil reale nel 2011

7,5%

Crescita del Pil reale attesa nel 2012

4%

Crescita media annua del Pil reale attesa tra il 2011 e il 2017

6,7%

Inflazione

7,6%

Tempo per aprire una società

6 giorni

LA FORZA LAVORO

Ore di lavoro a settimana per dipendente

53,2

N° di giorni annui di malattia per dipendente

4,6 (tra 5,9 e 14,2 in Italia, a seconda dei settori)

Laureati

500 mila

N° Università

156

Diplomati

663 mila

LE TASSE

Imposta societaria

20%

Imposta sulle persone fisiche

Tra il 15 e il 35%

Le agevolazioni

Nelle Zone per lo Sviluppo Tecnologico, nelle Zone Industriali e nelle Zone Franche può essere prevista l’esenzione totale o parziale dall’imposta sul reddito delle società, riduzioni fino all’80% sulla quota di contributi previdenziali per i datori di lavoro e assegnazione gratuita di terreni

IL BOOM DEI CONSUMI

Utenti Internet

35 milioni (4 milioni del 2002)

Utenti Gsm

62 milioni (23 milioni del 2002)

Titolari carte di credito

46 milioni (16 milioni del 2002)

Passeggeri aerei

102 milioni (33 milioni del 2002)

Turisti internazionali

28,5 milioni (13 milioni del 2002)

NAZIONE CHE CAMBIA

Istanbul è una metropoli in continua trasformazione. Accanto all’immagine tradizionale del quartiere storico di Sultanahmet fioriscono nuove aree della città dedicate al business e allo shopping. La popolazione giovanissima della Turchia (l’età media è di 29 anni) fa sì che i circa 80 milioni di abitanti del Paese diventeranno a breve un enorme bacino di consumatori evoluti, abituati ai new media e desiderosi di viaggiare.

UN LUNGO CAMMINO

L’ingresso nell’Unione Europea della Turchia ha radici profonde ed è un progetto ideato fin dagli anni ‘50 o ‘60, quando il governo di Ankara cominciò a stringere legami sempre più stretti con le istituzioni di Bruxelles. Un accordo internazionale del 1963, perfezionato nel ‘70, fissò alcuni obiettivi per la creazione in tre fasi di una unione doganale turco-europea. Tra i più convinti fautori dell’avvicinamento all’Europa, c’è senza dubbio l’attuale premier turco Recep Tayyip Erdogan, che nel 2005 ha messo in atto alcune riforme per portare il suo Paese dentro i parametri imposti dall’Unione Europea, come l’abolizione della pena di morte e il riconoscimento dei diritti della minoranza curda. Nel 2009, il premier Erdogan ha però nominato ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, che ha sostituito l’europeista convinto Ali Babacan ed è considerato un teorico del multilateralismo. Pur non essendo contrario all’avvicinamento all’Ue, Davutoglu si pone l’obiettivo di ritagliare per la Turchia un ruolo di testa di ponte tra l’Europa e l’Asia, basato sui buoni rapporti anche con i vicini del mondo arabo. L’ingresso di Ankara in Europa era previsto per l’anno 2015: una data che ormai può essere considerata del tutto irrealistica.