Istat: con l’aumento dell’Iva, consumi in calo dello 0,2%

Se le clausole di salvaguardia per il 2020 non venissero disattivate, i prezzi aumenterebbero e le spese diminuirebbero

Il Documento di economia e finanza continua a far discutere. Ieri, nel corso della seconda giornata di audizioni davanti alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha presentato una simulazione per spiegare quali conseguenze si avrebbero sui prezzi e sui consumi in Italia se le clausole di salvaguardia per il 2020 non venissero disattivate, ossia se l’Iva venisse aumentata di 3,2 punti per l’aliquota ordinaria e di 3 punti per quella ridotta. Ebbene, se come ipotizzato dal Def l’aumento dell’imposta non verrà scaricato interamente sui prezzi, ma “solo” per il 60-70%, “l’effetto sui prezzi sarebbe intorno a 2 punti percentuali e costante nei mesi successivi”. Non solo. L’incremento dei prezzi andrebbe a incidere in maniera negativa sui consumi, innescando “un effetto depressivo sui consumi che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine di 0,2 punti percentuali”.

Per le imprese però ci sono buone notizie. La revisione della mini-Ires, il ripristino del superammortamento e l’aumento della deducibilità Imu previsti dal decreto crescita dovrebbero portare a una riduzione del prelievo fiscale pari a 2,2 punti percentuali. Il presidente dell’Istat ha spiegato che “la riduzione Ires risulta maggiore per l’industria, soprattutto nei settori a medio-bassa intensità tecnologica (-2,9%), per le imprese di medie dimensioni e le multinazionali (-2,8% per entrambe le tipologie)”.

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