Gli Stati Uniti visti dagli Stati Uniti

Parla Grant Bughman, gestore del fondo Ubs Usa Growth

Non tutti gli avversari dell’austerity sono concordi nell’attribuire alle politiche fiscali di Barack Obama i meriti della tenue ripresa americana. La comunità finanziaria di Wall Street, pur disapprovando il rigore di bilancio europeo, sembra invece voler ringraziare soprattutto le manovre della Federal Reserve (Fed), cioè la banca centrale statunitense, che ha portato quasi a zero i tassi d’interesse e ha iniettato una massa enorme di liquidità nel sistema finanziario. Soltanto tra il 2009 e il 2011, la Fed ha avviato due quantitative easing (Qe), cioè delle operazioni “non convenzionali” di politica monetaria, con cui ha comprato sul mercato una montagna di titoli finanziari (anche quelli tossici) per un valore complessivo di 2.300 miliardi di dollari, allo scopo di fornire denaro fresco alle banche che li detenevano nel portafoglio. Poi, nel 2012, è iniziata una terza operazione di Qe che prevede un programma di acquisti di titoli per una cifra di oltre 80 miliardi di dollari al mese.

In modo assai diverso si è comportata invece la Banca Centrale Europea (Bce) guidata Mario Draghi, che si è mossa molto più tardi, cioè tra il 2011 e il 2012, con operazioni che hanno un valore assai più modesto (nell’ordine di 1.000 miliardi di euro) e una struttura un po’ diversa da quella del quantitative easing americano. A parte quest’ultimo dettaglio tecnico, però, una cosa è certa: rispetto alla Fed, la Bce è stata molto più prudente nell’iniettare liquidità nel sistema finanziario. Ha fatto bene o ha sbagliato in pieno?

Grant Bughman, gestore del fondo Ubs Usa Growth, che investe sulle borse americane, non ha dubbi: «Guardando ai numeri, la soluzione adottata negli Stati Uniti è stata certamente migliore di quella europea», spiega a Business People. In particolare, secondo il gestore, la Fed è stata molto più pronta e reattiva rispetto alla Bce nel mettere in atto delle politiche monetarie efficaci, spingendo il sistema bancario a ricapitalizzarsi e portando i consumatori e le imprese americane in una situazione che oggi è indubbiamente più sana rispetto a quella di 6 anni fa. In sostanza, secondo Bughman, gli Stati Uniti sono tornati sui binari giusti e l’economia d’Olteoceano oggi è ancora una delle più innovative e dinamiche del mondo, nonostante la grande crisi finanziaria del 2007-2008, e il gestore non intravede neppure il rischio di una bolla speculativa sui mercati, nonostante i rialzi mesi a segno nella prima parte dell’anno dalla borsa di Wall Street, interrotti soltanto da qualche scivolone. «Le valutazioni di molti titoli azionari statunitensi sono in realtà al di sotto di quelle registrate nella fase di picco di sei anni fa», fa notare Bughman, «mentre il rimbalzo dei prezzi delle case non ha ancora portato le quotazioni immobiliari ai livelli toccati prima della crisi». Per molti esponenti della comunità finanziaria, insomma, gli investitori possono dormire sonni tranquilli, almeno per adesso. Visto quello che è accaduto sui mercati negli ultimi anni, però, è sempre meglio fare gli scongiuri.

ARTICOLO PRINCIPALE – Rigore sì, ma non a tutti i costi

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