Equo compenso lavori pubblici: ora la tutela vale anche di fronte alla PA

È cominciato tutto con le banche e le assicurazioni e si è arrivati anche alla pubblica amministrazione. Ecco cosa ha deciso il legislatore

All’affermazione del diritto all’equo compenso nei lavori pubblici ci si è arrivati per gradi ma ci si è arrivati. Tutto è cominciato con gli avvocati e con i loro clienti più forti: banche e società finanziarie/assicurative per poi aggiungere nuove tipologie di clientele. Alla base di tutto, però, c’è un principio: quello dell’equo compenso, appunto, secondo il quale chi fornisce una prestazione professionale ha il sacrosanto diritto di ricevere una retribuzione che rispetti e rispecchi la quantità e la qualità del lavoro svolto e che sia commisurata al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.

Perché serve l’equo compenso

Sembra il trionfo dell’ovvio ma se si è dovuto muovere il legislatore vuol dire che tanto ovvio non era. Il problema era il seguente: nell’aver a che fare con clienti particolarmente grandi e potenti, i professionisti non erano mai quelli che facevano il prezzo. Fornivano una prestazione costretti a ribassare il proprio onorario perché non potevano permettersi di perdere quel cliente e perché sapevano che, se anche loro avessero detto di no, molti colleghi avrebbero detto di sì e si sarebbero accontentati di molto meno.

Di questa guerra tra “poveri”, alla fine approfittavano i più ricchi. Nella fattispecie, banche e società finanziarie e assicurative nei confronti degli avvocati. Sono stati quest’ultimi i primi a porre la questione all’attenzione del legislatore. Ed infatti è stato proprio il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a proporre al Consiglio dei ministri, lo scorso agosto, di approvare un disegno di legge che mettesse un po’ d’ordine nel settore delle professioni legale per quanto riguardava l’equo compenso e le clausole vessatorie, quelle clausole che generano appunto lo squilibrio contrattuale a vantaggio dei grandi clienti.

L’equo compenso è applicabile anche nei rapporti con la PA

Si tratta di un intervento che mirava a tutelare la posizione degli avvocati nelle loro contrattazioni con banche, società assicurative e grandi imprese. In seguito all’intervento del governo, un giudice può dichiarare parzialmente nullo il contratto che penalizzi il contraente più debole: parzialmente perché ad essere annullato non è l’intera ma solo le clausole vessatorie. Una volta stabilito che quello oggetto dell’accordo non sia il compenso minimo cui abbia diritto l’avvocato, il giudice ridetermina il compenso rifacendosi ai parametri definiti in una legge del 2012.

Naturalmente, non sono solo gli avvocati a trovarsi in una posizione simile e quindi richieste per un intervento analogo a loro tutela sono arrivate anche da altri professionisti, come per esempio gli architetti, i commercialisti, i geometri o gli infermieri. Il vuoto normativo è stato risolto con un emendamento inserito nella legge di conversione del decreto fiscale che conteneva la norma a tutela degli avvocati. Ampliata la platea dei tutelati, oltre quattro milioni e mezzo di persone, ma anche quella dei soggetti il cui potere contrattuale viene ridimensionato: non solo banche, società assicurative e grandi imprese ma anche la pubblica amministrazione, considerata di fatto un grande committente.

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