Decreto crescita 2.0, grandi difficoltà per le start up

Definito un provvedimento fondamentalmente positivo, le misure approvate dal Parlamento hanno generato qualche perplessità per le baby imprese. Ecco quali

«Meglio tardi che mai». Così molti start upper intervistati hanno commentato il decreto 2.0. Un provvedimento fondamentalmente positivo, che tuttavia ha generato anche qualche perplessità. Per esempio, la questione degli incubatori da certificare: spesso si tratta di enti no profit nati in atenei, ma la spending review del governo Monti colpisce non poco anche università e ricerca accademica. Mentre sul fronte degli investitori privati, quelli nazionali spesso non dispongono di capitali sufficienti. E gli incentivi fiscali previsti per chi finanzia le baby imprese potrebbero finire per creare distorsioni di mercato, da situazioni di arbitraggio a vere e proprie speculazioni. Storicamente, inoltre, nel mercato italiano è il credito bancario a farla da padrone, ma questo, come noto, è poco adatto a finanziare iniziative di difficile valutazione come le start up. Bisognerebbe pertanto auspicare la creazione di fondi ad hoc, con un profilo di rischio adeguato a investire in imprese di questo tipo.A novembre il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha annunciato che è ormai cosa fatta, tramite un accordo con Cassa depositi e prestiti, il Fondo dei fondi: circa 50-100 milioni di euro da destinare alla nascita di imprese innovative, a cui aggiungere le risorse provenienti dal credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato. Cifre che potrebbero moltiplicarsi con il crowdfounding, meccanismo − questo sì − già previsto dal d.l. governativo, che fa riferimento a finanziamenti collettivi “dal basso”, a partire dai cittadini. Occorre però un accordo con Consob per tutelare il retail, ha aggiunto su questo punto il ministro Passera. Infine, tra le condizioni necessarie a definire una start up, il d.l. 2.0 prevede che il 51% per cento del capitale sia detenuto da persone fisiche; ma ciò potrebbe esacerbare gli aspetti padronali del nostro sistema, che negli anni si è arroccato sulla piccola impresa famigliare. Mentre le baby aziende innovative, oltre a creare valore sociale ed economico, dovrebbero anche salutare la nascita di una nuova generazione di imprenditori, con più spiccate competenze manageriali.

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