Crisi, l’analisi di Prometeia: Italia ai livelli pre-Covid solo nel 2025

La società di ricerca e consulenza: superato il punto minimo del ciclo economico per Europa, Cina e Stati Uniti, ma la ripresa non avverrà in tempi rapidi

Dal punto di vista economico il peggio è passato, ma la strada per il ritorno ai livelli pre-pandemia è tutt’altro che in discesa, non solo per l’Italia ma per il mondo intero. Si può riassumere così il rapporto di previsione di Prometeia, società di ricerca e consulenza che – nonostante la situazione sanitaria mondiale resti preoccupante e incerta – certifica il superamento del punto minimo del ciclo economico da parte di Europa, Cina e Stati Uniti. La ripresa, però, non avverrà in tempi rapidi.

In particolare, l’Italia tenta di tornare alla normalità ed è entrata in una fase di convivenza con il virus. Con una recessione nel secondo trimestre di portata storica (-12,9%), Prometeia stima per l’intero 2020 una caduta del Pil del 10,1%. In una fase di grande incertezza, che influenza in modo negativo la propensione al consumo e all’investimento, la risposta della politica fiscale (5 punti percentuali di Pil nel 2020) è stata in linea a quella degli altri Paesi europei. Tuttavia non sembra in grado di riavviare in modo deciso la domanda interna, frenata anche dalla forte incertezza che ancora pervade le aspettative degli operatori e dal crollo del commercio internazionale. Tutto ciò si sta traducendo anche in un forte aumento delle disponibilità liquide di famiglie e imprese. Alla peggiore recessione mai registrata in tempi di pace, seguirà un rimbalzo il prossimo anno, via via che tutte le attività economiche (compreso il turismo e l’intrattenimento) potranno tornare a livelli normali di operatività e, con esse, l’occupazione e il reddito degli operatori più colpiti. Le misure di policy introdotte, certamente tempestive, ampie e innovative, stanno aiutando e aiuteranno a contenere i costi di questa crisi ma, nel caso del nostro Paese, già gravato da un elevatissimo debito pubblico, non sembrano sufficienti né a impedire la flessione nel 2020 né a sostenere successivamente un rimbalzo in grado di compensare la recessione: si prevede che solo nel 2025 il Pil italiano potrà ritornare ai livelli pre-Covid. In sintesi, la fase del superamento vedrà il nostro Paese con un livello di attività economica inferiore a quello pre-crisi, con meno occupazione, con un livello di risparmio delle famiglie più elevato e di debito delle imprese non finanziarie e del settore pubblico più alto. Più in generale, con un aumento delle disparità a molti livelli, nella distribuzione funzionale e personale del reddito, tra i generi e le classi di età, tra settori produttivi e territori: a farne le spese in misura maggiore le piccole imprese e i lavoratori autonomi e meno istruiti.

Ingenti fondi pubblici: un’occasione da non perdere

In questo contesto, gli interventi massicci della Bce sono stati essenziali nella fase acuta della crisi ma non possono risolvere problemi strutturali. In questa direzione un’opportunità da non sprecare arriva dall’inedita possibilità di accedere a fondi pubblici potenzialmente ingenti e a condizioni molto favorevoli. Se indirizzate in modo corretto verso le ben note aree di fragilità della nostra economia (dalla sanità ai servizi per la “silver economy”, dalla scuola alle infrastrutture), queste risorse potrebbero far fare all’Italia quel salto di produttività, e dunque di crescita, che manca da ormai 25 anni.

Crisi economica da Covid-19: la situazione a livello mondiale

In Europa, Cina e Stati Uniti la pandemia fa ancora paura, ma è nei Paesi emergenti la situazione sanitaria più allarmante. Dopo aver sofferto la recessione della Cina nel primo trimestre, la caduta della domanda in Europa e negli Usa nel secondo, gli emergenti non sono più il traino della crescita mondiale e devono fare i conti con gli effetti diretti della pandemia. A questi si aggiungono il rallentamento del commercio internazionale e dei flussi turistici, e l’effetto di cambiamenti strutturali come la regionalizzazione del commercio (dovuta alle pressioni per avere catene del valore più locali per ragioni di sicurezza nazionale).

Negli Stati Uniti, le restrizioni in aprile sono state meno rigide che in Europa, la caduta della produzione industriale meno profonda, ma i nuovi focolai ripropongono inasprimenti delle misure di contenimento, accrescendo così il rischio di soffocare i timidi segnali di ripresa (riduzione della disoccupazione, ripresa delle vendite al dettaglio in maggio). È probabile che dopo l’estate il mercato del lavoro non sarà ripartito del tutto, causando una frenata di redditi e consumi: potrebbero quindi essere necessari nuovi stimoli fiscali. In Cina, il recupero della produzione industriale suggerisce il superamento del punto di minimo. Ma l’incertezza, dovuta al Covid-19, toglie lo slancio necessario a riportare la crescita sui ritmi di espansione pre-crisi.

Nell’area euro, un numero elevato di lavoratori è rimasto formalmente occupato anche se con il sostegno di programmi governativi. Nonostante questo supporto, tuttavia, l’occupazione totale nei principali Paesi europei vedrà quest’anno una caduta che nelle nostre previsioni verrà recuperata solo a partire dal 2024. La crisi sta accelerando alcuni trend che erano già in atto. Le tensioni tra Usa e Cina sono destinate a crescere nei prossimi anni, indebolendo ulteriormente il commercio internazionale. Le divergenze economiche all’interno dell’Eurozona aumenteranno, con Paesi come Italia e Spagna più colpiti di altri, in parte a causa di una diversa specializzazione e organizzazione produttiva, in parte per i limiti nelle risposte fiscali imposti da debiti pubblici elevati. Questa situazione può avviare – e forse ha già avviato – un circolo vizioso, dove risorse finanziarie e umane lasciano i Paesi fragili per migrare verso quelli più forti; il che potrebbe rendere l’assetto attuale dell’area dell’euro insostenibile nel lungo periodo.

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