Big data, come cambia la gestione dell’impresa

In occasione dell’ultimo Sas Forum il dibattito organizzato da Business People a messo a confronto manager e imprenditori sul tema dell’analisi dei flussi informativi, che ha cambiato e sta cambiando il modo di gestire (e creare) l'impresa

Essere manager o imprenditori, soprattutto in Italia, ha per molti anni voluto dire essenzialmente gestire le attività aziendali con la testa o con la pancia. Se il management si è sempre dovuto muovere giustificando a se stesso e alla proprietà determinate scelte sulla base di indagini e ricerche, l’imprenditore italico genio e sregolatezza – ha continuato per lungo tempo a decidere sulla base dell’intuizione, del fiuto, della propria sensibilità. Questa distinzione netta e semplicistica oggi non è più possibile, per il semplice fatto che la complessità del mercato (anzi, dei mercati) ha raggiunto un livello tale che non è più possibile pensare di muoversi senza il supporto di un’accurata analisi dei flussi informativi che attraversano e circondano l’organizzazione. È stato questo il fulcro della tavola rotonda organizzata da Business People in occasione dell’ottava edizione del Sas Forum (di scena a Milano, lo scorso 17 aprile), un incontro intitolato Ecco come la conoscenza dei dati cambia le scelte di business e che ha visto, con la moderazione di Vito Sinopoli (presidente di Editoriale Duesse e direttore del magazine), intervenire dirigenti e imprenditori di spicco provenienti da un ampio spettro dei principali settori produttivi tricolori. In un Sas Forum dominato dalle sette parole chiave – coerenza, visione, scoperta, semplicità agilità, socialità e azione – sottolineate all’apertura dei lavori dall’amministratore delegato di Sas Italia Marco Icardi, la tavola rotonda ha portato alla ribalta una serie di case history che hanno mostrato come è diventato semplice, e ormai imprescindibile, passare dalla teoria alla pratica quando si parla di Analytics.

Il primo a prendere la parola è stato Luigi Colombo, direttore generale marketing di Publitalia, che ha spiegato come fin da subito la scelta di dare ampio spazio alla raccolta e all’analisi dei dati abbia creato un vantaggio competitivo nella creazione di campagne ad hoc per i propri clienti. «Siamo partiti dal presupposto che il nostro lavoro consiste nel misurare le audience per vendere spazi pubblicitari. Ma, superando questa prospettiva, ci siamo resi conto che conoscere anche le informazioni relative ai nostri clienti e ai loro mercati ci aiutava a essere più efficaci nella proposizione e nella pianificazione dei progetti, passando così dall’avere adesioni one shot a una certa continuità nel tempo. Poi», ha detto Colombo, «tutto improvvisamente è cambiato». Il manager di Publitalia ha fatto naturalmente riferimento alla bomba digitale, che circa sei anni fa ha stravolto il modo di vivere, e quindi di misurare, il piccolo schermo. «La sfida più grande che oggi devono affrontare i broadcaster è riuscire a far interagire le fonti da cui scaturiscono i dati che descrivono il comportamento dell’audience. Da una parte l’Auditel, che misura il pubblico davanti allo schermo, dall’altra la moltitudine di tweet, post, conversazioni, rumore generati in risposta a quello che succede in Tv, monitorando anche il modo in cui i contenuti vengono fruiti sui nuovi device. Del resto è quello che ci chiedono i clienti: non più campagne, ma progetti di comunicazione integrata all’insegna della multicanalità».

La testimonianza di Alberto Mandelli, chief information officer di Bsi (Banca svizzera italiana, controllata da Generali) si è soffermata invece sul periodo di transizione che la sua struttura ha affrontato durante le fasi di espansione a livello globale che hanno portato in pochi anni l’istituto a passare da 600 a 2100 dipendenti per presidiare soprattutto i mercati emergenti. «Avere avuto da sempre un’unica piattaforma informatica per le varie tipologie di operazioni, e soprattutto aver sempre condiviso i dati in maniera omogenea, e a tutti i livelli dell’organizzazione, sia sul piano sintattico che sul piano semantico, ci ha aiutato enormemente in questa migrazione. È stato sufficiente affiancare tre analisti al top management e farli lavorare a stretto contatto per riuscire a interpretare il contenuto del nostro data warehouse e trasformare alcune impostazioni strategiche in scelte tattiche».

A sfatare il falso mito che l’utilizzo degli Analytics sia appannaggio solo di analisti e “smanettoni” ci ha pensato Daniele Tognaccini, direttore di MilanLab (il dipartimento dell’A.c. Milan che si occupa di pianificare la preparazione atletica degli iscritti alla società calcistica). «Siamo stati tra i primi in Italia a utilizzare questi strumenti per i nostri atleti, a partire dal 2002, e devo dire che i risultati sono andati ben oltre le nostre aspettative. Al di là della semplicità nell’utilizzo e nella condivisione dei dati (i nostri ragazzi non sono certo degli specialisti dell’informatica), dal punto di vista agonistico abbiamo avuto grandissime soddisfazioni: nel 2007 il Milan ha vinto la Coppa dei campioni con la squadra con l’età media più alta nella storia della competizione, e con il capitano, Paolo Maldini, più anziano in assoluto. Segno che i nostri programmi, grazie ai giusti investimenti, erano vincenti».

Analizzare per crescere nel modo più equilibrato ed efficace: è l’approccio di Enrico Bracalente, amministratore unico di Bag, che con il brand Nero Giardini porta la tradizione calzaturiera marchigiana in giro per l’Italia e, con le ultime attività di internazionalizzazione in chiave retail, per l’Europa. «Attraverso il nostro sistema informatico riusciamo a monitorare le vendite e a pianificare il 60-65% della collezione nei negozi, oltre a organizzare quasi in tempo reale, con una settimana d’anticipo, per intenderci, la confezione di scarpe che hanno riscosso particolare successo. A patto di avere le materie prime in magazzino, naturalmente». Ed è grazie all’utilizzo dei dati che Bracalente è riuscito a ottimizzare i costi di produzione, logistica e distribuzione, contenendo le spese ed evitando di delocalizzare. «Il nostro obiettivo è riuscire a controllare direttamente oltre il 50% dei punti vendita. È questa l’unica via per raggiungere il massimo dell’efficienza. Ecco perché investiremo 15 milioni di euro nell’apertura di nuovi negozi in Italia, Germania e Austria».

Del panel faceva parte anche Giacomo Lorusso, senior sales manager di Sas, e Dario Regazzoni, senior presales manager di Emc Italia, società partner di Sas che ne distribuisce e implementa servizi e prodotti. È stato lui a sottolineare il modo in cui anche la Pmi sta cominciando ad apprezzare il valore degli analytics. Citando il caso di un imprenditore del manifatturiero che da poco ha adottato le soluzioni di Sas, Regazzoni ha raccontato come il nuovo tipo di interfaccia di questi strumenti permetta una vera e propria navigazione (in tutto simile a quella del Web), un processo interattivo attraverso i flussi di informazione. «Il mio cliente ora riesce a compiere in pochi minuti analisi che prima gli portavano via ore, e questo gli apre scenari, suggestioni, ipotesi che può aggiornare e modificare in tempo reale, aggiungendo o eliminando una semplice variabile». In effetti è questo il cuore del tema degli Analytics applicati al tessuto produttivo italiano, che di piccole e piccolissime aziende si compone: la possibilità di arricchire e valorizzare l’intuizione, l’iniziativa e le scelte dell’imprenditore rafforzandole (o, nel caso, confutandole, fornendo scenari alternativi).Ed è su questo che si è spesa Marina Salamon, presidente di Altana e membro dei consigli di amministrazione di una moltitudine di società inserite nei più diversi contesti economici, a partire da Doxa, che proprio sui dati e sulla loro analisi ha costruito nei decenni la propria reputazione. «È fondamentale lavorare sui Big data proprio per mettere in discussione le ipotesi. E non è più possibile la dicotomia dell’imprenditore che agisce basandosi sulle sensazioni di pancia e del manager che lavora a partire dai risultati forniti dalle analisi. Le istanze vanno integrate, fermo restando che dare troppo ascolto alla pancia può portare alla distruzione dell’azienda. È stato da sempre il problema delle imprese italiane, essenzialmente focalizzate sul prodotto e poco sul marketing, sulla distribuzione e sul Crm. Ma il mondo sta cambiando, si sta ribaltando, e solo chi di noi riuscirà a cogliere queste opportunità ha di fronte a sé un grande futuro».

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