Batterie scariche, ambizioni spente

La transizione all’elettrico arranca sotto il peso della dipendenza dalla Cina, perché l’Europa si è posta obiettivi ambiziosi, senza però sviluppare una politica industriale e di sovvenzioni adeguata ad affrontare questo cambio epocale. Così il sogno della mobilità a zero emissioni rischia di svanire

Batterie e auto elettriche: la corsa al 2050 tra Cina ed Europa© Getty Images

Nel 2050 gli addetti ai lavori concordano che sia possibile raggiungere un obiettivo che sembra utopia: lo 0% di emissioni di anidride carbonica nella mobilità, ora responsabile del 25% della quota di CO2 nel mondo. La spinta maggiore, rileva la comunità di scienziati, arriverà dall’elettrico perché nell’intero ciclo di vita il consumo di carbonio è minore del 60% rispetto alle attuali tecnologie. Prima però dovremmo costruire 240 gigafactory per la produzione di batterie, al costo industriale attuale di due miliardi l’una, capaci di coprire la domanda globale di 80 milioni di veicoli all’anno. Sono poco meno di 50 però gli impianti censiti al momento in tutto il mondo. Per una capacità stimata al 2030 (e oltre) di 1,5 TWh. Ma solo il 17% di questi, secondo la Ong Transport & Environment (T&E), è davvero operativo, mentre il 60% è considerato a rischio flop. Il 15% è in costruzione. Il restante 10% dovrebbe tagliare il traguardo.

PowerCo, la divisione batterie del gruppo Volkswagen, punta a installare 100 GWh di capacità tra Germania e Spagna entro il 2027. La francese Verkor mira a produrre 16 GWh entro il 2025 e 50 GWh entro il 2030. In Italia FAAM ha l’obiettivo di raggiungere a Teverola (Caserta) una capacità di 8 GWh entro il 2026 anche grazie a finanziamenti europei da oltre 400 milioni.

Cina vs Europa: una battaglia (al momento) impari nell’elettrico

La Cina però si è piazzata già da tempo a monte della filiera. Nei fatti detiene una sovranità strategica nei confronti del mondo che impone pesanti interrogativi per gli Stati Uniti che gareggiano con Pechino per ambizioni di potenza. D’altronde ha in concessione gran parte dei giacimenti di nickel e cobalto necessari per la realizzazione delle batterie. Ha colonizzato il Congo, strappando contratti decennali di sfruttamento per la produzione di litio anche in Sudamerica. Ora controlla il 90% delle materie prime necessarie.

La ricerca Usa ed europea sta investendo da anni per disintermediare il vantaggio cinese, ma con scarsi risultati. Ecco perché i grandi produttori di auto frenano e non riescono a raggiungere le economie di scala per sviluppare veicoli alla portata del ceto medio. Annunciano maxi-investimenti, come Stellantis e Volkswagen, ma lanciano sul mercato modelli ancora particolarmente costosi, proprio perché è carente l’offerta di batterie. Solo il mercato cinese, il più grande del mondo, è già autonomo e indipendente. Negli ultimi dieci anni lo sviluppo di questi materiali ha fatto crescere l’autonomia dell’elettrico a Pechino di sei-sette volte, con una riduzione dei costi dell’80% rispetto all’inizio del percorso. Non è un caso che solo in Cina l’auto elettrica abbia raggiunto lo stesso livello di efficienza di costo di un’auto a motore termico.

A partire dal 2009 Pechino ha finanziato l’intera filiera con 230,8 miliardi di dollari distribuiti su programmi di ricerca tecnologica, investimenti in infrastrutture e sconti sull’acquisto di auto ed esenzioni d’imposta (13.860 dollari a veicolo nel 2018, sceso poi nel 2023 a 4.800 dollari). Oggi in Cina si contano oltre 10,6 milioni di stazioni di ricarica pubbliche e private. Le multinazionali Catl e Byd controllano oltre il 50% del mercato delle batterie che esportano in tutto il pianeta.

Batterie e auto elettriche: la corsa al 2050 tra Cina ed Europa

La sfida cruciale del riciclo

Non solo: la Cina è in vantaggio sui materiali critici, lo abbiamo detto, ma anche sul modo di riciclarli. Negli impianti cinesi il tasso di recupero di nickel, cobalto e manganese attualmente ha raggiunto il 99,6%. Per il litio, il 91%. Nel 2023 Catl ha riciclato più di 150 mila tonnellate di materiale da batterie esauste, rigenerando quasi 20 mila tonnellate di carbonato di litio. Nei prossimi cinque-dieci anni, segnalano le stime di analisti indipendenti, con il ritiro su vasta scala di batterie auto, il riciclo diverrà la modalità più importante nel garantire la tenuta della catena del valore.

Dopo il 2035 potrà coprire un’ampia parte della domanda, riducendo molto la dipendenza dalla produzione mineraria. L’Europa e gli Stati Uniti arrancano, riusciranno a recuperare? Al momento, se la Cina decidesse di bloccare l’export di grafite sintetica per batterie, uno dei materiali di cui sono composte, l’intero mercato mondiale di auto elettriche e sistemi di accumulo si paralizzerebbe in pochi giorni. Oggi Pechino controlla il 97% della grafite sintetica e il 99% della grafite naturale lavorata. Ciò significa che ogni nuova batteria al litio dipende dalla Cina.

Negli ultimi due anni anche gli Stati Uniti si sono mossi, anche se per volere della vecchia amministrazione Biden, più sensibile ai temi del green rispetto all’attuale cabina di regia della Casa Bianca. Gli Usa hanno investito 126,3 miliardi nello sviluppo dell’auto elettrica creando 108 mila posti di lavoro. Possono vantare Tesla, l’azienda più innovativa del mondo che ha piazzato un suo veicolo, la Model Y, al primo posto delle vendite nei mercati americano, cinese ed europeo.

L’Unione europea vorrebbe produrre all’interno dei propri confini il 90% del proprio fabbisogno di batterie entro il 2030, ma la capacità produttiva è ancora lontana da quella della Cina

L’Unione europea vorrebbe produrre all’interno dei propri confini il 90% del proprio fabbisogno di batterie entro il 2030, ma la capacità produttiva è ancora lontana da quella della Cina. Secondo le analisi di McKinsey nel 2030 la capacità produttiva di batterie in Europa arriverà a 720 gigawattora, contro i 4370 GWh della Cina. In assenza di aziende europee di batterie sufficientemente grandi, le case automobilistiche come Stellantis e Renault – che hanno bisogno di aumentare le vendite di veicoli elettrici anche per sventare le multe di Bruxelles sugli obiettivi di riduzione delle emissioni – si sono accordate con le produttrici asiatiche fotografando così l’inesistenza del Vecchio Continente.

Guardando al futuro, una materia prima interessante potrebbe diventare il fluoro, per produrre i suoi derivati come il litio e il sodio, necessari anche per realizzare gli accumulatori per lo stoccaggio dell’energia rinnovabile per sua natura intermittente. La sfida per produrre entro il 2027 oltre 10 mila tonnellate di sali di litio è appena partita anche da noi a Porto Marghera, dove la capofila Alkeemia sta costruendo, tra innumerevoli difficoltà, un distretto delle batterie. Il fluoro può essere molto utile anche per i microchip, sfruttando quella che potremmo chiamare la chimica evoluta basata sull’acido fluoridrico. Da chi fa assemblaggio, a chi produce le componenti, l’elettrolita, le celle: la necessità è di costruire un distretto, ma al momento mancano tutti i pezzi del puzzle. Per rispondere ai bisogni di un mercato che ha bisogno di sale di litio se ne attendono in Europa dal 2030 al 2032 tra le 100 e 120 mila tonnellate, ora se ne fanno zero, sia nel Vecchio Continente, sia in Usa. Un differenziale senza precedenti.

Batterie e auto elettriche: la corsa al 2050 tra Cina ed Europa

© Getty Images

Servono nuove competenze

Servono anche competenze e profili nuovi professionali. Elettrochimici, polimeristi, chimici organici. Dalle università italiane ne escono in pochi, e spesso vanno all’estero attratti da stipendi migliori. Le utilitarie elettriche più economiche partono al momento da 18 mila euro, ma nella Ue non decollano. Perché l’Europa ha fatto le leggi, ma non ha sviluppato una politica industriale e di sovvenzioni coordinata per approcciare un cambio epocale, visto che ogni Paese ha preferito andare per conto proprio. E ogni Paese ha un problema diverso.

Si è puntato sulla produzione di fascia alta perché la domanda arriva dai più abbienti, mentre le auto di piccola e media dimensione restano ancora troppo costose, in media il 20% in più rispetto agli equivalenti modelli a benzina. Poi è arrivata la crisi economica e la conseguente incertezza sui tempi della transizione. A farne la spesa anche la svedese Northvolt. Doveva diventare un colosso europeo delle batterie in grado di rivaleggiare con i produttori cinesi e di guidare la svolta elettrica della mobilità in Europa. E invece ha dichiarato fallimento dopo aver subito la cancellazione di diversi ordini da parte dei costruttori, in testa Bmw che si è rimangiata una commessa da due miliardi, e non esser riuscito a trovare nuovi finanziatori per i suoi progetti.

Il crac di Northvolt è uno smacco per le ambizioni europee di autonomia nel campo delle batterie per le auto elettriche. Fondata nel 2015, la startup aveva raccolto nell’arco di un decennio circa 13 miliardi fra capitale di rischio e finanziamenti. Nell’azionariato figuravano investitori del calibro di Volkswagen, Goldman Sachs, BlackRock e Fondaco, la società di gestione del risparmio italiana partecipata da Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova.


Alkeemia, avamposto tricolore

A Porto Marghera è nata una startup da 70 milioni che vuole diventare il leader europeo del fluoro

Alkeemia è una startup da 70 milioni di fatturato, nata a Porto Marghera, storica culla della chimica del fluoro. Ha varato un piano da 100 milioni per raggiungere i volumi richiesti di sali di litio per diventare il leader europeo del fluoro, un acido che ora usano in gran quantità solo i cinesi per la produzione delle batterie. Insiste su un’area industriale che è tutt’altro che dismessa, con una buona logistica tra porto, ferrovie, e capitale umano costruito nella vicina università di Padova.

La volontà è di farla diventare una «piattaforma per tutte le produzioni derivate del fluoro», dice l’amministratore delegato Lorenzo di Donato, visto che ben il 15% per massa di ciascuna batteria è fatta da prodotti fluorurati. «Si parla molto di gigafactory che però è solo l’ultima fase dell’assemblaggio delle batterie, mentre c’è da costruire tutta una filiera che ora è interamente appannaggio della Cina, che controlla anche tutti i processi e le fasi di produzione», spiega il top manager. «Lavoriamo sui sali di litio, ma vogliamo sviluppare tecnologie che superino il modello cinese che prevede, solo come numeri esemplificativi, 5 mila tonnellate di prodotto e 35 mila tonnellate di scarti. Numeri inaccettabili se pensiamo all’impronta ecologica e all’economia circolare».


Articolo pubblicato su Business People di luglio-agosto 2025, scarica il numero o abbonati qui

Resta sempre aggiornato con il nuovo canale Whatsapp di Business People
© Riproduzione riservata