Almaviva chiude a Roma e Napoli. A casa oltre 2.500 lavoratori

Tra le ragioni addotte dall’azienda di contact center, ci sarebbero le crescenti perdite registrate dai due siti e l’atteggiamento stesso dei sindacati

Almaviva Contact taglia il proprio personale call center. La società ha annunciato un piano di riorganizzazione che contempla la chiusura dei siti produttivi di Roma e Napoli, nonché una riduzione della propria forza lavoro. Più nel dettaglio, si troverebbero senza lavoro 1.666 persone su Roma e altre 845 a Napoli. Stando a quanto si apprende dal comunicato aziendale, l’utilizzo di ammortizzatori sociali non sarebbe stato sufficiente a contenere le perdite generate dai due siti che, tra giugno e settembre 2016, sono arrivate ad ammontare a 1,2 milioni di euro su ricavi mensili, pari a 2,3 milioni di euro.

LE RAGIONI DELL’AZIENDA. A spingere alla chiusura sarebbe però stato anche l’atteggiamento stesso dei sindacati: secondo l’azienda avrebbero rifiutato di «sottoscrivere lo specifico accordo sulla gestione di qualità e produttività individuale, impegno centrale e condiviso come vincolante in sede d’intesa, che nega inspiegabilmente una fondamentale leva distintiva per la qualificazione dell’offerta e il progressivo riassorbimento degli esuberi». A influire sarebbe però anche lo scenario globale del mercato dei call center: per Almaviva «in costante deterioramento – almeno dieci le aziende del comparto chiuse negli ultimi mesi – che rimane assoggettato a inalterati fenomeni distorsivi, senza registrare gli effetti delle iniziative di riordino dichiarate. Come dimostra, nonostante chiare leggi dello Stato che rimangono inapplicate, l’incontrollato aumento delle attività delocalizzate in Paesi extra Ue: sulla base dei dati ufficiali dell’Instat albanese, nel 2015 è raddoppiato il numero dei call center che lavorano per il mercato italiano con oltre 25 mila posti di lavoro».

LA REAZIONE DEI SINDACATI. Immediata, naturalmente, la polemica. La decisione di Almaviva si inserisce infatti in un contesto di forti tensioni: a Palermo i sindacati erano appena insorti contro la decisione di trasferire parte del personale in Calabria. Tra l’altro a novembre scade la solidarietà dei lavoratori proprio di Palermo, Roma e Napoli. «Le motivazioni addotte dall’azienda sono palesemente pretestuose e strumentali: è evidente l’assoluta inconsistenza delle presunte inadempienze sindacali quali causa della spregiudicata determinazione aziendale», commenta in una nota Massimo Cestaro, segretario generale Slc Cgil. «Siamo di fronte a un’autentica provocazione nei confronti delle Organizzazioni Sindacali e del Governo, nonché di una volgare forma di intimidazione nei confronti dei lavoratori».

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