L’AI agentica promette di generare un impatto economico di 450 miliardi di dollari entro il 2028, ma la corsa all’adozione è ancora nelle fasi iniziali. È quanto emerge dal nuovo report del Capgemini Research Institute, che sottolinea come solo il 2% delle organizzazioni abbia raggiunto una diffusione su scala completa, nonostante l’entusiasmo e le potenzialità.
Il valore stimato deriva da un mix tra nuovi ricavi e riduzione dei costi, ma tradurre questo potenziale in realtà richiede ben più della sola tecnologia. Secondo Monia Ferrari, amministratore delegato di Capgemini in Italia, è necessario ripensare i processi aziendali in un’ottica AI-first. “Al centro di questa trasformazione c’è la necessità di costruire fiducia, sviluppando l’AI in modo etico e sicuro fin dalle fasi iniziali. Occorre anche riprogettare le strutture organizzative per favorire una sinergia efficace tra esseri umani e AI, creando le condizioni per valorizzare il giudizio umano e ottenere migliori risultati di business”.
Il nodo della fiducia frena la scalabilità dell’AI agentica
Uno dei segnali più evidenti della distanza tra ambizione e realtà è il crollo della fiducia negli agenti AI completamente autonomi, passata dal 43% al 27% in un solo anno. Le aziende riconoscono che il vero impatto si realizza solo quando l’essere umano resta parte attiva del processo decisionale: lo afferma quasi il 75% dei dirigenti coinvolti nel sondaggio, mentre il 90% considera positiva o neutrale la partecipazione umana in processi automatizzati.
In questo scenario, molte imprese stanno puntando sulla trasparenza, sulla spiegabilità delle decisioni dell’AI e su garanzie etiche per colmare il divario di fiducia. Dove l’adozione è più avanzata, infatti, si osservano anche livelli di fiducia più alti.
Solo una minoranza è davvero pronta all’adozione su larga scala
L’AI agentica è tra le tecnologie emergenti a più rapida evoluzione, ma le organizzazioni sono ancora in ritardo. Quasi il 25% ha avviato progetti pilota, mentre solo il 14% è già in fase di implementazione. La maggioranza resta nella fase di pianificazione e quasi la metà non ha una strategia chiara per portare avanti l’adozione.
Le difficoltà riguardano anche l’infrastruttura tecnologica: l’80% delle aziende non dispone di sistemi AI maturi, e meno di una su cinque è davvero pronta sul fronte dei dati. Le principali preoccupazioni etiche – come privacy, bias e incomprensibilità degli algoritmi – restano diffuse, ma pochi adottano misure concrete per affrontarle.
Verso un modello di collaborazione uomo-AI
Il futuro dell’AI agentica non sarà completamente autonomo: oltre il 60% delle aziende prevede di creare team ibridi uomo-AI entro i prossimi 12 mesi. In questi modelli, gli agenti diventano membri attivi del team, capaci di supportare e potenziare le capacità umane.
Questa collaborazione può generare vantaggi significativi: aumento dell’impegno umano in attività ad alto valore (+65%), maggiore stimolo alla creatività (+53%) e crescita nella soddisfazione dei dipendenti (+49%). Tuttavia, al momento solo il 15% dei processi aziendali è gestito da agenti semi-autonomi o autonomi, e si stima che si salirà al 25% entro il 2028.
Il gap tra hype e realtà
Secondo Capgemini, serve andare oltre l’entusiasmo iniziale: le imprese devono trasformare i modelli organizzativi, ripensare i flussi di lavoro e trovare il giusto equilibrio tra autonomia delle macchine e supervisione umana.
Il potenziale economico è chiaro: le aziende che riusciranno a implementare l’AI agentica su larga scala potranno generare in media 382 milioni di dollari nei prossimi tre anni, contro i 76 milioni delle aziende che resteranno indietro. Ma per raggiungere questo traguardo, strategia e fiducia restano le vere sfide da affrontare.
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