È tempo di social shopping

Sull’onda dell’e-commerce e della penetrazione degli smartphone decollano progetti e piattaforme che renderanno Facebook & Co il fulcro della relazione tra brand e consumatori. E l’Italia è già all’avanguardia. Ora la palla passa ai retailer

Un menù di pesce in un ristorante nei din­torni di Milano, segnalato sulla prestigio­sa Guida Michelin. Prezzo: meno di 25 euro a testa, tutto compreso (o quasi), per un massimo di quattro persone. Fino a qual­che anno fa, un’offerta del genere avrebbe insospettito an­che il meno diffidente dei consumatori, almeno in alcu­ne città d’Italia come il capoluogo lombardo, dove non è mai stato facile cenare fuori casa a prezzi popolari, persino in una pizzeria di medio-basso livello. Ma oggi, di fronte a una proposta allettante come quella del ristorante mila­nese, sono davvero in pochi a stupirsi, almeno tra i milio­ni di italiani che navigano con frequenza su Internet, dove le offerte commerciali a prezzi stracciati sono il pane quoti­diano. È una piccola rivoluzione partita con l’avvento dei social network, cioè i popolarissimi siti Web come Face­book, Twitter o LinkedIn, attorno ai quali si sono create delle mega-comunità, composte da centi­naia di milioni di utenti in tutto il mon­do, che ogni giorno si scambiano opinio­ni, notizie, commenti, foto, filmati o mes­saggi, con il computer di casa, con il tablet o con gli smartphone. Come ogni fenomeno di massa, ovvia­mente, anche i social network sono diven­tati un’occasione per fare affari: non soltanto per il mon­do della pubblicità, che su Facebook o Twitter riesce a inter­cettare miliardi di consumatori in tutto il mondo, ma an­che per l’ormai ben rodato settore del commercio elettro­nico (e-commerce), cioè le vendite online di beni e servi­zi, che hanno già una storia ultradecennale alle spalle, ma continuano a crescere a ritmi impetuosi, anche in Italia. Nei prossimi decenni, proprio per l’avvento dei social me­dia, l’e-commerce sarà probabilmente costretto a cambia­re pelle, cioè a sperimentare ancora nuo­vi canali di vendita. C’è chi pensa infat­ti che i grandi social network della Rete si trasformeranno presto nei marketplace del futuro, cioè in grandi piazze-mercato virtuali, in cui si formano ogni giorno le decisioni di acquisto di milioni o miliar­di di consumatori, in tutti e cinque i con­tinenti. Per questo, il commercio elettronico dovrà con­vertirsi necessariamente al social shopping: in altre paro­le, alle aziende non basterà più avere un proprio canale di vendite online moderno ed efficiente o una pagina-vetri­na su Facebook per promuovere i propri prodotti e tenere sempre un filo diretto con i clienti. Le imprese dovranno compiere un ulteriore passo in avan­ti e studiare una maggiore integrazione tra l’e-commerce tradizionale e le piattaforme dei grandi social network.

I NUMERI DI UN FENOMENO MONDIALE

Facebook 1 miliardo di iscritti (Italia: 23 milioni)

Twitter 288 milioni di iscritti (Italia: 4 milioni)

LinkedIn 200 milioni di iscritti (Italia: 4 milioni)

YouTube 800 milioni di utenti giornalieri

Tabelle – Dati e-commerce in Italia e nel mondo

Questa, almeno, è un’opinione diffusa tra molti addetti ai lavori, tra i quali non manca però chi mostra una certa dose scetticismo. È il caso di Riccardo Mangiaracina, direttore delle ricerche all’Osservatorio sull’e-commerce B2C (business to consumer, cioè destinato ai consumatori finali) della School of Management del Politecnico di Milano. Secondo Mangiaracina, che studia da anni il commercio elettronico, l’avvento dei social network ha indubbiamente cambiato (e cambierà ancora in futuro) le scelte dei consumatori. Tuttavia, è ancora presto per dire se i popolarissimi Facebook o Twitter abbiano o meno le potenzialità per trasformarsi in veri e propri marketplace, dove si completano tutte le fasi dell’ e-commerce. «È molto più probabile», dice Mangiaracina, «che i social network diventino il punto di riferimento dei consumatori soprattutto in due momenti diversi: nella fase precedente l’acquisto, quando gli utenti della Rete cercano informazioni sul prodotto da comprare e chiedono pareri e opinioni agli altri internauti, oppure nella fase post-vendita dove, oltre a ricercare e rilasciare commenti sui beni acquistati, i consumatori possono instaurare un dialogo con l’azienda che ha venduto i prodotti o ricevere assistenza». Manca però un passaggio: l’acquisto vero e proprio del bene o del servizio, che si perfeziona con l’invio dell’ordine sul Web e con l’operazione di pagamento. Questa fase, a detta del ricercatore del Politecnico, per adesso avviene prevalentemente al di fuori del vasto mondo dei social network e si svolge ancora nei canali di e-commerce tradizionali, cioè nei siti web delle stesse aziende venditrici. Certo, già oggi non manca qualche esperienza di commercio diretto attraverso i social media: è il caso, per esempio, del settore della biglietteria aerea dove alcuni operatori (come il sito di comparazione delle tariffe Volagratis) ha creato un proprio canale di e-commerce direttamente su Facebook. Si tratta però, secondo Mangiaracina, di esperienze ancora marginali o all’avanguardia, che non hanno aperto, almeno per adesso, la strada a una vera e propria rivoluzione del commercio elettronico.Dunque, il ricercatore del Politecnico invita a non fare analisi troppo affrettate sul fenomeno del social shopping e a non confondere attività che sono molto differenti tra loro. Spesso, infatti, nell’alveo del commercio “social”, vengono classificate anche le vendite dei siti di couponing, come il celebre Groupon, o il concorrente Groupalia. È su questi indirizzi Web che si trovano le occasioni a prezzi stracciati come quella del ristorante di pesce a Milano, grazie alla formula degli acquisti collettivi e condivisi. In pratica, un venditore che vuole farsi conoscere al pubblico, e promuovere i propri prodotti, inserisce in questi siti delle offerte a prezzi stracciati, che poi vengono segnalate via mail o sul telefonino agli utenti, sulla base della loro zona di residenza. In genere, queste proposte commerciali hanno una scadenza e, a volte, si perfezionano soltanto se raggiungono un determinato numero di adesioni, grazie al passaparola tra gli utenti. Secondo Mangiaracina, però, nei siti di couponing la componente social e l’interazione tra i consumatori è assai limitata e ha ben pochi punti in comune con quella che si trova invece sulle pagine di Facebook o Twitter. Una cosa è il commercio di prodotti su Groupon o Grupalia, insomma, e un’altra cosa sono invece le vendite dirette via Facebook o Twitter, che, di fatto, non sono ancora decollate. Inoltre, va ricordato pure che il modello di business di alcuni operatori come Groupon è stato messo di recente in discussione da più di un osservatore: c’è per esempio chi considera un po’ troppo aggressive le campagne promozionali del sito statunitense (basate su mega-sconti) mentre la società, che è quotata alla borsa di Wall Street, ha appena licenziato il proprio amministratore delegato, Andrew Mason, dopo la presentazione di una trimestrale negativa (81,1 milioni di dollari di perdite) e dopo il crollo del titolo in Borsa (-21% circa). Eppure, le difficoltà della web-company statunitense non sembrano spaventare molto diverse aziende (anche italiane), che adesso sono davvero intenzionate a cavalcare l’onda lunga degli acquisti collettivi e condivisi su Internet. Tra queste c’è anche Qui Group, noto gruppo attivo tradizionalmente nei servizi di welfare aziendale, come la vendita di buoni-pasto. In collaborazione con il Cinfai, un consorzio di ricerca del Politecnico di Torino, la società guidata da Gregorio Fogliani ha infatti dato vita a un progetto per la creazione di un marketplace intelligente sulla Rete, che partirà entro l’anno con il marchio 4Sale. Si tratta di un sistema di commercio elettronico che consentirà alle aziende (o anche ai rivenditori privati) di comprare e vendere beni e servizi sulla rete a prezzi competitivi, sfruttando le modalità tipiche del social shopping. «Il punto di forza di questa piattaforma», dice Fogliani, «è un sistema di promozione dei prodotti basato su un’elevata profilazione delle abitudini di acquisto dei consumatori, che fa leva proprio sulle informazioni che arrivano dai social network». L’idea di fondo è di per sé molto semplice: se un utente di Facebook, per esempio, dimostra di ap­prezzare un determinato prodotto, è probabile che anche molti suoi amici iscritti allo stesso social network facciano altrettanto, poiché hanno dei gusti e delle abitudini simi­li. Ecco allora che il sistema creato da Qui Group consente di utilizzare queste informazioni per mettere in campo del­le campagne promozionali mirate ed efficaci, che hanno dei costi di acquisizione dei clienti molto meno elevati ri­spetto a quello dei canali pubblicitari tradizionali. Inoltre, la nuova piattaforma farà un ampio utilizzo dei dispositivi mobili: attraverso gli smartphone collegati a Internet, per esempio, gli iscritti al nuovo portale creato da Qui Group potranno essere localizzati più facilmente e ricevere le pro­mozioni di esercizi commerciali a loro vicini, come per esempio il ristorante o la paninoteca dietro l’angolo che offre un menù a prezzi scontati. L’obiettivo, insomma, è di sfruttare in un colpo solo i due fenomeni oggi più in voga nell’universo del Web: i social network, appunto, e la telefonia mobile di nuova genera­zione. «Si tratta di due risorse ormai troppo preziose per essere ignorate», dice Pierluigi Simonetta, amministratore delegato di Paybay Networks, la software house controlla­ta da Qui Group specializzata nella gestione delle piattafor­me tecnologiche e dei sistemi di pagamento. Secondo Si­monetta, qualsiasi rivenditore di beni e servizi deve capi­re che è nata ormai la figura del consumatore 2.0, cioè un acquirente con esigenze più complesse, desideroso di con­frontarsi con gli altri utenti della Rete e particolarmente attento al prezzo. Dunque, qualunque sia il ruolo giocato in futuro dai social network, una cosa è certa: nei prossi­mi anni, il commercio elettronico vivrà comunque un pro­cesso di profonda trasformazione. Di fronte a questa pro­spettiva, non potevano certamente rimanere alla finestra le aziende che fanno muovere gli ingranaggi dell’e-com­merce, cioè gli emittenti di carte di credito e i gestori dei sistemi di pagamento. Tra questi c’è Mastercard, che guar­da con attenzione al fenomeno del social shopping. Nel novembre scorso il gruppo ha siglato un accordo per offrire dei buoni sconto ai propri clienti, attraverso la piattaforma di Glamoo, fondata nel 2010 da Simone Ranucci Brandi­marte e Luca Pagano, che ama definirsi la prima azienda del nostro paese di SoLoMo (Social, Local, Mobile) com­merce e adotta un modello di business simile a quello di Groupon, ma focalizzato maggiormente sulle promozioni commerciali veicolate tramite gli smartphone. «L’avvento dei social network», dice Gianluca Iannelli, di­rettore marketing Mastercard Italia, «sta creando una nuo­va generazione di consumatori evoluti, che nei prossimi anni rivoluzionerà il settore del retail». La prova arriva an­che da una ricerca che la stessa Mastercard ha realizzato lo scorso anno tra gli operatori della distribuzione (retailer): secondo i risultati dell’indagine, entro il 2020 il cellulare sarà in grado di soppiantare il punto-vendita fisico, mentre il sito Internet e i call center saranno i più importanti ca­nali di comunicazione con i clienti. Per questo molti riven­ditori, anche in Italia, stanno cercando di farsi trovare pre­parati a questo appuntamento. Secondo l’indagine di Ma­sterCard, infatti, più della metà (55%) dei retailer italiani investirà nel corso del prossimo anno in nuove tecnologie per favorire una maggiore diffusione degli acquisti su Inter­net o tramite cellulare. «Si tratta di una percentuale sensi­bilmente più alta rispetto alla media europea (35%, ndr)», dice Iannelli, «che fa ben sperare sulla possibilità per il no­stro Paese di recuperare velocemente alcuni ritardi accu­mulati in passato nel commercio elettronico». Con questo scenario, è chiaro che il settore della distribu­zione non può rimanere immobile. Nell’analisi di Master­Card, per esempio, più di un rivenditore italiano su tre ha indicato l’aumento della consapevolezza dei consumatori come le cause fondamentali del cambiamento vissuto dal settore della distribuzione negli ultimi cinque anni. Con l’avvento del social shopping, insomma, il cliente ha l’oc­casione di diventare davvero protagonista.

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