Ai brand piace il rosso

Forte e vivo, certo non passa inosservato. Ecco perché molti marchi di successo hanno scelto di legare a doppio filo la loro immagine a questo colore

Rosso, è un vestito rosso, oggi quel­lo che indossi per il mio funerale», cantava Niccolò Fabi nel 1998. Effetti­vamente un vestito di questa tonalità non si addice al lutto, visto che il ros­so è il colore della passione, anche quella erotica, dell’amo­re, del sangue e quindi della vita. Gli esperti di marketing, ma anche di filosofia dei colori, sono concordi nel ritenere che si tratti di un colore forte, vivo, che reclama attenzione, che eccita, come fossimo un po’ tutti dei tori. È un colore da­vanti al quale non si può restare indifferenti. Fa aumentare il ritmo respiratorio, può generare inquietudine (a nessuno verrebbe in mente di dipingere di rosso le pareti di un ospe­dale), segnalare un pericolo ma evoca anche energia, forza e richiede attenzione e coinvolgimento. Sono molte le azien­de che hanno legato la propria storia e la propria immagine a questo colore. Una scelta di personalità, che non tutti si possono permettere.

Campari

A qualcuno saltò la mosca al naso, anzi, la cocciniglia. Un insetto non vale l’altro e, infatti, è quest’ultimo che dà al bitter più famoso del mondo il suo classico colore carminio. Ma a un certo punto, era il 2006, il Gruppo Campari decise di passare all’uso di un colorante artificiale e nel mondo, complice un articolo di un giornale sudafricano, fu il panico. Effettivamente, se si pensa quanto il rosso si leghi al brand, tanto da diventarne un claim e uno spot d’autore (Campari red passion), si capisce che non è una semplice questione cromatica. Ci vollero anni di dibattiti prima che il magazine Vice chiudesse la querelle con un articolo il cui titolo non lasciava spazio al dubbio: Everyone Will Always Love Campari, With or Without Beetle Juice. Ed effettivamente è così. I conti presentati dal Ceo Bob Kunze-Concewitz, relativi ai primi nove mesi di quest’anno, raccontano di vendite in aumento (pari a 1,3 miliardi di euro), crescita organica di un 6,9% e totale di un 8,6%. Niente male per un alcolico nato prima dell’unità d’Italia, nel 1860, in un piccolo locale di Novara, il Bar dell’Amicizia di Gaspare Campari. Sarebbe diventato un marchio mondiale anche grazie al genio di Fortunato Depero, artista futurista che nel 1932 disegnò la bottiglietta del Campari Soda, la prima monodose che si fosse mai vista, conica e iconica

Boston Red Sox

In Italia i Red Sox sono famosi più presso i cinefili che presso gli amanti dello sport, ma negli Stati Uniti sono quasi una leggenda. Si parla della squadra di baseball di Boston, che prende il nome dai calzettoni rossi (da sockings, abbreviato in sox) che fanno parte della divisa, di ogni divisa, quella delle partite in casa ma anche quella delle trasferte, senza dimenticare la “seconda maglia”. La squadra fu fondata nel 1901, ma assunse quel nome solo nel 1907, per volere del proprietario John I. Taylor. Boston aveva già una squadra di baseball, i Boston Braves, noti come Red Stockings, che però militava nella National League, non nell’American League. Nel 2018, i Red Sox hanno vinto per la nona volta la World Series, peccato che definire le prestazioni del 2019 sia un eufemismo. Si spera che un faro rosso li aiuti a uscire dalla bufera.

Kilometro Rosso

Chi ha preso un aereo dall’aeroporto di Orio al Serio, Bergamo, lo avrà notato senz’altro, perché non notarlo è impossibile. Il Kilometro Rosso è una costruzione bassa e lunga, di un rosso scuro lucente, che accompagna il viaggiatore che percorre l’A4. È un parco scientifico tecnologico della Brembo, progettato nel 2002 dall’architetto francese Jean Nouvel ma ideato da Alberto Bombassei, patron di Brembo ed ex numero due di Confindustria. Al suo interno, si progetta il futuro: dall’ingegneria alla farmaceutica passando per la ricerca sul motore elettrico. Nei suoi laboratori flessibili sono presenti aziende di tutti i tipi. Lì c’è tutto ciò di cui ha bisogno chi fa innovazione, dai servizi tecnici a quelli telematici, dalla formazione alla consulenza. Se l’Italia non vuole annegare nell’imminente rivoluzione tecnologica, nel Kilometro Rosso troverà un salvagente.

Valentino

Essere il signore della moda in un Paese che è ritenuto la quintessenza della moda e del senso estetico, l’Italia, significa essere quasi un monarca, nel proprio campo, forse qualcosa di più. Non è eccessivo, allora, il titolo di un biopic che gli fu dedicato nel 2008 da Matt Tyrnauer, Valentino: The Last Emperor. Valentino Garavani un imperatore lo è davvero, e non tanto perché ha creato un impero, ma perché – quando si parla di eleganza e buon gusto – può davvero avere l’ultima parola. Il colore rosso è quello che forse lo identifica di più, tanto che si parla di Rosso Valentino, con riferimento a una precisa tonalità tra il carminio, il porpora e il cadmio. Tutto accadde sul finire degli anni 50, quando a Barcellona, in un teatro in cui assisteva a un’opera lirica, fu folgorato da una signora che sfidava i codici dell’epoca vestendo integralmente di rosso. Fu un’epifania. Dopo la prima sfilata parigina, divenne noto come “lo stilista dei vestiti rossi”. Tra l’altro, uno dei brand della maison si chiama Red. L’imperatore non fa nulla a caso.

Caramelle Rossana

Il suo involucro rosso e trasparente e il font d’oro sono una delle poche certezze che esistono nella vita, così come il ripieno al latte che da decenni è ciò che fa della Rossana una delle caramelle più famose, riconoscibili e inimitabili al mondo. E infatti Michael Caine ne accarezza la cartina in Youth, di Paolo Sorrentino. La rossa più amata d’Italia veleggia verso i 100 anni, traguardo che in realtà ha rischiato di non tagliare. La Nestlé, che nel 1988 – all’epoca della prima grande festa delle privatizzazioni pro-privati – l’aveva comprata, nel 2016 aveva messo in vendita il famoso marchio per liberare risorse da investire sul Bacio. Sembrava la fine di una storia gloriosa, iniziata nel 1926 in quel di Perugia, quando Luisa Sargentini in Spagnoli, anima della Confetteria Spagnoli che poi diventerà Perugina – si era inventata quella caramella spigolosa e dura ma con un cuore irresistibile e l’aveva battezzata omaggiando il personaggio di Roxane, la donna amata da Cyrano de Bergerac nella famosa opera di Edmond Rostand. Poi, per fortuna, il lieto fine, con la Rossana che non solo viene salvata ma torna a essere italiana, comprata dall’astigiana Fida Candies (Bonelle, Charms, Sanagola).

Gambero Rosso

Questa è una storia di amicizia, passione e ideali con un finale un po’ amaro. Il nome per eccellenza dell’informazione (e della formazione) in campo enogastronomico è lo stesso dell’osteria in cui mangiano il Gatto e la Volpe nella celebre favola di Collodi, Pinocchio. Nasce come inserto di otto pagine del Manifesto nel 1986, fondato da Stefano Bonilli, per diventare poi una casa editrice e pubblicare una guida vini nel 1987, alla quale sarebbe seguita una guida ristoranti tre anni dopo. L’obiettivo era quello di diffondere la cultura enogastronomica in un Paese che aveva un tesoro al quale attingere. Nel tempo, il sogno di un gruppo di giornalisti un po’ folli e idealisti, ma motivati e competenti, è diventato un brand pesante, che nel 2007 si dotò di una sede adeguata al nome, una struttura faraonica: la città del gusto. Un progetto ambiziosissimo, che ospitava le redazioni, un bar, un ristorante, un teatro, una scuola di cucina, i set del canale satellitare, con una terrazza immensa in cui si ritrovava la Roma che voleva mangiar bene. Forse troppo costoso però, tanto da pesare sugli assetti societari, che inevitabilmente cambiarono, con il siluramento del fondatore, poi prematuramente scomparso. Dal 2015, Il Gambero è quotato all’Aim di Milano con Class Editori che, con oltre il 60% delle azioni, è il socio di maggioranza. La sfida oggi è quella di restare rilevanti al tempo di TripAdvisor.

Louboutin

Le sue scarpe sono simbolo dell’eleganza e indice di un reddito che non è quello della donna comune, visto che possono arrivare a costare anche 6 mila dollari. La linea, lo stile, il tacco: certo, un esperto riconosce la “mano” dello stilista francese Christian Louboutin da questi elementi. Al profano basta la suola rossa, assolutamente non convenzionale, tanto da essere diventato un marchio così riconoscibile da entrare anche nel testo di una canzone di una rapper americana, Cardi B (53 milioni di follower su Instagram), che in Bodak Yellow canta: «These expensive/These is red bottoms/ These is bloody shoes». Leggenda vuole che l’invenzione che avrebbe cambiato la carriera di Louboutin sia arrivata per caso: lo stilista stava guardando con poco entusiasmo un paio di scarpe non ancora messe in commercio, un prototipo ispirato a un quadro di Andy Warhol, Flowers. Voltò lo sguardo e vide un assistente che si stava mettendo dello smalto rosso: quella fu la scintilla dalla quale nacque tutto.

Liverpool FC

Un po’ cormorano, un po’ aquila, è questo uccello misterioso il simbolo della città di Liverpool, ed è lo stesso che dà alla sua squadra di calcio, i “Reds”, il suo colore simbolo, il rosso. Ma non fu così da subito. Alla sua fondazione, nel 1982, i suoi colori erano il blu e il bianco, che oggi sono quelli della seconda divisa, e così fu fino al 1894. Sette anni dopo, anche il Liver Bird entrò a far parte della storia del club, divenendone il simbolo ufficiale. Ed è quell’uccello che volteggia sopra Enfield Road, quando la squadra scende in campo e i tifosi intonano quello che è forse l’inno più famoso del calcio: You’ll Never Walk Alone.

Red Hat

Il cappello rosso che dà il nome alla multinazionale americana produttrice di software (liberi) Red Hat è quello che indossava Marc Ewing, fondatore del marchio con Bob Young. Era il 1993. Venticinque anni dopo, Red Hat vantava un fatturato di 2,9 miliardi di dollari e un utile di 259 milioni. Nell’estate del 2018, Ibm annunciava l’intenzione di acquisire il gruppo, operazione finalizzata quest’anno, con il colosso americano che ha sborsato 34 miliardi di dollari per assicurarsi il prezioso cappello rosso.

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