Connettiti con noi

Lifestyle

Serie A, quando il cinema è nel pallone

Dal Biscione al Viperetta. Calcio e film sembrano due mondi paralleli, ma hanno diversi punti di contatto. Incarnati anche da alcuni istrionici presidenti

Calcio e cinema, due forme diverse di entertainment, che si sono spesso incrociate, dagli anni ’80 a oggi, nel destino di alcuni importanti imprenditori italiani. Presidenti, per caso o per scelta strategica, che hanno puntato sul mondo del pallone per fare business (non solo in ambito sportivo) e crescere in popolarità. Gli affari calcistici sono finiti anche all’interno dei loro gruppi imprenditoriali, con una serie di vantaggi fiscali, soprattutto nel gioco delle plus-minusvalenze applicate ai cartellini dei giocatori, di cui hanno beneficiato negli anni d’oro del football tricolore. Oggi un po’ meno, visti i tempi di crisi. L’estrema mediaticità del calcio, a sua volta, si è trasformata in un acceleratore di business extra-calcistici, come, per esempio, il settore del cinema. Questa premessa è d’obbligo per com-prendere le ragioni imprenditorial-economiche, che hanno spinto personaggi del calibro di Silvio Berlusconi (Ac Milan) o Aurelio De Laurentiis (Ssc Napoli) a tentare una osmosi fra i due universi paralleli della celluloide e del pallone. L’ultimo, in ordine di tempo, a essere sbarcato nella serie A, è Massimo Ferrero, patron dell’Uc Sampdoria. Ormai assurto a vero e proprio personaggio mediatico, sull’onda di una popolarità improvvisa e, per certi versi, inaspettata.

MEDUSA E IL MILANChi pensa che Silvio Berlusconi, fondatore dell’impero Fininvest (partito dall’edilizia, passato alla Tv e all’editoria cartacea), e con interessi nel mondo cinematografico (attraverso Medusa film, dal ’95 gruppo Mediaset) smaniasse per acquisire, nel lontano 1986, il Milan, si sbaglia di grosso. È l’esatto contrario. Nell’estate del 1984 si era avvicinato all’allora presidente dell’Inter (Ivanoe Fraizzoli), ma le lungaggini della trattativa lo portarono a recedere e a puntare sull’altra sponda della città: quella rossonera. E a chi chiedeva cosa ne pensasse del club rossonero rispondeva: «Purtroppo non posso, il mio mago mi ha detto che mi porterebbe sfortuna». Il mago (conosciuto come tale signor Moro) gli aveva assicurato, in qualità di chiaroveggente di fiducia, che portava “iella”. Guai quindi ad acquistarlo. Il 30 ottobre del 1985 il Corriere dello Sport pubblica, però, uno scoop nella direzione opposta: il gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi ha comprato il Milan calcio, e precisa anche il prezzo: 24 miliardi di lire, con un pagamento in quattro rate. Lo stesso giorno, con un comunicato ufficiale, la Fininvest dichiara alle principali agenzie di stampa che non è vero e afferma la propria «totale estraneità alle trattative per l’acquisto della squa­dra milanese». Chiaramente, al di là del gio­co delle parti, il tempo (già nel 1986) dimo­strerà l’esatto contrario. Il core-business te­levisivo del Cavaliere è stato preponderan­te rispetto agli interessi nel pianeta cinema e questo ha determinato la crescita esponen­ziale dei diritti Tv legati al calcio, passando (se si ragiona in termini più macro), nel tem­po, dalla piattaforma monopolista della Rai a un calcio ormai “spezzatino”, sia in termi­ni di orario (si gioca dal venerdì pomeriggio al lunedì sera) che di piattaforme di fruizione (inclusi i diritti venduti su Internet e sulla telefonia mobile).

Il CASO CECCHI GORI

Berlusconi ha introdotto, tra l’altro, un princi­pio base oggi comunemente accettato da tut­ti gli altri presidenti di serie A: il mondo del calcio è un immenso bacino, ogni tifoso è un potenziale consumatore e ogni consumatore è un potenziale cliente Tv. La sua strategia di azione, quindi, non è stata un atto di genero­sità, bensì di pura intelligenza. Stride sicuramente il fatto di non aver “in­dustrializzato” la produzione cinematogra­fica gravitante nell’orbita Fininvest nel mon­do del calcio. Per Berlusconi la forza e l’in­fluenza della Tv è stata sempre superiore a qualsiasi altro business collegato all’impero Fininvest. E, soprattutto, ha utilizzato il cal­cio come veicolo di voti tant’è che, in occa­sione di ogni tornata elettorale, il presiden­te del Milan, ma anche di Forza Italia, ha ac­quistato i cosiddetti top player. Un caso? Non lo crediamo, sinceramente. Una riedizione, ai giorni nostri del motto latino panem et circenses.

IL NAPOLI E LA FILMAURO Completamente dif­ferente l’approccio messo in campo da Aure­lio De Laurentiis, nato e cresciuto, sin da giovane, a pane e cinema, che ha compreso, dall’inizio della sua avventura calcistica a sostegno delle sorti del Na­poli (finito in serie C nel­l’estate 2004), le potenziali­tà dell’abbinamento di que­sti due mondi paralleli. Il pa­tron campano ha intuito che il calcio poteva essere utilizzato come un media alla pari di altri mezzi tradizionali (come la Tv, la radio, le affissioni, o anche lo stes­so Web), per promuovere a far spingere i ricavi dei prodotti cinematografici rea­lizzati e distribuiti dalla sua Filmauro. Il peso dello sport all’interno degli affari di De Laurentiis è cresciuto gradualmen­te, di stagione in stagione, fino ad arri­vare anche a picchi dell’80% sul totale dei ricavi. Un dato quest’ultimo che, ab­binato agli otto bilanci in utile consecu­tivi, fa capire come il pallone sia un “dri­ver” eccezionale per produrre guadagni sia di gruppo, sia in ambito cinematogra­fico, dove i cine-panet­toni natalizi ed estivi sono stati spinti all’interno dello stadio San Paolo o in crociera con i tifo­si, attraverso azioni di co-marketing insieme alle aziende spon­sor degli azzurri. Marketing ovunque, dal calcio al cine­ma, arrivando anche, per primo in Italia, ad acquisire in blocco i diritti di imma­gine di tutti i calciatori della rosa, utiliz­zati, di volta in volta, per la promozio­ne di un profumo, ma anche del film di cartello a marchio Filmauro. Quest’anno il cine-panottone doc, come lo definisce lo stesso De Laurentiis, è stato Un Nata­le stupefacente, con Lillo e Greg nel cast e una distribuzione capillare in ben 650 sale. Certo, se si pensa che questa forma di cinema ha ormai 31 anni di vita, c’è da immaginare che anche il Napoli cal­cio sia destinato a un futuro altrettanto luminoso, dove gli incassi delle sale ci­nematografiche faranno rima con quel­li che arrivano ogni domenica dallo sta­dio San Paolo. Alla fine, sia che si tratti di cinema o di calcio, a vendere ci pen­sa sempre il marketing, territorio domi­nato sapientemente dal produttore cam­pano. E la vittoria a Doha, in terra qata­riota, di Higuain e compagni sulla Juven­tus, nella Supercoppa di Lega, ha spin­to emotivamente le vendite dei suoi film, anche perché il tifoso del Napoli si iden­tifica con la squadra di De Laurentiis, ma anche con tutte le declinazioni cinema­tografiche del suo patron.

DALLE SALE ALLA SAMPChe avesse nelle vene la passione per il cinema era noto a tutti. Più diffici­le immaginare, nel lontano 1991, che, lo sconosciuto (almeno a quei tempi) Mas­simo Ferrero, dopo aver partecipato con un piccolo cameo (recitava il ruolo di su­per tifoso della Roma) nel film Ultrà di Ricky Tognazzi, sarebbe diventato prima direttore di produzione, e da lì una rapi­da ascesa fino ad acquisire una trentina di importanti sale romane (attraverso la Ferrero cinemas group), dopo il fallimen­to dell’impero Cecchi Gori. Ancora più difficile prevedere che la famiglia Garro­ne (con interessi nel settore degli idrocar­buri) l’avrebbe scelto come ideale presi­dente della Sampdoria, uno dei club di calcio più amati della Penisola. Chi, inoltre, prevedeva una sua rapida caduta, una volta entrato nel salotto buo­no del calcio, è rimasto (almeno per adesso) fortemente deluso. Ferrero, da esperto uomo di cinema e di vita (forti le sue radici testacci­ne), ha capito immediatamen­te i meccanismi mediatici di questo circo e si è ritagliato un posizionamento distintivo. Nel giro di poche settimane, diver­tendosi anche a fare il simpati­co a ogni costo (con occhi sgrana­ti davanti alle domande dei giornalisti o partecipando a interviste con occhia­loni da sole in stile John Belushi), è en­trato negli interessi artistici di un comi­co del calibro di Maurizio Crozza (ironia della sorte, anch’egli genovese), dove è difficile capire talvolta se il personaggio Ferrero sia realtà o pura fantasia. Qual­che “svarione” etico/mediatico, comun­que, il patron della Samp l’ha commesso. Non a caso, si è preso una accusa di raz­zismo (dallo stesso prontamente ricusata) per le battute sul “filippino” incautamen­te rivolte a Thohir, neopresidente indone­siano dell’Inter. Comunque è, ormai, uno dei “personaggi” più popolari della serie A, forse anche troppo, per certi versi. Nel frattempo, i risultati della squa­dra sono dalla sua parte. La Samp gio­ca bene, nei primi mesi ha raggiunto più volte il terzo posto e adesso i doriani so­gnano, grazie anche al loro nuovo presi­dente, la Champions. L’amore di Ferrero per il cinema è talmente forte da chiude­re, pur in assenza di un main sponsor di maglia, un accordo per alcune giornate di campionato con la Buena Vista Inter­national, che ha apposto sulle divise di gara della squadra di Mihajlovic il logo del secondo capitolo della saga di Sin City. Non avrà l’aplomb di un presidente come Andrea Agnelli (Juventus), ma ha dimostrato, già in questi primi mesi di at­tività calcistica, di saperci fare e di avere un grande fiuto per gli affari.