Mercato auto fermo al palo

Mentre Paesi come Francia e Germania stanno rilanciando il mercato delle quattro ruote con infrastrutture e incentivi, tra i nostri confini il comparto non viene ancora considerato un asset così importante. Ma le colpe non sono tutte della politica...

Per la politica l’automobile continua a essere “brutta, sporca e cattiva”. La pandemia non ha portato a rivalutarla, a riscoprirne le qualità di prodotto dalla tecnologia raffinata, compresi i motori termici a benzina e diesel Euro 6 sempre meno inquinanti. Per ora, all’orizzonte non si intravedono sgravi fiscali, né incentivi: solo più fondi per altre colonnine di ricarica e per l’acquisto di auto elettriche, comprate durante l’intero 2019 in 10.566 unità, alle quali vanno aggiunte 6.363 ibride ricaricabili. Meno dell’1% su un totale di 1.926.535 immatricolazioni. Unica altra ipotesi ventilata al momento in cui scriviamo*, un contributo per la rottamazione di auto di oltre dieci anni.

ROSSO PROFONDO

Intanto il quadro italiano è drammatico. Alle centinaia di migliaia di auto ferme sui piazzali, ai concessionari sull’orlo di una crisi di nervi si aggiungono i risultati delle immatricolazioni di maggio, che segnano un crollo del 50% verso lo stesso periodo del 2019. Una catastrofe che vede precipitare tutti i canali di vendita, del 35% i privati, del 69% il noleggio e del 57% le società. Nel cumulato gennaio-maggio le immatricolazioni in meno sono quasi 460 mila, da 910.872 dell’anno scorso a 451.366 unità, un tracollo del 50,4% e, secondo le stime del centro studi automotive AlixPartners, il 2020 potrebbe racimolare 1,2-1,4 milioni di contratti rispetto ai circa 2 milioni del 2019 con una perdita di fatturato tra il 35 il 43%. «Nonostante la riapertura a inizio maggio dopo due mesi di chiusura completa», commenta Michele Crisci, presidente di Unrae, l’associazione delle case automobilistiche estere, «il sistema della distribuzione auto resta attanagliato da una grave crisi di liquidità, appesantito da centinaia di migliaia di veicoli fermi nei piazzali e con le risorse messe a disposizione dal Decreto Liquidità ancora impigliate nella burocrazia e bloccate all’interno del sistema bancario».

Non occorreva essere dei fenomeni per prevedere che la riapertura dei concessionari non sarebbe bastata a far ripartire la domanda, con famiglie e imprese prostrate dal crollo dell’attività economica e con un futuro quanto mai incerto. Così come non occorre saper leggere i fondi di caffè per capire che se si ritorna alle vendite degli anni ’60, il comparto dell’auto che nel 2019 valeva circa 9 punti di Pil, aveva un giro d’affari di oltre 155 miliardi di euro e la componente fiscale sfiorava i 65 miliardi, non sarà più utilizzabile come un comodo bancomat. Il rischio è la chiusura nei prossimi mesi di centinaia di imprese della filiera della distribuzione, del commercio di componenti, della manutenzione, che si accompagnerebbe alla scomparsa di decine di migliaia di posti di lavoro. Ma la politica rimane sorda. «Esiste un partito anti-auto che come un fiume carsico scorre sotto l’intero arco parlamentare e che pregiudizialmente ostacola qualsiasi sostegno serio al settore», fa notare Gianluca Pellegrini, direttore del mensile Quattroruote. «Al contrario, va difeso il patrimonio espresso da un comparto che garantisce un sacco di soldi allo Stato e che dallo Stato riceve soltanto umiliazioni».

COSA FANNO FRANCIA E GERMANIA

Basta guardare fuori dai confini per capire che significato ha l’automobile. L’obiettivo di Emmanuel Macron è fare della Francia la prima nazione produttrice di veicoli puliti d’Europa, portandone la produzione a oltre 1 milione l’anno entro il 2025. Per realizzarlo sono stati messi sul piatto più di 8 miliardi di euro. Servono per rilanciare l’industria automobilistica disastrata dalla crisi legata al coronavirus, modernizzare il settore e fare della Francia il campione europeo dell’auto elettrica. Macron, per recuperare le vendite, punta su incentivi a pioggia per stimolare la domanda di auto a basso impatto ambientale. Il presidente della Repubblica francese ha previsto, inoltre, un rafforzamento degli attuali incentivi alla conversione per l’acquisto di un veicolo nuovo in cambio della rottamazione di quello vecchio. In Germania il governo Merkel ha scelto di dare incentivi solo alle auto elettriche, ma ha varato un ambizioso piano da 50 miliardi di euro da investire nei prossimi anni. Dopo un confronto serrato tra la Cdu, il partito della Merkel, favorevole all’allargamento degli incentivi ai motori a combustione, e l’Spd, l’alleato di governo contrario a questa eventualità, si è trovata un’intesa: sostenere la diffusione di una mobilità a zero emissioni. Strategica a questo fine la realizzazione di una rete di ricarica da 70 mila colonnine, di cui circa 10 mila a carica veloce.

GLI ERRORI DELL’AUTOMOTIVE

Anche se molti non credono al partito anti- auto, tanti rimproverano alla filiera di aver accettato per anni la demonizzazione dell’auto e oggi se ne vedono i frutti. Per prima cosa, l’auto non è più l’oggetto di desiderio incondizionato di 20 anni fa. Ma anziché gridare al complotto, l’automobile deve uscire dall’autoreferenzialità che l’affligge e cominciare a trattare i suoi clienti, appunto, da clienti. I nuovi traguardi devono riguardare la qualità dei servizi post-vendita, l’innovazione utile, la credibilità, sistemi inediti di finanziamento e trasparenza sulla sostenibilità. Per riuscirci occorre una rivoluzione copernicana delle infrastrutture. L’auto non è più sinonimo di autonomia e libertà, perché nulla intorno a lei viene progettato per facilitarne l’utilizzo. La realtà è fatta di code, pochi posteggi, ancora meno quelli intermodali, strade che rimangono sogni nel cassetto, nessuna volontà a risolvere i nodi del traffico noti da anni, mancanza di semafori intelligenti, prolificazione di tutor, autovelox, t-red, che hanno solo il compito di fare cassa. Lo choc del Covid 19 può servire a cambiare i paradigmi: lo Stato deve investire in infrastrutture e nel trasporto pubblico, l’industria dell’auto oltre a vendere i suoi prodotti deve finanziare tutte le forme possibili di noleggio, car sharing, supporto alla mobilità. Alla vigilia dell’avvento dell’auto che guida da sola, queste sono le sfide da vincere. Lo deve capire la filiera italiana che usa la sua strategia Swot (forze, debolezze, opportunità e minacce), in modo diverso da chi di mestiere importa e vende le auto, e ancora differente da chi le vende al dettaglio. L’unione, è cosa antica, fa la forza ma solo al recente #Forumautomotive promosso da Pierluigi Bonora, giornalista de il Giornale impegnato a «difendere il settore dell’auto in Italia», si sono sentite voci univoche sulle decisioni da prendere per affrontare l’emergenza. In Germania, in Inghilterra, in Francia accade da sempre. Se anche in Italia si fosse levata sempre una voce sola a difesa del sistema auto e degli automobilisti, i vari Governi non avrebbero considerato il comparto alla stregua di una vacca da mungere.

COSA CHIEDE L’AUTO

Gaetano Thorel, numero uno di Groupe Psa Italia (Citroën, Ds, Opel, Peugeot) sottolinea come il piano dello Stato francese da 8 miliardi di euro «parte da una visione, perché il post Covid rappresenta un elemento di discontinuità. L’Italia ha l’opportunità di rinnovare il parco circolante, che è il più vecchio d’Europa, con un progetto di tre o quattro anni, che non deve essere limitato alle auto nuove, ma includa anche quelle usate più recenti. Il piano potrebbe essere efficace, senza avere un costo per lo Stato, poiché l’auto genera rapidamente entrate per il fisco. Ma bisogna fare attenzione a non focalizzarsi solo sui modelli con la spina». Alberto Viano, a.d. di LeasePlan Italia, oltre a chiedere di armonizzare la tassazione delle auto aziendali alle norme degli altri Paesi europei, propone un articolato progetto per favorire la mobilità business e privata alternativa al trasporto pubblico, fatto di incentivi per l’uso di veicoli a basse emissioni, parcheggi in aree di accesso al centro città, l’uso di moto, bici e monopattini per l’ultima tappa in micro mobilità elettrica. Il dito sulla piaga lo mette Paolo Scudieri, presidente Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica: «La parola chiave deve essere sburocratizzazione, togliendo i vincoli che mortificano gli imprenditori, come gli assurdi cavilli che rendono la costruzione di parcheggi, compresi quelli intermodali, l’impresa più complicata del mondo».

COSA OFFRE LA POLITICA

Con tutti i se e i ma del caso, forse la montagna ha partorito un topolino. Potrebbe tornare, infatti, un incentivo alla rottamazione delle auto più vecchie, quelle ad alto impatto ambientale. Grazie a un emendamento proposto alla Camera da Pd, Italia Viva e Leu al Decreto Rilancio si potrà rottamare la propria vecchia auto di oltre 10 anni e ottenere un contributo fino a 4 mila euro per l’acquisto di un nuovo modello meno inquinante. Un bonus che molti possessori di vecchie automobili aspettavano. Un incentivo che, l’intero mercato dell’auto chiedeva con forza. Al momento di andare in stampa* ancora in fase di esame, se dovesse essere approvato, l’incentivo scatterebbe dal primo luglio di quest’anno, fino al 31 dicembre.

*Articolo pubblicato su Business People, luglio-agosto 2020

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