Lavoro agile e formazione: le priorità delle aziende italiane nel 2022

Dall’indagine Mercer Global Talent Trend un focus sul nostro Paese: atteso un turnover mai visto prima, ai responsabili HR il compito di comprendere meglio i nuovi bisogni dei dipendenti

Rendere più “agile” il lavoro in azienda, migliorare l’organizzazione della pianificazione delle risorse e puntare sui programmi di upskilling e reskilling. Sono le priorità delle aziende italiane che emergono dai risultati della ricerca annuale Global Talent Trends di Mercer, indagine che ha raccolto i contributi di circa 11 mila dirigenti apicali, responsabili Hr e dipendenti di 16 diverse aree geografiche (tra cui l’Italia) e 13 settori.

Lavoro agile: una priorità per aziende e lavoratori

Dal focus che l’azienda di consulenza sul capitale umano fa sul nostro Paese, si evidenzia che la priorità più importante per gli HR italiani nei prossimi due anni sarà rappresentata dalla scelta di strategie in grado di aumentare l’agilità (42% contro il 35% globale). Il lavoro agile rappresenta per tutti i responsabili delle risorse umane la strategia che avrà maggiore impatto nel 2022. E i lavoratori sottoscrivono. “Quando abbiamo chiesto ai lavoratori in cambio di quale benefit fossero disponibili a rinunciare a un aumento retributivo, la risposta è stata chiara: un terzo dei lavoratori italiani farebbe volentieri il cambio con una settimana lavorativa corta o flessibile, dato in linea con quello globale”, dichiara Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia.

Strategie di Risorse umane: i trend in Italia per il 2022

Al secondo posto, il 38% dei responsabili HR dichiara che la priorità è il miglioramento della pianificazione della propria forza lavoro per disegnare le strategie buy/build/borrow dei talenti (in linea con il dato globale del 39%). Al terzo posto intendono investire in programmi di upskilling e reskilling, mentre nella quarta posizione si collocano le strategie per lo sviluppo di un processo decisionale human-centric. Seguono le strategie di total well being, che garantiscano stabilità mentale, finanziaria, sociale e fisica dei propri dipendenti, così come programmi per garantire la parità salariale e l’assunzione di strategie DEI (Diversity, Equity&Inclusion) volte a garantire l’equilibrio di genere.

Turnover in azienda: nel 2022 un’impennata mai vista

Il 70% delle aziende a livello globale non ha dubbi: nel 2022 avverrà un turnover mai visto prima. Circa metà (47%) dei lavoratori intervistati dichiara di essere soddisfatto del proprio ruolo e di non pianificare la propria uscita, ma il restante 45% dichiara che, pur essendo soddisfatti, intendono cambiare lavoro a breve. Solo l’11% si sente poco gratificato.

Nei confronti delle strategie da adottare per garantire un flusso costante di talenti nel 2022, la maggioranza degli HR a livello globale (50%) sceglie di focalizzarsi sul buon funzionamento dei processi di selezione, assunzione e sviluppo, specialmente in relazione alle nuove competenze richieste (44% in Italia). Sempre la metà degli intervistati vorrebbe migliorare il proprio brand di Employer responsabile (42% in Italia).

La strategia più votata dagli HR italiani per attrarre e trattenere i talenti è investire nella parità salariale (45% degli intervistati, in linea con quello globale). I responsabili HR italiani pensano inoltre di investire nel mirare a reskilling e upskilling, con particolare riferimento alle competenze più difficoltose e onerose da trovare.

L’Italia (46%) è anche al primo posto tra i Paesi che intendono offrire programmi di mobilità legati a obiettivi di diversità e inclusione, mentre il resto del mondo è più focalizzato a implementare l’offerta di “work from anywhere” in generale (46% degli HR intervistati nel mondo, versus il 39% in Italia).

Come attrarre e trattenere i migliori in azienda

Ma quali sono i fattori che attirano maggiormente le persone verso la propria azienda, secondo gli HR italiani? In primo luogo, la possibilità di carriera (42%) e in secondo luogo i benefit legati al benessere e alla salute, oltre alla brand reputation. Secondo i colleghi HR globali, invece, gli elementi di attrazione sono rappresentati dalla continuità lavorativa (38%) e solo al secondo posto le possibilità di carriera e il brand aziendale. Quando si è poi chiesto alle persone da cosa vengono attratti quando scelgono l’azienda in cui lavorare, al primo posto in Italia c’è l’opportunità di imparare e crescere, a pari merito con i giorni di vacanza concessi, mentre troviamo le possibilità di carriera solo al quinto posto.

Se poi le persone rimangono fedeli all’azienda, per i responsabili delle risorse umane italiani, così come per quelli d’oltralpe, è merito di stabilità lavorativa e programmi di benessere aziendale.

In riferimento a quanto dichiarato dai dipendenti, l’elemento che genera maggiore fiducia nel rapporto con la propria azienda e li porta a non andarsene è la stabilità (39%), seguito dalla possibilità di acquisire nuove conoscenze (32%) nonché il brand (31%). La carriera si ritrova solo al sesto posto. “La concezione del lavoro è cambiata”, continua Morelli. “Non è più la progressione di carriera ciò che conduce le persone a rimanere in un’azienda, ma tutto ciò che concorre al proprio benessere psicologico e professionale, il sentirsi parte di una comunità, di un brand, la rassicurazione rispetto alla stabilità del proprio posto di lavoro, la crescita continua del proprio sapere, in definitiva ciò che consente di esprimere la propria identità completamente e felicemente. E per chi invece sceglie un’azienda, rispetto a un’altra, il driver più importante è la soddisfazione del proprio bisogno di conoscere e di imparare”.

Trasformare per navigare il cambiamento

Rispetto alle strategie di ridisegno organizzativo, nel 2022 gli HR italiani intendono principalmente utilizzare risorse agili e flessibili per vedere evolvere i propri progetti HR e soddisfare i bisogni dell’azienda (55%, in linea con il dato globale). In seconda istanza intendono implementare modelli di interazione personalizzata high-touch per determinate mansioni, come la reception (53% contro un dato globale del 43%). Il maggiore timore espresso rispetto al lavoro agile è la perdita di trasmissione di conoscenza tra figure professionali più senior e junior. La strategia adottata nel passato e di maggior successo è quella relativa al prestito di competenze – tra le quali investire nella cosiddetta “gig economy” per individuare le competenze più richieste (39% contro un 30% globale).

Il freno più temuto nei confronti delle strategie di trasformazione aziendale è rappresentato dal turnover accelerato (39% contro il 30% mondiale), mentre la preoccupazione maggiore a livello globale è rappresentata da stanchezza e esaurimento della forza lavoro (33% contro 24% italiano).

“In merito alla stanchezza della forza lavoro”, dichiara l’amministratore delegato di Mercer Italia “è interessante notare che quasi la metà dei responsabili delle Risorse Umane italiani (43%) hanno la certezza che i lavoratori abbiano energie solo per completare i propri compiti, ma non per andare oltre. Eppure, la stessa domanda posta ai lavoratori fa emergere sensazioni diverse: il 60% si sente energico e solo l’11% dichiara di non sentirsi pronto ad affrontare la giornata lavorativa. Questo dato ci fa chiaramente capire come occorra fare un passo ulteriore nell’analisi e comprensione dello stato d’animo e dei bisogni dei propri dipendenti, sia attraverso strumenti di ascolto tradizionali, sia col supporto degli analytics”.

I risultati attesi delle strategie di lavoro agile già adottati sono la possibilità di assumere o trasferire risorse velocemente (44%), in base ai bisogni, e la maggiore capacità di prendere decisioni velocemente (41%), mentre a livello globale è la maggiore produttività a generare maggiori aspettative (44% versus 31% italiano). La strategia adottata nel passato e di maggior successo è quella relativa al prestito di competenze (borrow) – dunque investire nella cosiddetta “gig economy” per individuare le competenze più richieste (39% contro un 30% globale). A livello globale, invece, si ritiene che il maggiore beneficio sia stato essere in grado di mirare in modo più efficace e chiaro ai bisogni formativi per preparare le persone a svolgere mansioni che colmino skill gap (carenze di competenze) nell’attuale workforce (42%).

Le barriere più sentite per strategie di upskilling/reskilling sono, per gli HR italiani, non essere in grado di identificare le risorse che potrebbero meglio accogliere formazioni di questo tipo, avendo il potenziale per sviluppare nuove competenze (42% contro il 32% globale). Al secondo posto l’incapacità stessa di capire di che tipo di competenze si ha bisogno (37% contro il 32% globale). A livello globale invece non si ha tanto il timore di non essere in grado di identificare o formare le persone giuste ma di perderle una volta formate su competenze molto ricercate e l’incapacità di tenere il passo con l’accelerazione della richiesta di nuove competenze (36%).

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