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Bando al “rumore” nei processi decisionali. Ecco come

Il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, il giurista Cass R. Sunstein e il guru della consulenza strategico-decisionale Oliver Sinbony lo spiegano nel loro ultimo libro: spesso sbagliamo a prendere decisioni perché influenzati da un gran numero di fattori incontrollabili. Ma un modo per risolvere, almeno in parte, il problema c’è

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Due medici fanno diagnosi opposte partendo dalle stesse analisi, due giudici assegnano pene diverse sullo stesso caso. Uno dei due deve aver torto e l’altro ragione, ma perché succede? Lo spiegano il Nobel per l’economia Daniel Kahneman, il giurista Cass R. Sunstein e il guru della consulenza strategico-decisionale Olivier Sibony, membro dello staff della Casa Bianca ai tempi di Obama, nel libro Rumore, un difetto del ragionamento umano. Attenzione, non è il rumore che si ascolta con le orecchie ma un vero e proprio disturbo interno, un difetto del ragionamento umano. E non stiamo parlando di bias cognitivi, cioè gli errori oggettivi e quantificabili e sui quali esiste una letteratura ampia e approfondita. No, qui il concetto è totalmente nuovo, perché il rumore come lo intende Kahneman è un errore casuale, che varia a seconda delle circostanze e delle singole persone; quindi, più difficile da individuare del bias, che invece è un errore medio e prevedibile, che tutti tendiamo a fare. È il rumore che spiega, per esempio, perché un manager può prendere decisioni diverse a seconda del momento della giornata: perché in ogni momento siamo diversi, non solo dagli altri, dicono gli autori, ma anche da noi stessi.

Conoscevamo già Daniel Kahneman, professore di Psicologia a Princeton e premio Nobel per i suoi studi sui processi decisionali, per il suo precedente libro, Pensieri lenti e veloci, nel quale proponeva una distinzione fra due tipi di pensiero, quello immediato, intuitivo e veloce, che spesso prende clamorosi abbagli, e quello più riflessivo e analitico, adatto a prendere decisioni più razionali, ma estremamente faticoso. In questo nuovo saggio, Kahnemann va oltre e, dati alla mano, dimostra che anche il più razionale tra di noi non è in grado di prendere una decisione senza subire l’influenza, inconsapevole, del rumore. È quello che accade ai professori, riassume in maniera efficace Michela Marzano su la Repubblica, quando si tratta di valutare uno studente o agli esperti che devono scegliere se finanziare o meno un progetto: in entrambi i casi, si cerca di fare la scelta giusta, ma gli errori restano difficilmente calcolabili. Insomma, il rumore disturba le nostre decisioni senza che ce ne rendiamo conto.

Cos’è il rumore?

Nelle cinquecento pagine del loro studio profondo e complesso, già tra i libri del 2021 per il Financial Times, gli autori chiariscono appunto che non si tratta di bias cognitivi, perché il bias è un errore medio, oggettivo e misurabile. Per esempio, un tipico bias è l’errore di ancoraggio, quello nel quale cadiamo tutti, o quasi, quando ci facciamo un’opinione in base alle prime impressioni, senza andare oltre. Ecco, il rumore non è questo, perché è legato alla pluralità di vedute, di valori e di opinioni, ma anche alla diversità dei gusti personali, oppure allo stato d’animo in cui ci troviamo, se fuori piove o c’è il sole, se stiamo prendendo una decisione a stomaco vuoto oppure dopo pranzo. Non è un errore che si possa facilmente misurare e neppure correggere. Analizzando oltre un milione e mezzo di sentenze nel corso di 30 anni, spiega Matteo Motterlini sul Foglio, si è osservato che i giudici americani emettono sentenze più severe nei giorni che seguono la sconfitta della squadra locale di football. L’esame di 6 milioni di casi in Francia ha evidenziato che i giudici infliggono pene più lievi nel giorno del loro compleanno. Anche il meteo può influenzare le sentenze, se è vero come sembra che le giornate molto calde siano particolarmente sfavorevoli alle richieste di asilo dei rifugiati. Che fare allora?

Per migliorare i giudizi e minimizzare l’impatto del rumore, due sono le strade. Da un lato lasciar fare agli algoritmi, insensibili all’umore e agli stati d’animo, e dall’altro mettere in pratica quella che gli autori chiamano «igiene decisionale». Ma andiamo con ordine. L’Intelligenza Artificiale sembrerebbe la risposta più immediata, perché secondo gli autori non è vero che gli esseri umani siano sempre migliori delle macchine nel valutare altri esseri umani, anzi, è il contrario. «C’è molta evidenza», ha dichiarato Kahnemann al Corriere della Sera, «che l’introduzione sistematica di regole porti a decisioni migliori di quelle prese in base all’istinto, e se gli algoritmi sono forniti di informazioni sufficienti producono giudizi più accurati di quelli umani». È difficile da accettare ma, secondo gli autori, le prove in questo senso sono schiaccianti e la spiegazione è semplice: un algoritmo a cui viene presentato lo stesso problema due volte, anche in momenti diversi e molto lontani tra loro, darà la stessa risposta. È provato, sia in ambito giudiziario che medico. La macchina vince il cervello? Quando il computer della Ibm, Deep Blue, sconfisse a scacchi Kasparov, il campione del mondo disse che la combinazione migliore sarebbe stata quella tra macchina ed essere umano, con l’essere umano che prende la decisione finale. Ma per Kahneman non è affatto così: i computer non hanno più bisogno dell’essere umano.

L’igiene decisionale

Poiché un giudizio sbagliato potrebbe costarci caro, è necessario ridurre l’errore causato dal rumore. A venirci in aiuto è appunto l’igiene decisionale, una pratica da adottare come il lavarsi le mani, basata su alcuni principi: avere come obiettivo della decisione l’accuratezza e non l’espressione di se stessi, pensare in termini statistici e separare un singolo giudizio nelle sue componenti indipendenti, da aggregare solo alla fine. Un ambito che si presta all’adozione di questa strategia, e al quale gli autori hanno dedicato molte pagine, è quello della ricerca e selezione delle risorse umane. Come deve essere condotto un colloquio? Qual è la procedura migliore per scegliere un manager? L’intuizione non è mai la tecnica migliore. In un colloquio standard, scrive Kahneman, ci si forma un’impressione sul candidato entro i primi due o tre minuti e tutto quello che avviene dopo serve quasi unicamente a confermare quella prima idea. Meglio allora svolgere colloqui separati e mirati per ognuna delle caratteristiche che il manager dovrà avere, valutare i singoli pezzi e poi metterli assieme. In questo modo, aggregando vari giudizi espressi indipendentemente, si riuscirebbe a ridurre il rumore. Lo stesso andrebbe fatto ogni volta che prendiamo una decisione, che si tratti di valutare un investimento, un candidato, una diagnosi, una strategia aziendale o una pena. Dove c’è un giudizio, in agguato c’è il rumore, e può portare a scelte disastrose, dal punto di vista economico o sociale: quando impareremo a zittire il rumore, forse diventeremo una società migliore.

Articolo pubblicato su Business People di novembre 2021

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