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Bellezza accessibile a tutti: intervista a Eike Schmidt

Così dovrebbe essere per il direttore della Gallerie degli Uffizi, nell’arte come nella vita. Leggi l’intervista pubblicata sull’allegato ‘La forma della (nuova) Bellezza’

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La bellezza sta nella relazione. Anche per l’arte funziona così: «Il bello si attiva nella percezione di chi guarda», ci dice Eike Schmidt, teutonico direttore della Galleria degli Uffizi, il museo italiano più visitato. Storico dell’arte tedesco, trapiantato a lungo negli Stati Uniti e da ormai diversi anni nel nostro Belpaese, Schmidt è nel pieno del suo secondo mandato: arrivato insieme alla “carica di direttori stranieri” voluti nel 2015 dal ministro alla Cultura (lo era allora, lo è anche oggi) Dario Franceschini, il direttore resterà a capo del prestigioso museo fiorentino fino al 2025. Sarà ricordato come colui che ha concesso la Sala del Botticelli a Chiara Ferragni per un servizio per Vogue, come quello che ha sdoganato il museo su Facebook (facendo – tra le altre cose – un gran lavoro di divulgazione gratuita nel periodo pandemico) e come il direttore che ha accolto i fumetti pop nella galleria dei ritratti. Il pubblico ha risposto con entusiasmo (siamo ormai al 75% di presenze rispetto al periodo pre-Covid: praticamente un miracolo) e le code davanti agli Uffizi, da settembre a oggi, sono tornate a crescere.

Direttore, come sta evolvendo il nostro modo di percepire la bellezza? Avverto un profondo cambiamento nella gente che, entrando di nuovo nei musei, si accosta alla bellezza dell’arte. Prima di tutto, il pubblico è voluto tornare. Segno, questo, che della fruizione di bellezza dal vivo c’è ancora molto bisogno. E poi osservo, con una certa curiosità, i visitatori degli Uffizi…

L’intervista a Eike Schmidt è parte de La forma della (nuova) Bellezza, speciale allegato a Business People di dicembre. Leggilo in versione digitale

E che cosa nota? Li trovo più pazienti che in passato. Certamente, la corsa per le foto e i selfie davanti alla Venere del Botticelli resta, ma la sensazione che abbiamo, sia io che i custodi di sala, è che il pubblico abbia prolungato il tempo di visita. Lo dimostrano anche i dati dei biglietti: ci assestiamo intorno alle tre ore di visita, con picchi di cinque ore. Ciò significa godere di una “vicinanza prolungata” con la bellezza, che porta profondo benessere alle persone.

Che tipo di bellezza si cerca, oggi? Una bellezza rassicurante. Senza dubbio sono le opere del primo Rinascimento quelle ad attrarre maggiormente l’attenzione dei visitatori. Mi sembra normale: tra il 400 e il 500 l’arte produsse un tipo di lavori basati sull’armonia della forma e dei colori, era accogliente e se presentava qualcosa di doloroso o di bizzarro, lo faceva solo in minimi dettagli. Altra cosa è il Barocco, con la sua forza dirompente, a volte distruttiva e disturbante.

Domanda da quiz: qual è il capolavoro degli Uffizi che ama di più? Non potrei mai rispondere: è come con i figli, sono tutti uguali! Diciamo però che se dovesse esserci un incendio improvviso e io dovessi scegliere forzatamente una e una sola opera da salvare, prenderei il Tondo Doni di Michelangelo. Però avrei dei grossi problemi a caricarmelo sulle spalle: servirebbero altri tre uomini per sollevarlo, perché è pesantissimo!

Musei come gli Uffizi sono inestimabili scrigni di bellezza, ma sono veramente accessibili e accoglienti? Questo è un punto essenziale. Non può esserci vera bellezza in un museo se non è accessibile a livello pratico a tutti, e condivisibile con ogni tipo di pubblico: abbiamo il compito di presentare le opere che custodiamo in un ambiente coinvolgente e sicuro, che favorisca il percorso di visita, la concentrazione, lo stupore e le competenze dei visitatori, qualsiasi sia il loro livello di istruzione, età, condizione fisica o mentale. E poi, cosa non meno importante, dobbiamo imparare a portare la bellezza fuori dal museo.

Che cosa intende? Dobbiamo propagare bellezza sul territorio. Con i progetti Uffizi Diffusi e Terre degli Uffizi abbiamo portato opere della nostra collezione in spazi diversi della città. Durante la pandemia abbiamo capito quanto il digitale può fare per avvinarci alle opere d’arte, ma la bellezza va guardata dritta negli occhi e da più persone possibile. Quando penso alla fine del mio mandato, credo che ciò che mi rimarrà di questa straordinaria esperienza di direzione sarà proprio il ricordo della bellezza nella quale tutti i giorni sono immerso.