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Economia

Social shopping: l’e-commerce del futuro?

Nel 2023 il giro d’affari a livello globale raggiungerà almeno mille miliardi di dollari, il doppio del 2020. Di questo passo il settore supererà a breve l’e-commerce. Le norme europee, operative dal 2 maggio, riusciranno ad arginare lo strapotere dei soliti noti?

architecture-alternativo Credits: © iStock

Due miliardi di persone acquisteranno beni e servizi attraverso i social media nel 2023, per un giro di affari complessivo – a livello globale – di almeno mille miliardi di dollari. È la previsione sul social shopping contenuta in una ricerca effettuata da Deloitte Global. A colpire, forse più del dato assoluto, è la progressione che farebbe segnare il segmento: considerato che nel 2020 si attestava intorno ai 500 miliardi, si tratterebbe infatti di un +100% in tre anni. Sono i mesi della pandemia ad aver spinto in alto il social commerce, così come tutte le altre attività da remoto, ma l’accelerazione sembra non essersi affatto esaurita con l’emergenza, anzi…

I motivi di questo successo sono diversi. Il primo è senza dubbio l’affermarsi della creator economy, con la nascita della figura dell’influencer che usa l’ascendente conquistato presso la propria platea di follower per condizionare le loro scelte di consumo. «Il ruolo dell’influencer è cresciuto di rilevanza negli ultimi anni, a fronte di una quota considerevole di consumatori che trascorre sempre più tempo online sui media digitali », conferma Francesca Tagliapietra, Technology, Media & Telecommunications Leader di Deloitte Italia. «Gli influencer consentono ai brand di connettersi con la propria audience al di là dei media e degli schemi di advertising più tradizionali. Una delle caratteristiche chiave è la fiducia che riescono a creare con i propri follower, riuscendo a mantenersi riconoscibili, genuini e coerenti nel lungo periodo».

Social shopping: un’opportunità per le imprese

Ma chi è che acquista sui social? Ad ammettere di farsi influenzare dai creator digitali sono soprattutto i Millennial e la Generazione Z. I primi sono per ora dominanti, avendo una maggiore capacità di spesa. Ma gli altri, i nativi digitali, non vanno sottovalutati considerato che costituiscono il 30% della popolazione mondiale e che vivono costantemente online. Il social commerce cresce, dunque, e lo fa molto più velocemente del tradizionale e-commerce. Questo non deve stupire perché si tratta di qualcosa di completamente diverso. «Il social shopping fa in modo che tutta l’esperienza del consumatore, dal momento dell’ispirazione al momento dell’acquisto, avvenga all’interno delle piattaforme social», spiega Tagliapietra. «Dalla scoperta casuale di un prodotto/servizio al suo acquisto con pagamento digitale, il consumatore si trova a operare in un contesto senza attriti, fatto di pochi step e click, trovandosi a interagire con opportunità di acquisto a cui spesso può far fatica a resistere», e il tutto si svolge all’interno del social, non si atterra su siti esterni, si compra e si torna a navigare nel proprio feed.

Anche in Italia la tendenza sembra delinearsi. Già nel 2021, conclude Tagliapietra, «un adulto italiano su dieci, tra chi aveva utilizzato il proprio smartphone per lo shopping online, dichiarava di utilizzare le app dei social media per fare compere, a indicare proprio la tendenza a utilizzare queste piattaforme già come veri e propri canali di acquisto».

I social media sono diventati dunque luogo di grandi opportunità per brand e aziende di qualsiasi dimensione e latitudine. Dove possono incontrare i propri potenziali clienti perché sanno che lì passano buona parte del loro tempo. La platea è pressoché sterminata (a fine 2023 saranno 5 miliardi gli utenti di almeno un social media). E hanno a disposizione le funzionalità di targeting e personalizzazione della pubblicità proprie del mezzo, nonché intermediari efficaci come gli influencer.

Alberto Marinelli

UN ECOSISTEMA IN ESPANSIONE – Intervista ad Alberto Marinelli, direttore del dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma

Dall’Europa due leggi per il social commerce

Parliamo quindi di un mercato dai numeri enormi e in rapidissima espansione, basato però su presupposti un po’ fragili e quantomeno discutibili: acquisti d’impulso, patti di fiducia con intermediari (influencer), strapotere delle grandi piattaforme. Ancora una volta la politica si è trovata costretta a rincorrere la tecnologia. Dopo quasi due anni di lavori, l’Unione Europea ha approvato due leggi tese a regolamentare il settore del social shopping, entrate in vigore lo scorso novembre, la Legge sui mercati digitali (DMA) e la Legge sui servizi digitali (DSA). La direttiva sul commercio elettronico in vigore fino a quel momento risaliva al 2000, quando Amazon non era ancora il colosso che è oggi e Facebook doveva ancora nascere. Le nuove piattaforme hanno portato indiscutibilmente enormi benefici, non solo ai consumatori ma anche agli operatori commerciali.

I dati Ue parlano di oltre un milione di attività europee che vendono i propri prodotti e servizi attraverso le piattaforme web, e di oltre il 50% delle pmi europee che sfrutta le piattaforme online per vendere prodotti oltreconfine. Ma oltre ai benefici ci sono anche dei rischi: consumatori esposti a merci e attività illegali, poca trasparenza sui dati personali, piccole attività che rimangono schiacciate in un mercato dominato da piattaforme enormi. L’intento dell’Ue è quello di creare un ambiente online più sicuro, equo e trasparente. I nuovi provvedimenti introducono la figura del gatekeeper, ovvero delle imprese che hanno assunto una posizione dominante che permette loro di esercitare un’influenza sulla società, sull’economia e sui diritti fondamentali. E dunque una forma di controllo su imprese e utenti.

La DMA mira a garantire condizioni di parità tra le aziende digitali, piccole o grandi che siano, introducendo un elenco di obblighi e divieti che puntano a evitare l’imposizione di condizioni inique per imprese e consumatori. La Commissione Europea ha ora il potere di svolgere indagini di mercato e, all’occorrenza, di sanzionare comportamenti scorretti da parte dei gatekeeper. La normativa avrà applicazione effettiva a partire dal prossimo 2 maggio.

La DSA mira invece alla protezione degli utenti da contenuti dannosi o illegali. Questi ora avranno maggiori informazioni sul perché vengono loro proposti contenuti specifici e potranno scegliere se essere profilati oppure no. Viene vietata la pubblicità mirata per i minori, e non è consentito l’uso di dati sensibili. La normativa aiuta, almeno nelle intenzioni della Ue, anche ad affrontare il problema della disinformazione politica o sulla salute. Vengono, inoltre, introdotte regole per garantire che i prodotti venduti online siano sicuri e rispondano agli standard Ue. Per le piattaforme con più di 45 milioni di utenti gli obblighi sono ancora più restrittivi: per loro e per i motori di ricerca di grandi dimensioni, infatti, sono previste valutazioni annuali dei rischi di danni sui loro servizi. Le piattaforme online avranno tempo fino al 17 giugno per conformarsi.

Intanto il governo francese per primo sta per promulgare una legge per regolamentare il ruolo degli influencer. Maggioranza e opposizione stanno lavorando insieme a un provvedimento che aumenterà la trasparenza nell’attività dei creator. Verranno stabiliti dei limiti nella promozione di beni di dubbia provenienza o affidabilità, soprattutto su categorie sensibili come i prodotti per la salute o finanziari. Gli influencer (e i loro agenti) avranno un riconoscimento giuridico, forse un albo professionale. Verrà istituito un codice di comportamento, e l’obbligo di segnalare foto e video ritoccati.