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Sostenibilità

I Dottor Sogni di Fondazione Theodora: artisti in corsia

Dagli anni ’90 la onlus e i suoi artisti colorano le giornate dei bambini ricoverati in ospedale e portano conforto a grandi e piccoli nei momenti difficili

Negli anni ‘70, in Svizzera, un bambi­no di nome André si ammala grave­mente e finisce in ospedale, dove sarà ricoverato per lungo tempo. Per “co­lorare” le infinite e noiose giornate tra­scorse a letto, la madre Theodora si in­venta ogni giorno nuovi giochi per il suo bimbo, piccoli accorgimenti che spezza­no la monotonia per tutti i piccoli ospi­ti della struttura. Vent’anni più tardi, nel 1993, André e il fratello Jan Poulie deci­dono che tutto quel bene compiuto dalla madre non doveva andare disperso; per questo creano una fondazione per conti­nuare il suo lavoro, proprio con l’obietti­vo di allietare anche le tristi giornate dei bambini in ospedale.Nasce così Fonda­zione Theodora, che arriva in Italia nel 1995 e attualmente opera in otto Paesi di due diversi continenti: Svizzera (59 ospe­dali), Italia (18 ospedali), Spagna (20 ospe­dali), Francia (9 ospedali), Inghilterra (25 ospedali), Bielorussia (4 ospedali), Turchia (9 ospedali) e Hong Kong (6 ospedali).

Fondazione Theodora: la onlus accanto ai bambini malati

Al centro di tutte le attività ci sono i bam­bini malati. A loro, durante il percorso della degenza ospedaliera, la Fondazio­ne mette a disposizione i cosiddetti Dot­tor Sogni, artisti professionisti, seleziona­ti proprio per offrire al bambino e alla sua famiglia – attraverso l’ascolto, il gioco e la magia – un prezioso aiuto nell’affrontare la difficile prova del ricovero, anche nei reparti ad alta complessità. Non è infatti un caso che il primo “Dottor Sogni” de­butti nel reparto di oncologia pediatrica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Mila­no. «Non sono semplici volontari», spiega il direttore generale di Fondazione Theo­dora, Emanuela Basso Petrino, «ma artisti professionisti che vengono regolarmen­te assunti con un contratto a chiamata. Ognuno di loro riceve una accurata for­mazione iniziale indispensabile per ope­rare in campo ospedaliero pediatrico, che è composta da formazione artistica, ospe­dica e teorica di cinque mesi, cui segue un periodo di tirocinio di due anni. Alla fine del ciclo formativo il Dottor Sogni Ju­nior visita i pazienti solo in affiancamento a un Dottor Sogni Senior, questo gli per­metterà di apprendere sul campo, con un sostegno e un confronto costante».

È proprio l’alta formazione dei suoi pro­fessionisti a distinguere la Fondazione dalle oltre 500 organizzazioni dello stes­so genere presenti nel nostro Paese. Per la stessa ragione, tuttavia, sono appena 32 i Dottor Sogni operanti in Italia, «mentre nel mondo sono circa 200», continua Bas­so Petrino. «Siamo presenti in 41 repar­ti dei 18 dei migliori ospedali del Paese, tra cui il Policlinico Umberto I, l’Ospeda­le Bambino Gesù e IRCCS San Raffaele Pi­sana a Roma, l’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, l’Istituto Giannina Gaslini di Genova, l’Istituto Nazionale dei Tumori, l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Ospedale dei Bambini V. Buzzi di Mi­lano. Siamo in tutti i reparti di eccellen­za nella cura pediatrica e ogni anno aiu­tiamo 35 mila bambini, insieme alle loro famiglie».

I Dottor Sogni: curare il dolore delle malattie con comprensione e ascolto

Non bastano, però, i numeri a spiegare il lavoro svolto quotidianamen­te dagli operatori della Fondazione, che ogni giorno provano a combattere il do­lore di malattie spesso incurabili attraverso l’arte della comprensione e dell’a­scolto. «Ogni Dottor Sogni interagisce col bambino in un rapporto one-to-one, che crea un legame emotivo forte e sta­bile», chiosa il direttore della Fondazione. «I medici intervengono sulla parte malata, mentre il Dottor Sogni intervie­ne sulla “parte sana” del bambino, ovve­ro quella delle emozioni». Anche il modo con cui ognuno di questi angeli dai cami­ci colorati si rivolge ai piccoli pazienti se­gue un rigido codice di comportamen­to, studiato nei minimi dettagli per essere il più efficace possibile: «Ogni giorno il Dottor Sogni riceve un passaggio di con­segne da parte del caposala, che spiega le condizioni mediche ed emotive del bam­bino», prosegue. «A quel punto l’opera­tore bussa alla porta della stanza, aspetta che gli venga detto di entrare e una volta dentro “ascolta le emozioni” del bambi­no e dei genitori, per creare un interven­to ad hoc, con lo scopo di far riemerge­re la parte gioviale del paziente. Questo vuol dire che se il piccolo ha voglia di can­tare, allora il Dottor Sogni can­terà insieme a lui, mentre se ha voglia di piangere, si piangerà tutti insieme. Non ci sono so­luzioni standard, perché è un momento di ascolto delle emozioni, che possono cambia­re repentina­mente». Se da un lato portare gioia e confor­to a un bambi­no malato può sembrare il lavoro più gratificante del mondo, dall’altro nasconde an­che un lato oscuro: il rischio del sovrac­carico emotivo è sempre dietro l’angolo e la possibilità che gli operatori di Fonda­zione Theodora Onlus cadano nella sin­drome del “burn-out”, che comporta il deterioramento delle emozioni legate al lavoro, è molto elevata.

«Ognuno dei nostri artisti visita diversi pazienti ogni gior­no», racconta Emanuele Basso Petrino, «e ogni incontro comporta il “resettar­si” dall’esperienza precedente per dare il massimo in quella successiva. Per que­sto offriamo a ognuno una costante su­pervisione psicologica a carico dell’organizzazione. Inoltre anche tutti Dottor Sogni ricevono una formazione continua, due volte l’anno». Insomma, il lavoro del­la Fondazione Theodora Onlus è impor­tante, ma si poggia interamente su fon­di privati – per un totale annuo di circa 1 milione di euro – e con appena sei colla­boratori a rendere il tutto possibile. «Le nostre entrate derivano per il 40% dal­le aziende che decidono di sostenere la nostra missione, per il 30% da donazioni private e per un altro 30% da eventi. Ad aiutarci per sostenere il lavoro dei nostri Dottor Sogni, ci sono circa 90 volontari, che si attivano prevalentemente durante le iniziative di raccolta fondi».