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I signori del tartufo

Il 70% del mercato globale dei truffles è in mano a una sola famiglia. Una dinastia di produttori con alle spalle 150 anni di storia e, di fronte a sé, un futuro di innovazione. Come racconta Olga Urbani, uno dei proprietari dell’azienda

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Una frugoletta di quattro anni, saldamente in piedi su un tavolino, mentre regge in una mano un tartufo bianco e, nell’altra, un tartufo nero. L’avventura di Olga Urbani inizia da qui: da questo scatto che la immortala, fiera nel suo orgoglio di bambina, accanto al padre Paolo e che oggi campeggia all’interno del Museo del Tartufo voluto dalla sua stessa società, la holding Urbani Tartufi. Quinta generazione di una famiglia leader nel settore, nel 2010 Olga ha raccolto l’eredità di suo padre, portando avanti insieme allo zio Bruno (attuale presidente e a.d.) e i due cugini l’avventura di famiglia, avviata nel lontano 1852 dal trisavolo Costantino. Una storia che vanta oltre 150 anni di successi e un attuale fatturato di 60 milioni di euro, oltre a 300 dipendenti, sei filiali in America e un’altra quindicina sparse in tutto il mondo. Quanto basta, insomma, per trasformare il borgo di Scheggino (Pg), sede della società, nella patria mondiale del tartufo. Tra l’altro ai blocchi di partenza è già pronta la sesta generazione: in azienda sono recentemente entrati i due figli di Olga, Luca e Francesco, promotori dell’iniziativa Truffoland, ai quali si aggiungerà, a tempo debito, la piccola figlia di Bruno Urbani, Ginevra. La quale, a dispetto dell’età (quattro anni), sembra avere già le idee chiare: «Zia, qui comandiamo io e te!», ama ripetere ogni volta che mette piede in azienda.

Dal 1852 un’intera famiglia ha investito sul business del tartufo: come è nata la vostra storia e cosa vi ha reso così compatti nel portare avanti l’attività dei vostri genitori? Nessuno ha mai scelto un’altra strada perché il nostro è uno dei lavori più affascinanti al mondo: rincorriamo (letteralmente) la materia prima. Il tartufo è un vero e proprio miracolo della terra, che va conquistato con impegno e strategia. Sebbene la nostra storia sia iniziata nel 1852, con il mio trisnonno Costantino, è stato grazie a mio nonno Carlo se questo commercio, un po’ incerto, è diventato una vera e propria industria. La generazione di Paolo e Bruno, ossia mio padre e mio zio, ha poi contribuito a ingrandirla a livello internazionale. Dopodiché, io e i miei cugini Carlo e Giammarco abbiamo consolidato il loro lavoro, aprendo molte filiali all’estero, ma soprattutto abbiamo un po’ ruotato la linea produttiva degli Urbani. Anziché concentrarci solo sulla produzione del tartufo, abbiamo scommesso sui prodotti derivati. Oggi vantiamo oltre 600 prodotti a base di tartufo: cerchiamo di creare ricette innovative che seguano la tradizione per dare la possibilità a più persone di gustare il tartufo.

Eppure oggi la nicchia (alto spendente) sembra essere il vero antidoto alla crisi economica. Democratizzare il tartufo non potrebbe rivelarsi un boomerang?Il tartufo fresco è sicuramente uno status symbol. Tuttavia quest’anno, a causa del clima torrido, i tartufi bianchi erano praticamente introvabili, arrivando così a costare fino a 8 mila euro al kg: è un prezzo che mi imbarazza chiedere e sul quale l’azienda non ha quasi alcun margine. Arrivando già così cari da noi, non possiamo infatti ricaricare molto. Il processo di democratizzazione è stato dunque un bene: i prodotti derivati sono economicamente più abbordabili, poiché contengono diverse percentuali di tartufo. In tal modo tutti possono assaggiarlo. Inoltre sono la conditio sine qua non per la crescita dell’azienda e la creazione di nuovi posti di lavoro che, nella politica di Urbani, sono sempre stati al primo posto. Sposiamo, infatti, l’idea di Adriano Olivetti, tra i più grandi imprenditori italiani: il benessere di coloro che formano l’azienda è alla base di qualsiasi successo.

La difficoltà nel reperire la materia prima potrebbe, sul lungo periodo, minare l’intero business. Come vi state attrezzando? Qui entra in campo la sesta generazione: i miei figli Francesco e Luca hanno dato vita a Truffleland, iniziando a produrre piante micorizzate al tartufo, azione indispensabile anche per la salvaguardia della specie. Cominceremo a commercializzare in primavera tre tipologie: al tartufo nero, al tartufo estivo e al tartufo bianchetto. Questo vuol dire che tanti giovani, che magari hanno perso il lavoro, potranno inventarsi tartuficoltori: basterà un piccolo appezzamento per avere redditi facili. Ma non è finita qui, perché noi copriremo tutta la filiera: non solo vendiamo, a chiunque lo desideri, la pianta che darà tartufi, ma siamo anche disposti, qualora queste diano frutto, a ritirare il prodotto al prezzo corrente di mercato.

A giudicare dai vostri numeri, sembrerebbe però che non abbiate concorrenza: coprite il 70% del mercato globale… Le assicuro che i concorrenti esistono: magari sono aziende più piccole, con una linea di soli 30-40 prodotti, ma ciò non toglie che siano realtà valide.

Cosa manca ai competitor che voi avete?Penso che la differenza stia, oltre che nella nostra storia, nella scelta e nella qualità delle proposte che immettiamo sul mercato, e nell’impegno per ricerca e innovazione: Urbani ha un book di 600 prodotti, che offre il non plus ultra di ogni tipo di alimento che si possa pensare in abbinamento con il tartufo. Inoltre le grandi dimensioni dell’azienda e il suo respiro internazionale hanno facilitato la capillarizzazione.

Recentemente avete scommesso persino sulla pizza al tartufo. Quali sono i feedback?In questo primo anno, le nostre quattro tipologie di pizza sono disponibili in Italia in esclusiva nei supermercati Carrefour. Tre su quattro stanno andando letteralmente a ruba, ottenendo un grande successo anche all’estero.

Avete conquistato persino la Cina… È stato un lungo percorso e il merito va ai miei cugini Giammarco e Carlo, sempre molto agguerriti nel conquistare nuovi mercati: adesso, per esempio, è il turno dell’India e della Corea. Con la Cina non è stato facile perché bisognava educare il mercato all’utilizzo di questo prodotto, ma a forza di fiere, eventi e corsi per i ristoratori, ce l’abbiamo fatta.

Quanto è decisivo il mercato straniero sul vostro fatturato?Fatto 100 il totale del fatturato, l’80% viene dai Paesi stranieri. I nostri interlocutori principali sono l’America, l’Europa (in particolare Francia, Germania, Olanda e Uk) e Giappone. I Paesi emergenti sono invece Cina, Corea, Taiwan e Medio Oriente.