
Marco Testa
Semplicità, divertimento e simpatia. Questa la filosofia che da sempre contraddistingue la comunicazione di armando testa. Perché fare spot significa entrare «in casa della gente con il sorriso». E Marco Testa non tradisce mai questa massima. Da trenta anni a questa parte.
Basta ricordare le più celebri campagne realizzate dall’agenzia, di cui è presidente e amministratore delegato, per rendersene conto: dalla telefonata che allunga la vita dell’allora Sip, alle città italiane invase dalla natura in chi mangia sano trova la natura di Barilla, fino alle saghe del Paradiso con Paolo Bonolis e Luca Laurenti per Lavazza. Non solo. Ironia, stile e forte legame con la tradizione insieme alla voglia di innovare e rinnovarsi continuamente sono le peculiarità di Marco Testa che non sfuggono neppure a prima vista e che l’hanno portato, quasi inevitabilmente, a ricoprire il ruolo di presidente di Assocomunicazione, l’associazione che raggruppa i principali operatori di comunicazione presenti in Italia. Il suo mandato scade a fine anno, dopo un triennio dedicato ad accrescere la trasparenza e regolamentare un mercato che il consumatore sempre più sfuggente e la crisi economica hanno messo fortemente in difficoltà. L’uomo che, a suo dire, ha fatto «più fotografie con Carmencita che con mia moglie e le mie figlie» racconta quali sono le nuove sfide per il futuro.
Secondo il rapporto Comunicare Domani 2008 alla fine dell’anno il mercato della comunicazione in Italia crescerà del 4,4% superando i 20 miliardi di euro grazie al traino del comparto digitale e degli eventi. Dopo decenni di dominio incontrastato, la Tv rappresenta oggi meno del 50%. Come è cambiato nell’ultimo decennio il mercato e quali sono le prospettive per il futuro?
In realtà guardando alle grandi cifre non ci sono stati dei cambiamenti sostanziali. È vero che la televisione si è ridimensionata passando dal 60% del totale mercato al 48% attuale, ma non penso che perderà ulteriormente importanza nei prossimi anni. Le maggiori novità riguardano, invece, Internet e le operazioni speciali, il guerrilla marketing e tutto quello che una volta si definiva il below the line. Un tempo era sufficiente fare comunicazione in Tv e sui giornali per raggiungere la larga maggioranza del pubblico. Oggi, oltre alla Tv e alla stampa servono azioni mirate sul target. Credo che questo fenomeno andrà via via aumentando. Poi quanto velocemente è da vedere.
Però nell’ambito della televisione si è assistito a un ridimensionamento della Tv generalista a favore della satellitare?
Rispetto a quanto accaduto all’estero, penso che in Italia la Tv generalista perderà meno mercato. La sua offerta è molto più importante in confronto a quella di altri Paesi europei. E poi ci sono dei costi sostanziali che fanno sì che la Tv satellitare sia ancora di élite. Ciò non toglie che quest’ultima crescerà, insieme all’investimento in mezzi alternativi. Oggi si lavora molto su operazioni mirate a breve termine. Anche il rapporto con il cliente è a breve termine perché spesso il nostro interlocutore sa che - a causa della crisi economica - occuperà quella posizione per uno o due anni, rimarrà più a lungo solo se riuscirà a rivoluzionare la situazione. Questo non permette di costruire il brand, associandogli tutta una serie di contenuti che sono frutto di impegno, passione e determinazione nel tempo.
Qual è il mezzo su cui scommetterebbe da qui a cinque o dieci anni?
Più che su un singolo mezzo, scommetterei sul loro mix e sul fatto di trovare un linguaggio univoco che li accomuni, da Internet ai telefonini. Poi questa è l’epoca in cui Carmencita è diventata una nuova serie di spot di successo. È l’epoca del ritorno della 500. Mi piace l’idea di puntare su mezzi che già utilizziamo, ma rivisitati in modo completamente nuovo. In fondo, parafrasando Tomasi di Lampedusa, deve cambiare tutto per rimanere tutto uguale.
Suo padre Armando Testa, in un’intervista raccontò: «Era già tempo della televisione. Le fortune della cartellonistica pubblicitaria stavano tramontando. Sentivo parlare di marketing e credevo si trattasse di un nuovo ballo. Dovetti ricominciare da capo». Stiamo vivendo un periodo analogo oggi?
Noi siamo l’ultimo anello di una catena che soffre, di conseguenza siamo coloro che patiscono maggiormente. Per questo motivo credo che ogni due tre anni le agenzie di pubblicità debbano reinventarsi da capo. Abbiamo modificato del tutto il nostro modo di lavorare, mettendo insieme creativi e account, chi si occupa di Internet, chi di media e chi di eventi. In questo modo si ottiene l’indispensabile contaminazione. D’altra parte è importante che ciascun cliente abbia un brand driver, una persona che lo accompagni in tutte le discipline della comunicazione e mantenga dritta la rotta.
Come si costruisce l’immagine duratura di un brand?
Con una grande idea continuamente modificata mese dopo mese, anno dopo anno, rinnovandola e mantenendola sempre up to date. Certo, è più facile da farsi con certi prodotti, meno ad esempio con la moda. Per quanto riguarda la mia agenzia, ci siamo riusciti, per esempio, con il marchio Lavazza, abbiamo via via aggiornato l’idea creativa puntando sulla simpatia e al tempo stesso sulla serietà. I consumatori recepiscono molto bene questo tipo di messaggi, molto meglio di quello che i pubblicitari tendono a pensare. Talvolta, quando facciamo ricerche di mercato, ci stupiamo di come le persone abbiamo chiare le differenze di posizionamento di un tipo di prodotto rispetto all’altro.
Spesso però da parte dei professionisti della comunicazione c’è una tendenza a utilizzare poco messaggi complessi perché il pubblico non sarebbe in grado di recepirli?
Non si deve dare per scontato che il pubblico non capisca, il pubblico siamo noi. Nel momento in cui si mette davanti alla televisione anche un ingegnere nucleare vuole solo rilassarsi. Non vuole dover prestare attenzione anche alla pubblicità. Ecco perché la comunicazione deve essere semplice, divertente e simpatica, non deve implicare uno sforzo. Deve emozionare e affascinare anche chi è distratto.
In occasione dell’ultimo Festival Internazionale della pubblicità di Cannes l’Italia non si è aggiudicata alcun premio. La creatività italiana non è più vincente?
Non mi sono mai posto la questione come un dramma. Il modo di comunicare all’italiana a volte ha successo altre no. Il Festival Internazionale della pubblicità di Cannes, poi, è diventa una grande kermesse dove c’è sempre meno spazio per le agenzie che non sono multinazionali. Spesso succede che a Cannes vincano le campagne realizzate proprio per la manifestazione, nella maggior parte dei casi da strutture internazionali che hanno le risorse necessarie per autoprodurre decine di filmati e iscriverli in concorso. Se fossi presidente della giuria - in passato sono stato giurato e allora l’Italia ha vinto come non mai - l’unica cosa che pretenderei è avere un’eco civile sulla campagna perché se c’è una bella campagna creativa sicuramente in patria le sono stati dedicati articoli sui giornali e servizi in televisione, se non li ha avuti vuol dire che non è mai andata in onda. In una situazione di questo tipo le piccole agenzie avranno sempre meno spazio.
Recentemente ha dichiarato: «Il mio unico rammarico è che il mercato tiri troppo sul prezzo, correndo il rischio di banalizzare la creatività (...). Se un tempo i clienti cercavano consulenti di qualità, oggi siamo noi consulenti a dover cercare dei clienti di qualità». Dove si trovano i clienti di qualità?
Era una provocazione. Ciò non toglie che un’agenzia debba investire su clienti di qualità, cioè su quelli che, anche piccoli, sono destinati a crescere nel tempo utilizzando l’agenzia come un consulente. Rispetto al passato mi manca il fatto di non poter più lavorare con il cliente dalla stessa parte del tavolo. È un fenomeno recente, esploso con le gare per cui un’azienda che voglia fare una campagna interpella quattro o cinque agenzie chiedendo loro soluzioni differenti. In questo modo pensa di avere cinque idee alternative interessanti, ma non è detto perché non necessariamente il tipo di approfondimento va nelle direzione giusta.
Forse è anche una questione di risorse? Tirando sul prezzo, ci sono poche risorse da dedicare e l’approfondimento è inferiore.
Non credo che sia una questione di risorse. La gara si fa sul prezzo ma non è l’unico fattore. In passato è stato così allo scopo di ridurre le tariffe delle agenzie, e ci sono riusciti benissimo, anzi meravigliosamente. Adesso i clienti vogliono avere la possibilità di scegliere tra più proposte creative e spesso trovare le soluzioni ai loro problemi di comunicazione. Magari da cinque interlocutori differenti può emergere la diagnosi di un problema. Non è detto, però, che il risultato sia analogo a quello che avrebbero avuto lavorando fianco a fianco con una sola agenzia.
È una situazione destinata a cambiare?
Non in un momento di crisi economica come l’attuale. Ciò non toglie che ci siano anche grandi campagne nate da un rapporto ventennale con i clienti.
La tendenza a rapporti di breve termine è particolarmente evidente nel contesto delle gare pubbliche e private. Per monitorare la situazione Assocomunicazione ha creato il Comitato Gare Pubbliche e si è impegnata nella regolamentazione sul fronte privato. Perché? E quali risultati sono stati conseguiti a oggi?
Poco dopo la mia elezione alla presidenza di Assocomunicazione, nel gennaio 2006, ha destato scalpore una gara privata, indetta da Piaggio, a cui hanno preso parte 15 agenzie, un numero spropositato. Così mi sono incontrato con Upa (l’organismo associativo costituito dalle principali aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità, ndr) per cercare di trovare una soluzione. Erano tutti d’accordo sulla carta, ma non si poteva imporre nulla agli associati. Così ho indetto alcune riunioni con le più grandi agenzie. Ci siamo messi tutti intorno a un tavolo per trovare una soluzione. Oggi le agenzie aderenti informano Assocomunicazione quando c’è una gara, segnalano il numero dei partecipanti e i nomi. L’osservatorio esiste da un anno e mezzo e sono sempre più numerose le gare monitorate, più della metà dei partecipanti ottiene un rimborso spese (negli ultimi anni si era completamente persa la buona usanza di riconoscere il lavoro delle agenzie in gara) e non ci sono state più gare private con numeri di partecipanti spaventosi. Certo a guardare il bicchiere mezzo pieno è meraviglioso, ma d’altra parte ci sono ancora molte agenzie che non collaborano.
E per quanto riguarda le gare pubbliche?
Sono molto più difficili da monitorare e gestire. Abbiamo fatto un lungo lavoro di studio delle direttive europee e della normativa italiana, abbiamo analizzato la situazione all’estero, selezionato bandi e capitolati. Oggi disponiamo di un avvocato, sempre a disposizione degli associati per assisterli nelle procedure. E stiamo cercando di avviare un dialogo con le istituzioni per avere non tanto nuove leggi, quanto delle indicazioni a livello governativo. Ma è molto difficile anche perché sul fronte delle gare pubbliche c’è molta competitività da parte delle agenzie.
A proposito di soggetti pubblici, come giudica gli investimenti pubblicitari realizzati dalla P.A. in Italia?
Credo che ci sia ancora molto da fare. È fondamentale che la pubblica amministrazione capisca che non si può trattare con lo stesso metro un lavoro professionale dell’ingegno, qual è una campagna pubblicitaria, e una fornitura di materiali. È un problema italiano.
Nel 2007 il Governo ha presentato un disegno di legge per l’eliminazione delle “over commission” dei centri media ovvero il divieto di ricevere denaro dalle concessionarie di pubblicità. Come si può ovviare alla presunta mancanza di trasparenza attuale?
È stata fatta una tempesta in un bicchiere d’acqua. È chiaro che ci vuole chiarezza e trasparenza ma mi sembra che allora si volesse risolvere la questione con un’eccessiva urgenza. Auspico che Assocomunicazione, con Upa, riesca a raggiungere un accordo. I centri media sono realtà molto importanti anche dal punto di vista occupazionale. Non ha senso penalizzarle con una legge frettolosa.
Per quanto riguarda Armando Testa oggi comprende InTesta (agenzia di corporale identity), Little Bull (product placement, produzione tv, cinema, digitale), Media Italia (centro media), Testawebedv (comunicazione interattiva e web). Qual è il comune denominatore di questo universo?
Il Palazzo della comunicazione, un luogo dove tutte le persone lavorano insieme indipendentemente dal ruolo e dal nome della società. Questa è la grande differenza rispetto al passato. Oggi tutte le agenzie devono essere veloci e offrire tutto ciò che il cliente chiede. Un altro elemento in comune è la filosofia Armando Testa che è creatività, creatività e creatività.
A fine anno lascerà la presidenza di Assocomunicazione. Qual è il risultato più significativo che ha conseguito durante il suo mandato e cosa augura al suo successore?
Qualche cosa abbiamo fatto. Oltre al monitoraggio delle gare, abbiamo avviato il primo studio di settore, Comunicare Domani, che adesso è un appuntamento fisso per gli operatori. Abbiamo promosso il roadshow che ha portato l’associazione in giro per tutta Italia, da Napoli a Udine, ed è nato dall’esigenza degli associati di averci più vicini. Abbiamo ampliato i settori coinvolti di Assocomunicazione, includendo anche gli Eventi e le Sponsorizzazioni. E nel secondo semestre produrremo il Libro Bianco, il primo studio sul mercato italiano della comunicazione d’impresa e delle istituzioni. Sono arrivato alla presidenza di Assocomunicazione in un momento di forti tensioni, lasciando al mio successore una situazione di grande serenità. Farò di tutto per non arrivare a delle elezioni combattute come quelle che ho avuto io. Auguro al nuovo presidente di fare un buon lavoro.
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