
Matteo Marzotto
Lo hanno fatto presidente della Valentino in un momento tra i più difficili della storia della casa del lusso. Adesso lo hanno nominato presidente dell’Enit, l’ente nazionale per il turismo, nel pieno di una recessione mondiale. Se il prossimo incarico fosse quello di salvare una banca Matteo Marzotto avrebbe fatto l’en plein delle sfide impossibili. Ma, dalla sua, il 40enne milanese ha il fatto di essere un incrollabile ottimista. Di natura e di spirito. Per cui non sembra troppo preoccupato di essere alla guida di un settore che vale, secondo le stime ottimistiche, il 7% del prodotto interno lordo italiano, dà lavoro (ufficialmente) a 2 milioni di persone e si prepara ad affrontare una stagione difficilissima. Sia a causa della recessione, che colpisce la capacità di spesa delle persone e mette tutte le mete turistiche in difficoltà. Sia per una strutturale debolezza del sistema italiano che non è mai riuscito a fare squadra, a mettersi in rete e a, per dirla in parole povere, collaborare. Siamo in un Paese dove una città fa la guerra a quella vicina, dove il mare non è complementare alla montagna ma alternativo e dove, soprattutto, gli stranieri trovano un livello di servizi inferiore alle aspettative e al prezzo che pagano. Ce l’abbiamo sempre fatta, un po’ per le bellezze imparagonabili che abbiamo, un po’ per la maestria nell’arte di arrangiarsi. Adesso, in tempo di crisi, tutto questo va messo in soffitta. «Adesso è ora di darsi da fare sul serio», dice Marzotto.
Presidente, il mondo è in recessione e lei deve rilanciare il turismo, un bene considerato accessorio. Come si sente?
Bene.
Sicuro?
Assolutamente. Comunque vorrei sostanziare la mia risposta con una considerazione da imprenditore. I momenti di crisi sono quelli nei quali non solo occorre raddoppiare l’impegno e gli sforzi, ma sono anche quelli in cui le imprese hanno l’opportunità di rilanciarsi davvero. Sono convinto che è in momenti come questi che si possono compiere i turn around più efficaci. Eppoi il vero imprenditore si vede nei periodi peggiori, non in quelli migliori, quando si corre il rischio di sedere sugli allori e accontentarsi di quello che si è raggiunto. Per rispondere alla crisi bisogna ripartire da qui e da un secondo punto fondamentale, ovvero che quel che conta sono i contenuti, ed è questo ciò su cui stiamo lavorando.
Oltre alla recessione deve vedersela anche con una riduzione di stanziamenti a favore dell’Enit. Di quanto sono stati tagliati i fondi a disposizione?
Da 49,7 milioni spendibili nel 2008 siamo passati a 33 per il 2009. A questi, tuttavia, occorre aggiungere 7 milioni per i servizi che forniamo alle regioni. Ma ciò che preoccupa è soprattutto la spesa per la promozione, che cala da 29 a 11 milioni. Il taglio di risorse è drastico.
Il tutto in un momento in cui la gente non sembra avere molta voglia, e denaro, per viaggiare. Come la mettiamo?
Su questo non sono d’accordo. Credo che anche in un periodo difficile come questo e che, a quanto ci dicono, continuerà per il prossimo anno, esistono delle spese che sono irrinunciabili per le persone e una di queste è il turismo. Si può modulare in forme diverse, accorciare o modificare, ma il viaggio non scompare dalle priorità delle persone. L’importante è che l’Italia, ovvero, gli imprenditori italiani del turismo non perdano la consapevolezza di operare in un Paese che è tra le destinazioni più ambite al mondo. Se si perde questa fiducia allora è davvero difficile fare qualcosa di buono.
L’Italia è considerata, è vero, una meta ambitissima, ma molto meno competitiva rispetto a concorrenti diretti come Spagna, Francia e Grecia. Cosa ne pensa?
Siamo meno competitivi perché abbiamo investito nel settore meno degli altri. Mentre i Paesi che lei ha citato si attrezzavano per ripartire, noi ci siamo cullati nell’illusione di essere già abbastanza bravi e non ci siamo rimboccati le maniche. Certo, è vero che abbiamo bellezze incomparabili ma il problema è che noi italiani siamo inguaribili individualisti e non abbiamo mai pensato di fare squadra.
Fare squadra, o, per usare una metafora calcistica, allenarla, è esattamente il compito dell’Enit, o no?
Sì, proprio così. Noi siamo aggregatori di offerte turistiche diverse da promuovere soprattutto all’estero, dove il nostro brand dovrebbe essere meglio sostenuto. Attenzione: anche in un’ottica federalista, che è la tendenza verso la quale ci stiamo dirigendo, è fondamentale il ruolo delle Regioni perché con la modifica del titolo quinto della Costituzione, hanno ottenuto competenze specifiche in alcune materie strategiche tra cui il turismo.
Come sa però questa norma è interpretabile e, infatti, spesso è stata interpretata.
Infatti, e spero che non voglia essere interpretata nel senso di non voler collaborare. Tuttavia resta il fatto che le Regioni restano uno snodo fondamentale. Devono saperlo e comportarsi responsabilmente.
Vuole fare polemica?
Assolutamente no, non è nel mio carattere, le polemiche fanno solo perdere tempo. Quello che voglio dire è semplicemente che, accanto al giusto orgoglio per le bellezze turistiche che hanno in casa, le Regioni devono attrezzarsi per utilizzare il brand Italia, ovvero quello che maggiormente attira i visitatori dall’estero. L’esperienza ci fa dire che promuovere singole offerte è un clamoroso autogol, sia finanziario, nel senso che si sciupano preziose risorse, sia strategico, nel senso che non si raggiunge l’obiettivo di attirare più visitatori. In questo senso l’Enit mette a disposizione la sua forza d’urto, le sue competenze e i suoi servizi per permettere a tutte le regioni italiane di utilizzare il brand Italia. Così possono emergere delle convenienze dall’essere in rete e ognuno può guadagnarci.
Una delle critiche che in genere si fa alla struttura ricettiva italiana è di essere fatta da migliaia di piccoli alberghi che non sono in grado di attirare nelle proprie città grandi eventi internazionali. Che cosa ne pensa?
Sta parlando del turismo congressuale?
Sì, anche.
Questo tipo di turismo è quello cosiddetto di fascia alta ed è una colonna portante del sistema perché riguarda persone in genere istruite e alto-spendenti che, se restano soddisfatte del viaggio, ritornano. E magari portano la famiglia e l’anno dopo suggeriscono la meta agli amici. Non abbiamo idea del potere del passaparola. Nel settore turistico-congressuale l’Italia è debole, soprattutto per tutti quegli eventi con un afflusso superiore alle 6 mila persone mentre per le manifestazioni sotto questo tetto ce la possiamo giocare alla pari con il resto del mondo e con punte di eccellenza invidiabili. La mia posizione è semplice: facciamo con quello che c’è. Partiamo da quello che abbiamo. È inutile continuare a piangerci addosso dicendo che sarebbe bello essere competitivi in tutti i settori del turismo. Non è purtroppo così. Direi che è ora di prenderne atto e valorizzare ciò in cui siamo forti. Ripeto: partiamo da ciò che c’è.
Il federalismo, la regionalizzazione, renderà ancora più difficile l’omogeneizzazione della valutazione degli alberghi. Diciamo la verità, in pochi credono che un albergo a tre stelle offra lo stesso standard di servizi indipendentemente di dove si trovi.
Si tratta di un problema annoso e difficile da risolvere, ma che, innegabilmente, esiste. Ci sono troppe differenze di prezzo e di servizio tra due alberghi con lo stesso numero di stelle in due Regioni diverse. Ma questa è esattamente una delle competenze che fanno capo alle Regioni. La mia opinione è che occorre un organismo, magari internazionale, che sia super partes e possa applicare criteri comuni a tutti gli alberghi del Paese. Un percorso lungo.
Che cosa ne pensa della crisi di Alitalia? Una compagnia nazionale rimpicciolita, come quella che è nata, che riflessi può avere sul turismo italiano?
Sono interessato a un vettore efficiente che porti più persone possibile in modo efficace in Italia direttamente, e sottolineo, direttamente, dal maggior numero di destinazioni. Per questo, effettivamente, sono molto preoccupato da ciò che sta avvenendo. La situazione aerea e la mancanza di grandi e grandissimi alberghi sono i miei principali assilli. Ma, ripeto: partiamo da ciò che c’è.
Altro tema. Praticamente tutti i presidenti dell’Enit che l’hanno preceduta, così come tutti i Ministri che si sono occupati di turismo nella storia della Repubblica italiana hanno ripetuto che occorre destagionalizzare l’offerta. Lei vuole rimanere nel solco della tradizione?
(ride...) Bisogna ammettere che anche questo è un tema importante però, più che declamarlo, mi sono messo a tentare di dare un contenuto a questo slogan. Partiamo da un dato che mi impressiona ogni volta: il 50% dell’Italia, ovvero il Meridione, è visitato ogni anno da un numero di persone di poco inferiore rispetto a quelle che, sempre in un anno, visitano Venezia. Ovvero stiamo parlando di circa 22-23 milioni contro 25 milioni. Questo direi che è il vero problema che dobbiamo risolvere. Come? Utilizzando proprio quei fattori destagionalizzanti di cui si diceva, ovvero strumenti e offerte che ci permettano di attirare visitatori al di fuori dalle date e dai periodi canonici del turismo di massa. Uno di questi fattori destagionalizzanti è, ad esempio, il golf, che attira clienti di alto e altissimo livello ed è in grado anche di tutelare nel tempo le bellezze naturalistiche di cui il Sud è ricchissimo. Un altro fattore destagionalizzante è il ciclismo. Sul turismo in bicicletta ci sono Paesi del Nord Europa che hanno costruito il loro successo ed è da quelle esperienze che dovremmo imparare anche noi. Con l’associazione dei costruttori di biciclette ci siamo già messi al lavoro: abbiamo preparato insieme a loro cinque itinerari straordinari soprattutto nel Sud Italia che stiamo già promuovendo all’estero attraverso canali dedicati. Un altro esempio è l’enogastronomia che permette di scoprire un’Italia nascosta che pochi, all’estero, ma purtroppo anche in Italia, conoscono.
Lei parlava prima del brand Italia. Di che cosa si tratta esattamente? Quale è il suo contenuto?
Consiste nell’italian lifestyle che è rintracciabile anche, ma non solo, ovviamente, lontano dalle città d’arte. È quello che chiamo il “perdersi” che è quello che faccio di solito quando viaggio. Mi emoziona molto di più scoprire, spesso casualmente, la campagna francese che Parigi. Noi dovremmo riuscire a far emozionare i turisti stranieri per le nostre campagne e non solo per le nostre mete classiche. Questo alcuni imprenditori particolarmente lungimiranti lo hanno capito e su questo si stanno concentrando. E sono quelli che coglieranno i frutti migliori quando la crisi sarà finita.
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