
La fondazione Maramotti di Reggio Emilia, dove la collezione permanente incrocia le mostre temporanee
È più ragionevole sacrificare la propria vita alle donne piuttosto che ai francobolli, alle vecchie tabacchiere, perfino ai quadri e alle sculture. L’esempio delle altre collezioni dovrebbe però ammonirci a cambiare, a non avere una sola donna, ma molte», scriveva Marcel Proust, svelando due caratteristiche che accomunano i collezionisti di ogni tempo e latitudine: il sacrificio (cioè la pazienza di aspettare “l’oggetto giusto”) e l’incontentabilità. Sommate queste doti a una generosa capacità di spesa e avrete le qualità minime necessarie ai collezionisti d’arte per navigare nelle movimentate acque del mercato.
Non è semplice descrivere un fenomeno di cui gli stessi migliori esponenti odiano parlare: il buon collezionista è per tradizione discreto, si sa. Se volessimo tuttavia tracciarne una mappa aggiornata, dovremmo guardare a Est: i sultanati del Golfo, la Russia e ancor di più la Cina hanno registrato nell’ultimo decennio un incremento notevole di appassionati d’arte, capaci di investire senza troppe remore cifre da capogiro. Ma, ci ricorda Artprice
, almeno 13 dei 200 collector più ricchi e influenti al mondo risiedono in Svizzera. Due prove dell’ascesa dell’Oriente sono, in ogni caso il Modigliani “da record” – il Nu Couché
, un voluttuoso nudo di una giovane donna ritratta dal pittore livornese tra il 1916 e il 1918 – che è stato venduto giusto un anno fa da Christie’s per 170 milioni di dollari. L’acquirente? Liu Yiqian, un ex taxista cinese diventato milionario negli anni ‘90. E poi ci sono gli Impressionisti, capaci di far firmare qualsiasi tipo di assegno ai regnanti mediorientali: I giocatori di carte
di Paul Cézanne è stato comprato per qualcosa come 250 milioni di dollari dalla famiglia regnante del Qatar, mentre Nafea Faa Ipoipo
, una delle tele ambientate a Tahiti da Paul Gauguin è partita, sempre per Doha, a fronte di un’offerta di 300 milioni di dollari, record ancora insuperato. Delle ambizioni artistiche del sultanato si parla da tempo, grazie all’attivismo della sceicca Al- Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al- Thani, sorella dell’emiro del Qatar, tra le donne più potenti nel mondo dell’arte e in grado di spendere all’anno anche un miliardo di dollari in capolavori (I giocatori di carte
di Cézanne è, per l’appunto, di sua proprietà). Ed è vero che un po’ ovunque, tra i top collector, sono aumentate le donne: sono mogli di industriali cinesi o malaysiani, sceicche arabe o milionarie russe come la bellissima Dasha Zhukova, sposa del magnate Roman Abramovich, già fondatrice del Garage Museum of Contemporary Art, al Gorky Park di Mosca, dove è esposta parte della sua vastissima collezione di capolavori moderni e contemporanei. Tra le regine esotiche del settore spicca anche la turca Füsun Eczacıbası, appassionata di artisti contemporanei.
Se le ultime battute d’asta da Christie’s e Sotheby’s hanno potuto contare sul generoso supporto di collezionisti emergenti da Oriente, va detto che gli Stati Uniti e la buona vecchia Europa non hanno voltato le spalle a questo mondo. Restano inarrivabili le collezioni dei coniugi Broad, dei Rubell, dei Margulies, di Julia Stoscheck, degli Arnault e soprattutto di François-Henri Pinault, multimiliardario francese a capo della catena di lusso Ppr. Raffinatissimo collezionista di arte moderna, è anche il proprietario di Palazzo Grassi, a Venezia, città dove ha realizzato anche il centro espositivo di Punta della Dogana. La tendenza del collezionismo dei nostri anni – comune a tutte le latitudini – è, infatti, quella di esporre almeno parte del patrimonio personale in musei- santuari aperti al pubblico. A Doha si sono arricchite le collezioni dei musei statali per volontà della sceicca, in Cina i neomilionari stanno contribuendo alla formazione di collezioni di musei di arte moderna che comprendano anche i capolavori occidentali, in Bangladesh i ricchissimi coniugi Samdani stanno finanziando un museo d’arte aperto a tutti che porta il loro nome. E chissà che presto Temisi Shyllon, principe dello Yoruba, in Nigeria e proprietario della più grande collezione d’arte in Africa, non faccia una scelta simile.
Saremmo tuttavia ingenerosi se, in questo viaggio tra i collezionisti dei cinque continenti, non citassimo le stelle tricolori: svettano tra le signore dell’arte, Miuccia Prada – che a Milano, oltre alla celebre fondazione, ha appena aperto in Galleria Vittorio Emanuele l’Osservatorio, un centro espositivo legato alla fotografia – o Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, la cui fondazione torinese compie i suoi primi 25 anni di attività. E ancora la famiglia Rovati, che nel 2018 aprirà a Milano un museo etrusco con la sua collezione d’arte antica, mentre la famiglia Maramotti (Max Mara) a Reggio Emilia ha creato una sorta di “hub dell’arte”, dove spazio espositivo per mostre temporanee e la collezione permanente convivono con interessanti esperienze di residenze d’artista. Sacrificio, incontentabilità sì, ma anche generosità: il collezionismo di oggi, per essere riconosciuto e apprezzato, “go public”.