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Gioielli made in Italy verso il futuro

Hanno resistito alla crisi e continuano a far innamorare l’estero, ma hanno accusato la frenata dell’export nel 2016: quale futuro per i gioielli made in Italy?

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I gioielli made in Italy verso il futuro. Collocato al terzo posto, tra i prodotti internazionali esportati nel mondo, la gioielleria tricolore non conosce neanche l’ombra della crisi. La produzione dei monili in oro oltretutto ha perfettamente capito l’importanza del mercato estero, verso il quale esporta i tre quarti della produzione locale, destinando solo un quarto al mercato nazionale. Non è un caso che il gioiello italiano tiri così tanto. Innanzi tutto è molto apprezzata la qualità del prodotto, che è sempre curata al massimo. I nostri artigiani infatti fanno da secoli della loro professione un’arte. Poi il taglio e la lavorazione che hanno incoronato gli orafi italiani come i più bravi e talentuosi.

Gioelli made in Italy alla conquista del mondo

I gioielli made in Italy fanno parte ovviamente di quel settore del fashion e del lusso che parla italiano all’estero. Per alcuni si tratta di uno spreco di soldi, per altri sono addirittura ottimi prodotti sui quali investire in tempo di crisi. Di base, possedere un gioiello è un qualcosa che va a toccare la sfera del buon gusto, della classe. E i gioielli made in Italy vanno a conferire un ulteriore tocco a queste caratteristiche.

Si parla di un segmento vario e composito, che comprende tanto i gioielli di lusso quando quelli più alla portata di tutti. Non soltanto Tiffany, Cartier o Rolex (quest’ultimo noto per gli orologi, segmento rivolto soprattutto agli uomini che preferiscono portare al polso il proprio gioiello); anche marchi tipici del Made in Italy. Come Bulgari o Cesare Paciotti, ma soprattutto tanti artigiani del distretto di Vicenza.

Prodotti diversi in grado di soddisfare le varie fasce del mercato e visti anche come bene rifugio, soprattutto in questo periodo di profonda incertezza. Il che non è necessariamente un bene. Al contrario di abiti, borse e scarpe, ad esempio, un gioiello dovrebbe mantenere il proprio valore nel tempo (e magari aumentarlo anche). Ma proprio per questo, essendo visti come beni acquistabili anche nel tempo, rischiano di produrre rallentamenti in riferimento all’export. È proprio quanto accaduto all’Italia, che nel 2016 ha visto scendere la percentuale di gioielli esportati all’estero.

Quale futuro per il settore?

Quale futuro attende allora le 8.200 aziende orafe italiane, che generano 7 miliardi di euro di fatturato nel 2016 con l’export a quota 6,5 miliardi, tra problemi di mercato e scarsità di manodopera. Dipenderà dalla strategie di chiriuscirà a trovare il giusto equilibrio fra cultura d’impresa e cultura di mestiere, innovazione, tradizione e comunicazione.

La rivoluzione deve partire dai saloni stessi, come ha ricordato in un recente convegno Matteo Marzotto, vicepresidente di Ieg-Italian exhibition group del quale fan parte VicenzaOro, Fiera di Rimini e OroArezzo: «I saloni di settore devono cambiare radicalmente, non limitandosi a vendere spazi, ma creando condizioni migliori agli espositori», in ambienti che favoriscano incontri, scambi e dunque business.

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