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Lifestyle

La dura legge del golf

Premi, sponsor e viaggi in tutto il mondo: ma quanto è dura arrivare a diventare un giocatore professionista? Marco Crespi e Margherita Rigon ci raccontano la lunga scalata verso il successo in mezzo a una concorrenza agguerrita e globale

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Il mondo del golf, soprattutto quella dei circuiti maggiori, affascina tanti ambiziosi appassionati: premi e sponsor possono rendere la vita di pro e proette molto interessante. La scalata verso il successo, però, è complicata. Servono qualità importanti per affrontare le varie fasi di una carriera: concentrazione al momento dell’arrivo nelle competizioni principali, grinta da mettere in campo per mantenere le posizioni faticosamente acquisite, determinazione per continuare a crescere e ambire a traguardi più importanti. Ogni giorno di ogni singola stagione deve essere affrontato con volontà per potersi garantire se non la vittoria, almeno la possibilità di raggiungerla. Ne abbiamo parlato con due campioni italiani del tour europeo.

MARCO CRESPI38 anni, è professionista dal 2002. Dopo anni sul Challenge Tour, ha ottenuto la full membership dell’European Tour nel 2014 dove, con una immediata affermazione, è divenuto il più “anziano rookie” vincitore sul circuito continentale maggiore.

MARGHERITA RIGON34 anni, dopo una brillante carriera da dilettante, è passata professionista nel 2003 ottenendo velocemente alcuni ottimi risultati sul tour europeo e confermandosi nelle successive stagioni, grazie a molti piazzamenti, tra le migliori rappresentanti della nostra nazionale pro.

«Competere in un tour è un punto d’arrivo, un obiettivo da raggiungere», dice Marco Crespi. «Il passaggio da amateur a pro e poi a giocatore di tour rappresenta un percorso “a catena” fatto di allenamenti, risultati, sponsor, possibilità di selezionare le gare, in cui ognuno trova il suo equilibrio, ma anche la consapevolezza che non si può mai mollare o pensare di essere arrivati. È fondamentale porsi subito un nuovo traguardo un po’ più lontano cui ambire. Quando la gavetta, come nel mio caso, è lunga, la sensazione che si prova è ancora più piacevole… Il confronto è sempre con se stessi, gli altri non contano. Il mio motto è: “L’importante è che non perda io”, nel senso che è fondamentale riuscire a dare tutto in campo. Il resto arriverà da sé».Se questa è la situazione per i pro, «per noi donne è veramente la passione e l’amore per questo sport a guidarci», risponde Margherita Rigon. «Sono pochi i riconoscimenti, anche senza parlare di denaro. Il golf al femminile non passa in Tv e, anche dopo tanti anni nel tour, sono rari i casi in cui il pubblico conosce le giocatrici. Anche se allenamenti e fatiche sono gli stessi degli uomini. Ciò che ti motiva lo devi trovare dentro di te: devi ricordati che fai come lavoro qualcosa che ti piace. Seppur con tanti sacrifici, anche a livello personale. Una volta sul tour, comunque, la sensazione rimane quella di essere solo all’inizio».

Sacrifici, soldi, sponsor: tre elementi non sempre in equilibrio. Come si conciliano nelle prime fasi della carriera?CRESPI: Soprattutto all’inizio, i costi possono incidere nelle scelte. Una trasferta lontana può dover essere valutata con attenzione. In realtà, se ci si sente in forma, si va a prescindere dai costi. La pianificazione diventa fondamentale. Nei mesi invernali si programma la stagione. È vero però che dopo i risultati dei primi 3- 4 tornei si può, e si deve, essere pronti a modificare un po’ tutto: se le cose vanno, si continua con le gare, se si fatica si fanno altre valutazioni. Bisogna essere flessibili, ma è altrettanto vero che pianificare è la base, anche per risparmiare tempo e denaro (dall’acquisto in anticipo dei biglietti per i viaggi alle prenotazioni di hotel ecc.) e potersi concentrare sulla parte tecnico/agonistica. Le figure che ci accompagnano (caddie, coach ecc.) sono fondamentali, fino a diventare anche “amici” ma, anche l’investimento che loro fanno su di noi, prima o poi, deve avere un ritorno. Nella nostra pianificazione si deve tenere conto anche delle loro aspettative.RIGON: Nel tour femminile, che ha molte meno risorse, anche la ridotta copertura tv determina uno scarso interesse per gli sponsor che a noi arrivano più per conoscenze dirette e non tanto grazie ai risultati nelle gare. Da qui, grande attenzione anche a costi, programmi, prenotazioni e spostamenti. Fortunatamente non ho mai dovuto rinunciare a una trasferta per il rischio che il risultato non mi consentisse di sostenere le spese. Anche perché, spesso, attese e risultati vanno in direzioni diverse. La programmazione comunque è necessaria. Poi, se parti forte puoi permetterti, magari, di selezionare le gare che per montepremi e location appaiono più interessanti. In realtà ho sempre pensato e sentito che quando sei in ballo è meglio ballare. Anche se ho imparato che le energie vanno dosate, la mia vita è sempre stata “sentire l’adrenalina”, sentirmi ed essere in gara.

Vista da fuori la vita del professionista sportivo appare privilegiata. Ma, come in tutte le situazioni della vita e lavorative, si alternano momenti belli ad altri meno. Come si affrontano?C: Nelle diverse situazioni le reazioni sono molto personali. Quando i risultati non arrivano, alcuni si affidano alle statistiche e ricercano in queste le spiegazioni, magari scoprendo che il gioco da tee a green è ok mentre il putt non va. Così capiscono dove lavorare. Altri hanno metodi diversi. In generale, nella vita di ogni sportivo (salvo rare eccezioni) sono più numerose le sconfitte delle vittorie, e questo porta a dover essere più allenati a gestire i momenti difficili. La prima cosa da fare, comunque, è lavorare tantissimo, trovando la linea giusta di allenamento in cui mixare le parti fisico-atletiche, tecniche e mentali. Determinante è puntare sugli aspetti forti del proprio gioco e del proprio modo di essere. Se è vero che bisogna migliorare i punti deboli, nei momenti decisivi è sui punti di forza che bisogna contare.R: Quest’anno ho dovuto rinunciare a buona parte della stagione a causa di un infortunio che mi ha fermato da aprile. Il sogno dell’Olimpiade è svanito e la prospettiva della nuova stagione si è interrotta in un attimo. Ecco un esempio di momento molto difficile. Credo, però, che si debba sempre trovare un lato positivo e così mi sono detta che questa pausa poteva essere un’occasione per ricaricarmi. Dopo anni in cui il quotidiano era fatto quasi solo di aerei, viaggi e alberghi, questa forzata inattività mi ha consentito di stare più vicina alla famiglia, agli amici. Ma sempre tenendomi in forma con un programma che, se in situazione normale non è mai inferiore alle otto ore di allenamento al giorno, quest’anno ha compreso anche molta fisioterapia.

Quali sono le figure più importanti nella vita di un professionista?C: Proprio perché si tratta di uno sport individuale, è fondamentale essere assistiti dalle persone giuste. Non solo coach ma anche amici, consiglieri e famiglia sono decisivi nella crescita ed evoluzione come giocatore e professionista. Ed è anche grazie al loro aiuto e supporto che nei momenti di difficoltà, quando le cose non vanno, si riesce a compiere un processo che io ritengo determinante, e cioè avere la forza e la capacità di “fare un passo indietro” e domandarsi: cosa facevo prima che funzionava? E ripartire da quelle che erano le tue certezze.R: Per me è sempre più importante il mental coach. Gli alti e bassi sono i più difficili da gestire. La paura di vincere come quella di non passare il taglio, tanto per fare un esempio, possono avere grande impatto. Chi ce la fa ha un vantaggio. Nei primi anni di carriera, l’incoscienza fa affrontare le situazioni in modo diretto. Il problema viene dopo, “crescendo”, quando tra un colpo e l’altro vi è il tempo per farsi tante, troppe domande. Risolvere questi interrogativi è un passo fondamentale. In questo forse c’era un mio limite: il cercare e aspettarmi sempre un livello che a volte non poteva esserci. Nel golf, se non accetti l’errore, diventa tutto ancora più difficile. Il mental coach ha un ruolo decisivo: aiuta a indirizzare le energie verso il pensiero positivo. Fondamentale poi è il team che ti sostiene, il coach, gli amici, la famiglia, che credono in te. È forse per questo che non ho cercato il passaggio al tour Usa, per non rinunciare ad una vita in qualche modo “normale” che il tour europeo poteva concedere seppur con sacrifici comunque fortissimi. La mia idea è sempre stata quella di vivere lo sport in modo completo, ma avendo anche una vita. Da non dimenticare poi, importantissima, la Federazione che con la Nazionale ci fornisce sostegno anche dal punto di vista medico, tecnico e psicologico.

E tra gli amici ci sono anche gli altri Italiani/e sul tour ?C: Certamente. Vivendo lontano da casa per buona parte dell’anno, è importante avere buoni rapporti con i colleghi, qualcuno con cui condividere il tempo, le trasferte… e magari i costi di auto a noleggio e camere d’albergo. Con i connazionali facciamo sicuramente gruppo, ci si cerca e questo aiuta tantissimo. Anche se stiamo parlando di uno sport assolutamente individuale, stare insieme e condividere le esperienze è un aiuto.R: Quando siamo in giro, noi italiane stiamo molto insieme. C’è amicizia, pur se ci troviamo in competizione. Anche con qualche straniera, nel tempo, si costruiscono buoni rapporti. In realtà, però, è soprattutto con le ragazze con cui si cresce, si percorre la carriera e ci si allena insieme che il rapporto diventa forte.

Si è appena conclusa la Ryder Cup. Quanto aiuterà il movimento tricolore l’edizione di Roma 2022?C: È Un’opportunità fantastica, del cui valore non ci si rende ancora conto. Spero si farà molto per far capire alla gente che si tratta di un evento clamoroso, coinvolgendo campioni degli sport più popolari, uomini e donne di spettacolo per diffondere il messaggio del golf. Se penso a quando ero nella mia fase di crescita e guardo i nostri giovani che potrebbero ambire a giocarsi la Ryder Cup in casa, mi viene la pelle d’oca.R: Senza alcun dubbio, la Ryder Cup è un evento incredibile con un grandissimo ritorno per il nostro golf. La Federazione sta facendo tantissimo in questo senso, e anche a livello di Open maschile la crescita del montepremi determinerà l’arrivo di più campioni. Questo farà aumentare l’interesse, creando le condizioni perché l’attenzione verso il golf italiano possa essere sempre maggiore.