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Golf: quando il guinness va in buca

Altro che MotoGp e Formula 1, il golf è teatro di mille e un record, alcuni più scontati, altri ben più curiosi. Scopriamone alcuni

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Inutile negarlo, quando si parla di re­cord la mente corre subito agli sport in cui velocità e tempo giocano un ruolo decisivo, quali l’atletica, il nuoto, la MotoGp e la Formula 1. In realtà, anche il golf propone una quanti­tà di situazioni in cui i valori numerici si trasformano in spunti ideali per essere re­gistrati, commentati e ricordati, appunto, come record. Anzi, da questo punto di vi­sta pochi altri sport possono stare al passo con le imprese sul green. Dagli score più bassi alle più lunghe serie di birdie, guar­diamo al mondo del golf da una prospet­tiva diversa per conoscerne i lati più strani e curiosi, ma anche tipici: come non pen­sare, infatti, al numero di palline perse (e recuperate), circa 100 mila all’anno, alla buca 17 di SawGrass e ricordare le ana­loghe disavventure che accompagnano i golfisti da week end?

LA 17 DI SAWGRASS Vista così, un par 3 di circa 120 m a forma di penisola, non pare così dif­ficile. E invece, a ogni The Players Cham­pionship, considerato il “quinto Major”, molti campioni devono rivedere le pro­prie ambizioni per più di un colpo finito a fare compagnia alle palline dei giocatori della domenica. Sarà il numero 17, per al­cuni non foriero di buona ventura, sarà la dimensione del green (profondo meno di 25 m e senza vie di fuga se non… nell’ac­qua) o gli strani effetti del vento nell’anfi­teatro che la accoglie, ma è un fatto che per un colpo da pitching wedge, massimo ferro 9 o 8, questo “semplice” par 3 è per 100 mila buone ragioni a pieno titolo nel­la storia e tra i record del golf…

IL CLUB DEI 59 Tra i giocatori il giro perfetto è conside­rato quello con 18 birdie su 18 buche. Risultato mai realizzato che per molti pro costituisce l’obiettivo, forse impossibile, cui aspirare per puntare a ottenere sempre il meglio da se stessi. Detto che nel Guin­ness dei primati vi è un giro “quasi perfet­to” di -16 (55 colpi su un par 71 dell’ au­straliano R. Gibson), il giro più basso in una gara ufficiale è di Ryo Ishikawa che nel 2010 sul Japan Tour ha girato in 58 su un par 70 (12 birdie).

Ultimo ma non certamente per importanza il -20 di Jason Day all’ultimo Pga Championship, record quale score più basso in un Major

Ma quello che è considerato il punto di svolta è il 59, lo score ritenuto una vera barriera, forse in­valicabile, che genera però una doman­da: ciò che conta sono i colpi tirati o quel­li in meno rispetto al par? Tanto per inten­dersi, vale di più il 58 di Ryo o il 59 su un par 72 (-13) di A. Geiberger, C. Beck, N. Begay III, D. Duval, Annika Sorestam e K. Sutherland (2014, primo nello Us Senior Tour)? O quello dei sette che sono entra­ti nel club con un più “scarso” -12 su dei par 71 o dei due con un “misero” -11 su dei par 70? Ai posteri l’ardua sentenza…

BIRDIE IN SERIE Se l’obiettivo per un golfista è quello di tirare meno colpi possibile, chi ha gio­cato tornei su più giri sa che vi è una gran differenza tra realizzare un singolo ottimo score e ripetersi su più giorni. Steve Stric­ker nel 2009 lo aveva molto chiaro non essendosi fermato dopo i primi birdie e avendo completato il quarto giro del Bob Hope Classic con un notevole (e record) di -33! Che non gli bastò, peraltro, per vince­re il torneo previsto su 90 buche… Vitto­ria che sfuggì anche a un altro recordman, P. Gow, che nel 2001 realizzò il più alto numero di birdie in un torneo, ben 32. Ri­sultato ottenuto anche da Marc Calcavec­chia nel 2001, che non perse l’occasione di aggiudicarsi il torneo. Lo stesso Marc nel 2009 con ben nove centri in fila segnò il record della più lunga serie di birdie.

UNO SPORT DA VECCHI? La domanda è quanto mai d’attualità. Se, infatti, Jordan Spieth, poco più di 22 anni e nuovo numero 1 mondiale, si sta affacciando sulla scena con il piglio di chi intende “fare la storia” (senza dimen­ticare Rory McIlroy, divenuto numero 1 appena 26enne, oggi secondo), sul fron­te femminile il ringiovanimento è anco­ra più marcato. Lydia Ko, infatti, lo scorso febbraio a 17 anni è diventata l’atleta più giovane a raggiungere la posizione nume­ro 1 del ranking! Non una sorpresa visto che da amateur si era tolta la soddisfazio­ne di passare i 25 tagli dei tornei pro cui si era iscritta, aggiudicandosene (unica) ben due. La più giovane nella storia a vincere.

Tirare pochi putt: D. Frost nel 2005 concluse 72 buche con soli 92 putt e una media di 23 putt a giro…

NON È MAI TROPPO TARDI Se una brutta partenza in cui nulla fun­ziona o una partita in cui non entra neanche il più facile dei putt è purtroppo un’esperienza ben conosciuta dal golfista, è altrettanto vero (benché meno frequen­te) che la sensibilità su approcci e putt, le giuste scelte tattiche, un buono swing si possono ritrovare strada facendo, ribaltan­do così anche il giro iniziato nel peggio­re dei modi. È ciò che deve aver pensato K. Streelman quando, al Travelers Cham­pionship 2014, uno sopra par dopo 11 buche del quarto giro, lontano dai primi, ha segnato un birdie alla 12. E soprattut­to l’avrà capito alla 18, dopo aver imbu­cato il settimo birdie di fila per aggiudi­carsi il torneo con un colpo di vantaggio. E stabilendo anche il record (il preceden­te, di sei, era del ‘56) della serie più lun­ga di birdie consecutivi finali per vince­re una gara.

Temere di non riuscire a chiudere una buca: è accaduto anche ad un vincitore di Major come J. Daly con un ragguardevole 18 (par 5) a Bay Hill nel 1998… Peggior buca di sempre

E se è vero che non bisogna mai molla­re, iniziare bene può essere decisivo. Ma può anche risultare difficile gestire il peso psicologico di avere sin dalle prime buche, come si usa dire, “uno score im­portante in tasca”. La prospettiva, infat­ti, di non riuscire a chiudere il giro con la stessa qualità può giocare brutti scher­zi, aumentando la tensione, e trasforman­do l’adrenalina in timore, pregiudican­do swing e lucidità nelle scelte di gio­co. Cosa che forse colpì R. Gamez (2004) dopo un notevole 27 (-8) sulle prime 9, e ancora di più C. Riley (2009), sempre 27 per un -9, entrambi non vittoriosi. Non si scompose, invece, C. Pavin nel 2006 a Milwaukee con un bel 26 nelle prime 9 buche per un -8 che lo aiutò nel suo cam­mino verso la vittoria

NOMEN OMEN È il caso di Gary Player (letteralmente giocatore). ll campione sudafricano detiene, oltre a una serie incredibile di vit­torie (tra l’altro è il primo e per ora unico non americano ad aver vinto tutti e quat­tro i Major, il cosiddetto Career Grand Slam, ottenuto nel 1965 a 29 anni), un re­cord ufficioso, ma molto significativo an­che per i tempi in cui lo ha realizzato: ol­tre 20 milioni di chilometri in viaggio per partecipare ai tornei in giro per il mondo! A conferma poi della sua longevità tecni­ca e atletica, vinse l’Open Championship in tre decenni, nel ’59, nel ’68, nel ’78. Un record. E, sempre grazie alla sua tempra, nel 1998 a 62 anni, ha tolto il primato a Sam Snead quale più anziano giocatore a passare il taglio al Masters.

È forse l’obiettivo che più incide sul morale del giocatore: tirare il drive più lungo possibile. Senza scomodare gli specialisti del “Longest Drive” che, con driver non regolamentari superano i 400 metri, il drive più lungo (Guinness dei primati) in una gara ufficiale è di un signore di 64 anni, Mike Austin, che allo Us Senior Open del 1974 raggiunse ben 471 metri! Con buona pace di Bubba Watson e Dustin Johnson

A PROPOSITO DI RECORD… Dal suo avvento sulla scena professio­nistica – in realtà già da prima, visto che è stato l’unico a vincere per tre vol­te consecutive lo Us Amateur, dal ‘94 al ‘96 – Tiger Woods ha costellato la sua car­riera con una infinità di record. Basti pen­sare ai 142 “tagli” consecutivi passati (il precedente limite, di Byron Nelson era di 113) o al numero di settimane in testa al world ranking (più di 650, circa 12 anni). A conferma di quanto il suo strapotere sia stato assoluto vi è anche il dominio, per dieci anni, della classifica dei guadagni nel tour americano. Neanche McIlroy e Spieth fanno presagire qualcosa di simi­le. E a conferma della sua straordinarie­tà, nel 2013, dopo i fatti del 2009, ha vin­to cinque tornei in stagione, risultato che lo pone al quarto posto nella classifica dei plurivincitori annuali che già lo vede al secondo (sette vittorie) e terzo con Ben Hogan (sei) dietro agli 11 tornei di Byron Nelson (1945). Invece, in questi ultimi anni, sono forse due “non record” a caratterizzare la sua performance, i traguardi, cioè, che pare­vano alla sua portata e che restano fuori dal suo carniere: le vittorie sul Pga Tour e i Major. Se gli 82 allori di Sam Snead paio­no raggiungibili, Tiger è a 79, sono i 18 di J. Nicklaus ad apparire lontani. Si può comunque consolare: se l’unico Grande Slam è di Bobby Jones (1930), è ancora Woods colui che ci si è più avvicinato. Con G. Sarazen, B. Hogan, J. Nicklaus e G. Player è infatti tra i campioni capaci di aggiudicarsi il Career Grand Slam (TW è il più giovane e con Nicklaus ha il record di tre Career Grand Slam), ma Tiger è anche l’unico ad aver vinto i quattro Major in sequenza, il cosiddetto “Tiger Slam”: Us Open, Open Championship, Pga Cham­pionship del 2000 e Masters del 2001

L’ANTI-TIGRE? Una partenza niente male. Con la vit­toria al Masters di quest’anno, Jor­dan Spieth ha pareggiato il record di Ti­ger Woods di -18 sul par con il succes­so allo Us Open ne è diventato il campio­ne più giovane dopo Bobby Jones e, dopo i quattro Major 2015, ha abbassato il re­cord, sempre di Tiger,del più basso score complessivo: -54 vs -53. E con il secon­do posto al Pga Championship è il nuovo numero 1 del mondo (il secondo più gio­vane della storia ancora dopo Woods). Si può dire che le premesse perché possa di­ventare l’anti-Tiger ci siano tutte…

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